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Un’umanità in fuga, gli effetti della crisi climatica sulle migrazioni forzate

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Un’umanità in fuga, gli effetti della crisi climatica sulle migrazioni forzate ultima modifica: 2023-12-25T07:02:01+01:00 da Marco Grilli
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Un’umanità in fuga è il report di Legambiente in collaborazione con UNHCR che indaga il complesso rapporto tra la crisi climatica e le migrazioni forzate

La crisi climatica è anche un’emergenza umanitaria. Ingiusta, perché colpisce di più coloro che hanno meno contribuito al degrado ambientale. A livello globale, a fine settembre 2023 sono oltre 114 milioni le persone in fuga da guerre e violenze, il 60% di queste si trova nei Paesi più vulnerabili all’impatto dei cambiamenti climatici, quali Siria, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Afghanistan e Myanmar. Dagli orrori delle guerre alle difficoltà per affrontare le avversità climatiche il passo è breve.

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Nell’ultimo decennio gli effetti della crisi climatica hanno causato in questi Stati una media di 5,7 milioni di sfollati all’anno, una quota pari al 25% di tutti gli sfollamenti legati a catastrofi ambientali. La fotografia dei complessi rapporti tra queste due gravi criticità globali emerge dal rapportoUn’umanità in fuga. Gli effetti della crisi climatica sulle migrazioni forzate”, realizzato da Legambiente in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR).

Questo importante lavoro, ricco di dati, mappe e analisi, è stato presentato ufficialmente all’Università la Sapienza di Roma e mira a rimettere al centro dell’agenda politica internazionale un tema così delicato, in un’ottica di solidarietà, accoglienza e inclusività.

I commenti al rapporto Un’umanità in fuga

Per Legambiente è fondamentale il recupero della cooperazione e del dialogo a livello globale, puntando al contempo su politiche incisive contro la crisi climatica e per l’adattamento.

Luscita dai combustibili fossili è considerata la pietra miliare per contenere l’aumento delle temperature globali entro la soglia critica di 1,5°C e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 (obiettivo per la prima volta messo nero su bianco perfino alla recente COP 28 di Dubai), ma serve anche “un serio e concreto patto di solidarietà con l’impegno dei Paesi industrializzati nel sostenere finanziariamente gli interventi di adattamento e di supporto necessari nei Paesi più poveri e più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico”, ha commentato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente.

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In merito al rapporto, il cigno verde si è rallegrato per la collaborazione con l’UNHCR, anche perché ritiene oggi assolutamente essenziale il ruolo di ausilio ai governi delle Nazioni Unite per affrontare l’urgente sfida della crisi climatica, che ha impatti a lungo termine sullo sviluppo sostenibile di ogni Paese.

Quello che i dati citati raccontano è anche che la maggior parte delle persone sfollate a causa di disastri ambientali rimane all’interno dei propri Paesi d’origine, spesso vivendo in aree altrettanto esposte ai rischi legati alle condizioni metereologiche, come inondazioni e tempeste”, specifica Legambiente.

La crisi climatica è una crisi umanitaria anche nelle parole di Chiara Cardoletti, rappresentante UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino, “dopo gli orrori della guerra e della violenza, i rifugiati sono costretti ad affrontare anche le avversità indotte dal clima. Non solo, sempre più spesso il cambiamento climatico è alla base dei conflitti che costringono le persone alla fuga. Per UNHCR è urgente affrontare il crescente impatto che il cambiamento climatico ha sulle persone in fuga”.

Impatti e disuguaglianze del surriscaldamento globale 

La crisi climatica colpisce tutti, ma non tutti allo stesso modo”. Il rapporto sottolinea questa evidenza che deve essere posta alla base di politiche che siano giuste, poiché  “la crescita esponenziale delle disuguaglianze in questi anni è parte del problema e cominciare da qui è condizione ineludibile per il successo delle stesse politiche di adattamento, che devono coinvolgere, prioritariamente, i più vulnerabili”.

Se per l’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) “il cambiamento climatico minaccia di annullare gli ultimi 50 anni di progressi nello sviluppo, nella salute globale e nella riduzione della povertà”, altrettanto chiare sono le conclusioni di uno studio del 2019 della Stanford University, che ha calcolato una riduzione tra il 17 ed il 31% del Prodotto interno lordo (Pil) pro capite nei Paesi in via di sviluppo, quale conseguenza del riscaldamento globale.

Gli studi citati nel rapporto fanno tremare i polsi e squarciano un velo sulle disuguaglianze: a fronte del 10% delle famiglie più ricche che a livello globale contribuiscono a circa il 40% delle emissioni di gas serra, approssimativamente oltre il 40% della popolazione mondiale vive in contesti di estrema vulnerabilità ai cambiamenti climatici (dati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC).

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Al momento, però, nonostante provvedimenti e conclusioni delle varie Conferenze sul clima, le politiche di adattamento paiono ridursi alla sola facoltà di emigrare. Le prospettive sono tutt’altro che rosee: secondo la Banca Mondiale entro il 2050 i migranti climatici saranno almeno 216 milioni, ”il numero più alto riguarderà l’Africa sub-sahariana: 86 milioni di persone, pari al 4,2% della popolazione totale; 49 milioni in Asia orientale e nell’area del Pacifico, 40 milioni in Asia meridionale. In Africa settentrionale si prevede che ci sarà la più alta percentuale di migranti climatici, 19 milioni di persone, pari al 9% della sua popolazione, a causa principalmente della riduzione delle risorse idriche”.

Il prezzo della crisi climatica

Il rapporto evidenzia sia le forti correlazioni tra cambiamenti climatici e conflitti, citando ad esempio la guerra in Siria nel 2011, sia la visione distorta delle dinamiche dello sviluppo, secondo la quale bastano un po’ di aiuti ai Paesi in via di sviluppo quale deterrente alle emigrazioni.

La relazione tra cambiamenti climatici e conflitti è duplice, perché “se da una parte è concorde l’influenza dei cambiamenti climatici sull’incremento dei conflitti armati, dall’altra è provato l’esponenziale incremento delle emissioni dovute all’importazione di armi, alla manodopera militare e all’impatto sull’ambiente delle armi utilizzate, nonché la perdita di foreste e biodiversità e l’inquinamento di suolo e bacini idrici”, si legge nel rapporto.

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I disastri ambientali provocano ingenti danni ma anche un alto numero di vittime (45mila l’anno in media a livello globale): pure in questo caso a pagare di più il conto sono le persone povere ed i Paesi a basso reddito. Più in generale, i cambiamenti climatici aggravano le crisi, provocano nuovi sfollamenti e ostacolano i rientri in sicurezza.

Prima di attraversare un confine nazionale, molte persone passano per una fase di sfollamento interno, un fenomeno in continua crescita, “nel corso del 2022 sono stati registrati 60,9 milioni di spostamenti interni in 151 Paesi e territori, il 60% in più rispetto al 2021, la cifra più alta di sempre. Solo l’anno scorso abbiamo assistito a oltre 32 milioni di nuovi sfollamenti a causa di disastri, il 98% dei quali legati ad eventi atmosferici come inondazioni, tempeste e siccità”.

Un gran numero di individui in fuga, al di là delle cause degli spostamenti, possono inoltre ritrovarsi in quelle che sono definite “trappole climatiche”, ovvero in insediamenti o campi esposti a gravi rischi climatici (ad esempio i rifugiati Rohingya in Bangladesh, insediati su terreni esposti a cicloni, inondazioni e frane).

Sebbene poi i movimenti forzati dipendano da vari fattori, tra cui i cambiamenti climatici, quest’ultimi non sono generalmente accettati come motivo valido per richiedere asilo, a meno che non siano accertati i motivi di persecuzione previsti dalla Convenzione di Ginevra del 1951 per la concessione dello status di rifugiato.

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Gli autori del rapporto evidenziano che molte persone in fuga a causa dei cambiamenti climatici dovrebbero rientrare in questa categoria, poiché in Paesi colpiti da disastri ambientali le persone più vulnerabili possono essere particolarmente a rischio, alcuni gruppi di individui possono esser presi di mira (ad esempio giornalisti e ambientalisti), il degrado ambientale può diventare una vera arma di oppressione verso parti della popolazione (ad esempio distruggendo deliberatamente le risorse naturali o le terre ancestrali), mentre l’insicurezza alimentare ed il mancato accesso al cibo possono essere frutto di persecuzione.

L’appello dell’UNHCR per il clima

Il rapporto presenta inoltre tre focus su Paesi particolarmente colpiti dalla crisi climatica (Afghanistan, Somalia, Burkina Faso), alcune interessanti testimonianze di persone in fuga e l’appello dell’UNHCR per il clima.

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Quest’ultimo richiede la rapida eliminazione dalla dipendenza dai combustibili fossili, la partecipazione nelle decisioni politiche dei rifugiati e/o sfollati e delle comunità che li ospitano, lo stanziamento urgente di fondi per le misure di adattamento e mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici (con particolare attenzione alle persone in fuga), ed infine l’inclusione dei movimenti forzati nelle disposizioni riguardanti rischi e conseguenze della crisi climatica nelle leggi e nelle politiche nazionali, garantendo quando possibile l’applicazione della normativa in materia di rifugiati e di diritti umani.

Volevo e voglio essere la voce della siccità, la voce di chi è oggi consapevole che non è normale che non ci sia acqua”, testimonia nel rapporto Madi Keita, 35 enne maliano fuggito nel 2008 dal suo Paese a causa del riscaldamento globale e del mancato rispetto dei diritti umani, oggi mediatore interculturale in Italia dopo una terribile esperienza per arrivare in Europa.

[Credits foto: @legambiente.it]

Un’umanità in fuga, gli effetti della crisi climatica sulle migrazioni forzate ultima modifica: 2023-12-25T07:02:01+01:00 da Marco Grilli

Laureato in Lettere moderne, giornalista pubblicista e ricercatore in storia contemporanea, è consigliere dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea. Nei suoi studi si è occupato di Resistenza, stragi nazifasciste e fascismi locali, tra le sue pubblicazioni il volume “Per noi il tempo s’è fermato all’alba. Storia dei martiri d’Istia”. Da sempre appassionato di tematiche ambientali, ha collaborato con varie testate online che trattano tali aspetti. Vegetariano, ama gli animali e la natura, si sposta rigorosamente in mountain bike, tra i suoi hobby la corsa (e lo sport in generale), il cinema, la lettura, andar per mostre e la musica rock.

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