Intervista al runner e attivista ambientale svedese Erik Ahlström, tra i pionieri del Plogging, la disciplina sportivo-ambientale che unisce la corsa alla raccolta dei rifiuti abbandonati in natura
In occasione dei Mondiali svoltisi a Genova, eHabitat ha incontrato Erik Ahlström, 63 anni, svedese, fondatore del movimento sportivo-ambientalista globale Plogga e “inventore” (o, perlomeno, primo divulgatore) del termine Plogging per indicare la disciplina sportivo-ambientale che unisce la corsa alla raccolta dei rifiuti abbandonati e che oggi conta migliaia di praticanti in tutto il mondo.
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Cosa significa e da dove deriva questo neologismo?
«Il nome nasce da un’intuizione di mia moglie, che ha abbinato le parole Plocka Upp, che in svedese indica il gesto di raccogliere qualcosa da terra, e Jogging. Dalla loro unione è nato questo nuovo termine, Plogging, dal suono molto internazionale, adatto a tutte le lingue… e con un grande vantaggio».
Quale?
«Il fatto di poter usare una sola parola per esprimere un concetto che, altrimenti, necessiterebbe di una frase intera per essere spiegato. Tutto questo, a livello comunicativo, è molto utile».
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E il Plogging, in qualche modo, è anche comunicazione, vero?
«Sì, perché rappresenta innanzitutto un’azione di sensibilizzazione delle persone su un tema ambientalmente importante come quello del contrasto all’abbandono dei rifiuti, con l’inquinamento che essi generano in natura e lo spreco di risorse quando non li si ricicla. Lo sport, in questo caso, è solo un mezzo per far passare un messaggio; il risultato agonistico in sé non è il fine del Plogging».
I recenti Campionati del mondo di Plogging hanno però dovuto per forza trovare un modo per dare vita a una classifica e, alla fine, premiare dei vincitori…
«Come si è visto anche nello spirito con cui tutti i finalisti hanno preso parte alla gara di Genova, il concetto alla base del Plogging è sempre uguale: non c’è un solo vincitore, ma vincono tutti. Anche chi organizza. Il merito dell’italiano Roberto Cavallo, che ha ideato i Mondiali e li ha messi in piedi insieme al suo eccellente team, è di aver dato un’ulteriore vetrina al movimento globale dei ploggers, con un’opportunità di visibilità mediatica non indifferente».
Cosa rappresenta, per Erik Ahlström, il Plogging?
«All’inizio, quando circa sette anni fa ho iniziato a unire la raccolta dei rifiuti abbandonati alla corsa, era per me un’attività individuale, complementare a quella fisica. Presto è però diventato qualcosa da fare insieme ad altri, un’attività di gruppo tra persone che trovano molto più divertente correre o camminare facendo qualcosa di utile, in questo caso per l’ambiente e il nostro pianeta, anziché puro movimento fine a se stesso. Oggi, grazie al movimento globale Plogga, ho la fortuna di entrare in contatto con atleti e appassionati di ogni parte del mondo, tutti uniti dalla lotta per la tutela ambientale».
Ma perché ha iniziato a correre raccogliendo rifiuti?
«Quando mi sono trasferito dal mio paesino di montagna alla capitale, ho visto che a Stoccolma c’era davvero parecchia immondizia in giro. Ero già appassionato di corsa: così ho iniziato a unire l’utile al dilettevole, chinandomi a raccogliere quanto c’era in terra. E ho provato da subito la sensazione positiva di stare facendo qualcosa di buono».
Se trova la Svezia sporca… cosa ne pensa della situazione vista in Italia?
«I rifiuti abbandonati ci sono in tutto il mondo. Anche nel mio Paese, a differenza di uno stereotipo abbastanza diffuso, si trova purtroppo molto littering, soprattutto derivante da imballaggi di prodotti usa-e-getta, la cui presenza è in continuo aumento, incoraggiata anche dal settore Food & Beverage.
La principale differenza con l’Italia riguarda certe tipologie di rifiuto, che mi ha stupito trovare nei fossi a bordo strada e anche lungo sentieri più remoti. Mi riferisco, ad esempio, a pneumatici o parti di automobili: credo che questo dipenda anche da una normativa che non aiuta lo smaltimento, con costi alti per chi dovrebbe avviarli al riciclo che ne incentivano (ovviamente senza giustificarlo!) l’abbandono anziché un corretto smaltimento».
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Con il Plogging e, nello specifico, con il suo movimento Plogga quali obiettivi si è dato?
«Da un lato c’è il fine ambientale, ovvero ridurre l’inquinamento, soprattutto quello degli oceani: per questo occorre intercettare i rifiuti prima che finiscano in mare, uccidendo gli ecosistemi. Poi c’è un fine economico: raccogliere immondizia abbandonata costa molto caro e sarebbe sicuramente meglio investire diversamente i soldi pubblici. Ma non vanno dimenticati anche i risvolti sociali -vivere in un ambiente pulito favorisce la convivenza civile tra le persone- e quelli per la salute individuale, dato che l’attività fisica fa bene a ciascuno di noi».
Sintetizzi in un concetto lo scopo ultimo del Plogging…
«Dobbiamo pensare “The trash is not mine, but it’s our Planet”, deve passare il concetto che un rifiuto può anche non essere mio personale, posso anche non averlo prodotto io direttamente, ma il Pianeta è di tutti. E per questo dobbiamo impegnarci».
[Articolo realizzato con la collaborazione di Irene Mariano]