Il rapporto dell’organismo sulla biodiversità lancia l’allarme e punta il dito contro l’uomo
Un milione di specie, animali e vegetali, è a rischio di estinzione. Il dato shock giunge dal recente rapporto dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES), organismo creato dalle Nazioni Unite, ora indipendente, che riunisce esperti scientifici in materia di biodiversità provenienti da tutto il mondo.
Il ‘2019 Global Assessment Report on Biodiversity and Ecosystem Services’ può considerarsi il resoconto più esaustivo e schiacciante mai stilato nella storia sullo stato della natura e degli ecosistemi, e sull’enorme impatto che l’essere umano sta avendo su questi.
Frutto del triennale lavoro collettivo di 145 esperti provenienti da 50 nazioni, le oltre 1.500 pagine del rapporto denunciano come l’uomo stia protraendo una vera e propria estinzione di massa ai danni della biodiversità che popola la biosfera della Terra.
Altro che amore per il Creato, l’impronta dell’uomo sul pianeta rischia di compromettere interi ecosistemi nel giro di pochi anni.
«Questa perdita è un risultato diretto dell’attività umana e costituisce una minaccia diretta per il benessere umano in tutte le regioni del mondo» ha dichiarato Robert Watson, presidente dell’IPBES.
Dal 16° secolo ad oggi, almeno 680 specie di vertebrati sono state spazzate via dall’attività umana, e più del 9% delle razze dei mammiferi utilizzati nei settori dell’agricoltura e dell’allevamento sono scomparse, con almeno un altro migliaio a rischio.
Ma il dato che sicuramente più inquieta è il trend per il futuro, senza precedenti nella storia: su un totale di otto milioni di specie che si stima popolino oggi il nostro pianeta, almeno un milione rischia l’estinzione nel giro di pochi decenni.
«La salute degli ecosistemi da cui dipendiamo – ha chiosato il presidente dell’IPBES – così come di tutte le altre specie, si sta deteriorando più velocemente che mai. Stiamo erodendo le basi stesse della nostra economia, della nostra sicurezza alimentare, della salute e della qualità della vita in tutto il mondo».
Oggi, l’abbondanza media delle specie nei diversi ambienti è diminuita almeno del 20%. Solo in Italia potremmo presto non trovare più l’allodola – meno 50% in 40 anni – la farfalla blu – meno 38% – mentre un terzo delle api ed insetti è a rischio estinzione, senza dimenticare scoiattoli rossi, pipistrelli e ricci.
L’ecosistema che tuttavia desta maggior preoccupazione è quello dei coralli, la cui estinzione potrebbe alterare completamente gli equilibri marini, con gravissimi impatti sugli equilibri della biosfera e sulla sicurezza alimentare.
Infatti, al di là del deterioramento del capitale naturale in sé, il rapporto IPBES mostra chiaramente come la perdita di biodiversità – che vede come principali cause agricoltura e allevamento intensivi, deforestazione selvaggia e consumo incontrollato di energia – avrà un impatto diretto sul benessere e sulla salute di tutti noi: dal cibo all’acqua potabile, dall’energia alla produzione di farmaci, fino all’assorbimento di CO2.
Ad oggi, tre quarti dell’ambiente terrestre e circa il 66% dell’ambiente marino sono stati significativamente modificati dall’azione umana. Il degrado del suolo ha ridotto la produttività dei terreni del 23%, la scomparsa degli insetti impollinatori ha determinato danni per 577 miliardi di dollari all’agricoltura in tutto il mondo, 100-300 milioni di persone sono soggette ad un maggior rischio di inondazioni ed uragani.
Di questo passo, una serie di settori economici rischia di ritrovarsi in pochi anni alle corde, e con loro, tutti i servizi ecosistemici fornitici dalla natura cui la biodiversità garantisce resilienza.
«In generale la perdita di specie e habitat rappresenta un pericolo per la vita sulla Terra tanto quanto lo è il cambiamento climatico», ha dichiarato il professor Watson.
Il rapporto dimostra indiscutibilmente come le risposte messe in campo siano tutt’altro che sufficienti, ed un profondo cambio di paradigma sia necessario per proteggere e restituire linfa vitale a Madre Natura.
«Per affrontare le principali cause di danno alla biodiversità dobbiamo capire la storia e l’interconnessione globale di una serie di fattori, dal cambiamento demografico al motore economico, così come i valori sociali che li sostengono». Così si è espresso il Prof. Eduardo Sonnewend Brondízio, uno dei principali autori del report IPBES. «I driver chiave – ha continuato il Professore – includono un aumento della popolazione e del consumo pro-capite, l’innovazione tecnologica, che in alcuni casi ha ridotto e in altri casi ha aumentato il danno alla natura e, criticamente, le questioni di governance e responsabilità. Un elemento che emerge è quello dell’inter-connettività globale e del “telecoupling” – ovvero l’estrazione e la produzione di risorse che spesso si verificano in una parte del mondo per soddisfare i bisogni dei consumatori di regioni lontane».
La relazione dell’IPBES, comunque, a fronte di questi dati presenta una vasta gamma di azioni utili a rallentare e mitigare le conseguenze di tutto questo. Alla luce di ciò, si presta ad essere la base per politiche migliori nel prossimo decennio, per scongiurare la sesta estinzione di massa.
Ma se vi steste ancora chiedendo chi è il predatore più pericoloso del pianeta, sappiate che è l’uomo.
