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Declino degli uccelli nelle aree agricole, un trend preoccupante

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Declino degli uccelli nelle aree agricole, un trend preoccupante ultima modifica: 2024-02-26T00:36:10+01:00 da Marco Grilli
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Il declino degli uccelli agricoli in Italia (-36% dal 2000 al 2023), rilevato dal Farmland Bird Index, indica la necessità della transizione ecologica

L’agricoltura intensiva continua a far danni. Le popolazioni degli uccelli agricoli in Italia sono diminuite del 36% dal 2000 al 2023, a rilevarlo è lo studio della Lega italiana protezione uccelli (Lipu) sul Farmland Bird Index, con i risultati dell’anno appena trascorso.

L’indice è calcolato dalla Lipu su incarico del ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle foreste, nell’ambito della Rete rurale nazionale.

Meno 36% nel complesso degli ambienti agricoli in Italia, addirittura meno 50% in Pianura Padana. Sono ancora peggiori dell’anno precedente i nuovi dati 2023 sulla presenza di uccelli nelle zone agricole, a conferma che il Green Deal e la transizione ecologica devono proseguire senza indugi e anzi rafforzarsi, sapendo conciliare le esigenze della produzione agricola con l’indispensabile tutela della biodiversità, comunica la Lipu.

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I dati del declino degli uccelli

Le 10 specie di uccelli agricoli le cui popolazioni hanno subito i maggiori cali sono rispettivamente: il torcicollo ed il calandro (-78%); il saltimpalo (-73%); l’averla piccola (-72%); la passera d’Italia (-64%); la passera mattugia (-63%); l’allodola ed il verdone (-54%); la rondine (51%) e la cutrettola (-50%).

I dati del nuovo FBI sono drammatici con 20 delle 28 specie prese in esame, ossia oltre il 70% del totale delle specie, con indici di popolazione in declino significativo. Si tratta, tuttavia, di numeri purtroppo attesi, poiché nessuna delle politiche e delle misure che avevano lo scopo di invertire la tendenza è stata messa in atto”, ha commentato Federica Luoni, responsabile Agricoltura della Lipu.

Alcune specie sono ormai quasi scomparse, altre molto presenti in passato – quali la passera d’Italia, la rondine e l’allodola – hanno subito una perdita di oltre il 50% della loro popolazione. La causa è facilmente identificabile e risponde al nome di agricoltura intensiva.

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In pianura, dove è particolarmente diffuso questo metodo di produzione e si fa sentire l’urbanizzazione, le popolazioni di uccelli sono ormai dimezzate. La Lipu reclama quindi l’approvazione urgente delle norme europee che tutelano la biodiversità, tramite il ripristino di ambienti andati distrutti (elementi del paesaggio, zone umide di pianura) ed il rafforzamento della Politica agricola comune (Pac) in difesa dell’ambiente. Per l’organizzazione ambientalista, ad esempio, l’opzione di lasciare incolto il 4% dei terreni destinati a seminativi è stata “troppo frettolosamente posticipata”, in seguito alle proteste degli agricoltori verificatesi in vari Paesi dell’Unione europea.

Le altre aree e le misure naturalistiche

Il declino degli uccelli non riguarda solo la pianura ma perfino i mosaici mediterranei e gli ambienti collinari, specialmente nel Centro-sud del Paese, dove la Lipu segnala il calo di otto specie su nove (torcicollo, upupa, usignolo, saltimpalo, verdone, cardellino, verzellino e ortolano, si salva solo il rigogolo, il cui trend è in aumento).

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Si tratta di una consistente riduzione delle popolazioni, fatta risalire alla “banalizzazione dei paesaggi agricoli” ed all’utilizzo dei prodotti chimici. Una leggera ripresa si nota invece per le specie delle praterie montane (stiaccino, culbianco ecc.), nonostante una tendenza complessiva ancora poco rassicurante, che si attesta ad un -24%.

Nonostante il quadro negativo, le possibilità di ripresa ci sono, in particolare in quelle aree agricole dove la produzione è meno intensiva e industriale, e dove la biodiversità ancora è presente. Per questo è importantissimo incentivare le misure naturalistiche, in Europa e in Italia, dalle quali l’agricoltura non può che trarre beneficio in termini di salute del suolo, presenza di impollinatori, ricchezza dei servizi ecosistemici, qualità del cibo e del paesaggio. Il futuro è questo”, ha commentato Luoni.

Lo studio europeo

La gravità di questa situazione non riguarda purtroppo solo il nostro Paese ma l’intera Europa. Lo ha dimostrato un recente studio di citizen science, coordinato da Stanislas Rigal dell’Università francese di Montpellier e pubblicato su PNAS.

Questo lavoro ha analizzato le relazioni tra le popolazioni di 170 specie di uccelli comuni –  monitorate dal 1980 al 2016 in più di 20.000 siti in 28 Paesi europei – e quattro diffuse pressioni antropiche: agricoltura intensiva, cambiamento nella copertura forestale, urbanizzazione e cambiamento di temperatura.

Lo studio ha rilevato che “lintensificazione dell’agricoltura, in particolare l’uso di pesticidi e fertilizzanti, è la principale pressione per il declino della maggior parte delle popolazioni di uccelli, in particolare per quelli che si nutrono di invertebrati”. 

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Più nello specifico, le popolazioni degli uccelli agricoli hanno evidenziato un maggiore calo (-56,8%), rispetto a quelle degli uccelli dei boschi (-17,7%) e delle città (-27,8%). “Le specie che vivono nei terreni agricoli e nelle zone fredde stanno diminuendo universalmente in quasi tutti i paesi europei, ad eccezione di alcuni paesi orientali per i quali i dati di monitoraggio sono disponibili per un periodo di tempo più breve”, si legge nello studio.

In tutta Europa il numero di uccelli selvatici è diminuito di oltre un quarto dal 1980, in particolar modo a causa dell’ampio utilizzo in agricoltura di pesticidi e fertilizzanti, che hanno sterminato le popolazioni di invertebrati di cui si nutrono gli uccelli delle aree agricole, in primis rondoni, cutrettole e pigliamosche, i più colpiti da questa situazione.

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Gli invertebrati rappresentano una parte importante della dieta di molti uccelli almeno in alcune fasi di sviluppo. Sono particolarmente cruciali durante il periodo riproduttivo per 143 specie tra le 170 studiate per le quali, ad esempio, una riduzione della disponibilità di cibo potrebbe avere un impatto sul successo riproduttivo”, evidenzia lo studio

L’agricoltura intensiva ed in seconda battuta l’urbanizzazione sono i fattori di pressione più gravi sulle popolazioni di uccelli, in particolare nell’Europa occidentale rispetto a quella orientale. Un calo notevole si è registrato pure per i volatili dei climi freddi (-39,7%) a causa dell’aumento delle temperature nel Vecchio Continente per via del cambiamento climatico.

Lo studio rileva che i fattori di pressione analizzati possono avere conseguenze positive o negative a seconda delle specie. La maggiore diffusione dell’agricoltura intensiva ha inciso negativamente non solo sugli uccelli che vivono nelle aree agricole, ma anche sulle specie la cui dieta si basa almeno in parte sugli invertebrati durante la stagione riproduttiva, sui migratori su lunghe distanze e sugli uccelli boschivi. In sintesi sulla stragrande maggioranza degli uccelli comuni.

Sempre l’agricoltura intensiva influenza negativamente le popolazioni di uccelli anche nei Paesi con un’intensità agricola media inferiore, poiché tra questi l’effetto dell’intensificazione agricola è ancora più evidente. Inoltre, pure l’aumento delle dimensioni delle unità di produzione, evidente nell’agricoltura intensiva, contribuisce al declino delle popolazioni di uccelli, “probabilmente attraverso la riduzione dell’eterogeneità degli habitat”, sottolinea lo studio.

“Considerando sia l’enorme impatto negativo dell’intensificazione agricola sia l’omogeneizzazione introdotta dai cambiamenti di temperatura e di uso del suolo, i nostri risultati suggeriscono che il destino delle comuni popolazioni di uccelli europei dipende dalla rapida attuazione del cambiamento trasformativo nelle società europee, e in particolare nella riforma agricola”, concludono gli autori di questo importante lavoro di citizen science.

[Credits foto: dendoktoor su Pixabay]

Declino degli uccelli nelle aree agricole, un trend preoccupante ultima modifica: 2024-02-26T00:36:10+01:00 da Marco Grilli

Laureato in Lettere moderne, giornalista pubblicista e ricercatore in storia contemporanea, è consigliere dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea. Nei suoi studi si è occupato di Resistenza, stragi nazifasciste e fascismi locali, tra le sue pubblicazioni il volume “Per noi il tempo s’è fermato all’alba. Storia dei martiri d’Istia”. Da sempre appassionato di tematiche ambientali, ha collaborato con varie testate online che trattano tali aspetti. Vegetariano, ama gli animali e la natura, si sposta rigorosamente in mountain bike, tra i suoi hobby la corsa (e lo sport in generale), il cinema, la lettura, andar per mostre e la musica rock.

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