Gli attuali sistemi alimentari nel mondo possono nutrire appena 3,4 miliardi di persone in maniera sostenibile, secondo una recente analisi pubblicata su Nature. Eppure le soluzioni ci sono: ripensare il sistema alimentare, dalla produzione al consumo, ci consentirebbe infatti di nutrire 10 miliardi di persone senza trasgredire i limiti planetari.
Come riusciremo a nutrire in maniera sostenibile una popolazione mondiale oggi di 7,8 miliardi di persone, e che si prevede possa raggiungere quota 10 miliardi entro il 2050?
È questa la domanda a cui hanno provato a dare una risposta i ricercatori del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK), con uno studio pubblicato su Nature che rivela come oggi produciamo cibo sostenibile sufficiente per appena 3,4 miliardi di persone.
“Per produrre cibo stiamo compromettendo l’ecosistema”, ha spiegato il professor Dieter Gerten, lead-author dello studio. “La situazione è grave, ma è ancora possibile invertire la rotta ma è necessario agire il prima possibile“.
Una produzione senza limiti
I ricercatori hanno ripreso la “Teoria dei 9 limiti planetari” formulata nel 2009 dal geofisico svedese Johan Rockström, che identifica nove soglie ambientali, ovvero nove limiti dei processi biofisici del sistema terrestre che sottintendono alla stabilità del sistema stesso e che per questo non andrebbero assolutamente superati.
Nel dettaglio, il team diretto dal professor Gerten ha esaminato quattro dei nove confini, quelli rilevanti per la produzione di cibo:
- il ricorso limitato all’azoto in agricoltura,
- il mantenimento della biodiversità,
- l’uso sostenibile di acqua dolce
- l’uso sostenibile delle pratiche di disboscamento.
La conclusione del team non lascia spazio a troppe interpretazioni: i modelli di produzione attuali, ai ritmi attuali di sfruttamento delle risorse alimentari, sono insostenibili. Tant’è che che la metà della produzione alimentare oggi viola questi limiti.
Ripensare il sistema alimentare
Tuttavia gli studiosi si sono spinti oltre, suggerendo anche la cura. “Sottraiamo terra per allevamento e coltivazione intensiva, fertilizziamo ed irrighiamo eccessivamente mettendo in pericolo il ciclo dell’acqua, sono questi i principali problemi“, ha osservato il professore. “Per risolverli, occorre ripensare completamente i modelli di produzione di cibo“.
Sono pochi ma sostanziali i cambiamenti che suggeriscono:
- ricostituzione degli habitat originari nelle aree in cui le pratiche di allevamento minacciano più del 5% della biodiversità;
- riforestazione di terreni agricoli in cui è stato abbattuto oltre l’85% di foresta tropicale;
- riduzione dei prelievi d’acqua dolce per l’irrigazione;
- diminuzione della concimazione con azoto laddove i livelli nelle acque superficiali superino i livelli massimi.
Allo stesso tempo, il team afferma che riorganizzando geograficamente quel che viene coltivato sarebbe possibile nutrire la totalità della popolazione mondiale entro quei quattro limiti. Da qui l’idea di spostare parte delle attività agricole e di allevamento da zone sottoposte a stress ambientale elevato, vedi Cina orientale ed Europa centrale, verso altre meno sfruttate, come l’area nord-occidentale degli Stati Uniti e l’Africa sub-Sahariana.
Tutto facile a parole. Ma come fare per convincere il mondo e prendere questa strada? “La chiave del successo è che i Paesi interessati vedano benefici per il loro sviluppo”, ha avvertito Wolfgang Lucht, co-autore dello studio. “Solo così esistono concrete possibilità di vedere realizzati questi cambiamenti“.
Cambiamenti che consentirebbero una produzione sostenibile di cibo sufficiente per 7,8 miliardi di persone, all’incirca l’attuale popolazione mondiale.
Il futuro si fa vegetale
La riduzione degli sprechi alimentari e, soprattutto, uno spostamento dal consumo di carne ad un maggior consumo di alimenti vegetali potrebbero quindi garantire cibo a sufficienza per 10,2 miliardi di persone, pari alla popolazione mondiale prevista per il 2050.
“Cambiamenti del genere possono essere difficili da accettare in un primo momento”, ha avvertito Vera Heck, ricercatrice al PIK, “ma sul lungo periodo, diete più sostenibili porteranno benefici sia al Pianeta che alla salute delle persone”.
Una modifica dell’alimentazione su larga scala appare inevitabile, come sottolineato dal recente rapporto del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (Ipcc – International Panel on Climate Change). “Sono necessarie politiche che, attraverso opportuni incentivi, educhino sia il produttore che il consumatore“, ha concluso la Heck.
Come al solito, però, tra la scienza e il fare c’è di mezzo il mare. O meglio, le abitudini di tutti noi.