La carne-non-carne sembra aver conquistato l’opinione pubblica. E ora?
Se non la provi non ci credi.
Chi ha assaggiato la cosiddetta meatless meat garantisce che è davvero difficile distinguerla dalla carne tradizionale. Così simile che corre voce che alcuni ragazzi vegani non siano riusciti a mangiarla, poiché gli ricordava troppo la variante animale.
Scordatevi i soliti surrogati vegetali dalla consistenza anonima: stiamo parlando di vera e propria carne alla vista ed al palato, indistinguibile da quella proveniente da un animale in carne ed ossa.
Lanciata sul mercato nel 2016, negli ultimi tre anni si sono registrati tassi di crescita record.
Le proteine vegetali rappresentano infatti una categoria in continua espansione a livello globale, che nel 2018 ha segnato un +23% sull’anno precedente, per un valore di oltre 760 milioni di dollari.
Numeri, questi, davvero impressionanti, che rivelano come questa giovane categoria rampante si voglia spingere ben oltre l’universo vegan. Scopo dichiarato, infatti, è quello di conquistare anche gli amanti della carne, facendo leva sulla crescente sensibilità dei consumatori per i temi della sostenibilità.
Le crescenti preoccupazioni ambientali dei consumatori
Sono sempre più numerosi gli studi che denunciano la pesante impronta ecologica della produzione di carne convenzionale, per cui viene destinato l’83% dei terreni agricoli ed il 30% di tutte le risorse idriche a livello globale. Essa è responsabile, da sola, del 15% di tutte le emissioni di gas serra di origine antropica, nonché della perdita di biodiversità, con immense foreste ed aree incontaminate che cedono il passo a terreni ad uso agricolo su cui coltivare mangimi destinati al consumo animale.
Con una popolazione globale che dovrebbe sfiorare quota 10 miliardi entro il 2050, ed una domanda di consumo di cibo – e di proteine – che potrebbe raggiungere livelli record, l’intera industria è chiamata ad un deciso cambio di rotta.
Un tale impiego di risorse è, infatti, insostenibile e sembra davvero impensabile aumentare ulteriormente la superficie dei terreni destinati all’allevamento su larga scala.
Se, però, a livello politico il dibattito su come regolamentare la produzione o consumo di carne è tuttora agli albori, il settore privato ha già da tempo cominciato a fiutare l’occasione di produrre una carne alternativa a basso impatto ambientale, realizzata con soli ingredienti coltivati sugli stessi campi utilizzati oggi per la produzione di mangimi.
Carne vegetale sostenibile, che promette di abbattere radicalmente le emissioni di gas serra nell’ambiente, nonché di ridurre il massiccio impatto ai danni di biodiversità, qualità dell’aria, acqua e terreni.
Secondo uno studio condotto dall’Università del Michigan, infatti, l’impronta ecologica di un burger plant-based, se confrontato con quella di un hamburger tradizionale, significa 99% in meno di acqua, 93% in meno di sfruttamento del suolo, 46% in meno di energia, 90% in meno di emissioni di gas serra.
Burger vegetali: un futuro da predestinati
È notizia già di alcuni mesi la partnership tra Burger King e Impossible Foods. Il suo burger plant-based è disponibile in oltre 7.000 punti vendita tra Stati Uniti e Asia, e la catena di fast food sembrerebbe del tutto intenzionata a lanciarla in tutti i suoi ristoranti degli Stati Uniti entro fine 2019.
Più recente, invece, quella tra McDonald’s e Beyond Meat. Dopo il sold-out nei supermercati di mezzo mondo, la start up di carne vegetale sembra essere riuscita a convertire al vegetale anche il colosso americano icona della ristorazione veloce, per la distribuzione in prova dei suoi hamburger vegani in alcuni ristoranti in Canada.
Non ultimo, anche il gigante Nestlé con il suo Incredible Burger ormai disponibile nei supermercati di tutta Europa, e con la versione per l’America The Awesome Burger, è pronta a dare del filo da torcere alla concorrenza.
Sempre più protagonista nei menù dei ristoranti, così come nei supermercati di tutto il mondo, il cibo di origine vegetale sembra essere riuscito a far breccia nei cuori e nei gusti dei consumatori, ed anche gli investitori sembrano averci messo gli occhi sopra.
L’approdo a Wall Street di Beyond Meat ha infatti avuto un successo migliore delle previsioni più ottimistiche. Un vero e proprio ingresso trionfale, che ha permesso alla start up californiana di passare da un’offerta pubblica iniziale a 25 dollari per azione di inizio maggio, agli attuali 145.
Ai posteri l’ardua sentenza
I prossimi anni saranno verosimilmente quelli della consacrazione ufficiale. JPMorgan Chase ha infatti stimato che il mercato della meatless meat potrebbe superare i 100 miliardi di dollari in 15 anni. Dello stesso avviso Barclays, per cui entro il 2029 il mercato della carne plant-based potrebbe rappresentare il 10% di tutte le vendite globali di carne, per un valore pari a 140 miliardi di dollari.
Dopo aver conquistato il mercato americano, l’industria della carne di origine vegetale è sbarcata nel vecchio continente e ci sono tutti i presupposti perché possa affermarsi con la stessa dirompenza con la quale si è imposta oltreoceano.
Cosa ne sarà dell’industria dell’allevamento convenzionale non è dato a sapersi, quel che è certo è che, se si ha davvero a cuore il destino del pianeta, è necessario che il settore pubblico compia i primi passi per realizzare strategie volte a migliorare la produzione degli alimenti in termini di impatto sull’ambiente.
La sfida all’industria della carne è stata lanciata. Starà a questa, ora, rispondere.
