La canzone della Terra – Per l’Earth Day il film prodotto da Wim Wenders

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La canzone della Terra – Per l’Earth Day il film prodotto da Wim Wenders ultima modifica: 2024-04-14T06:03:19+02:00 da Emanuel Trotto
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La canzone della Terra, il documentario prodotto da Wim Wenders è una intima riflessione sul pianeta che lasceremo alle future generazioni.

Parlare di cinema significa, inequivocabilmente, parlare di altro. In quanto il film stesso come media è suscettibile a molteplici letture e a diverse interpretazioni. Parlare di cinema è parlare anche del tempo che passa. Lo scrittore, regista e drammaturgo Jean Cocteau (1889 – 1963) ha definito il cinema «la morte al lavoro sull’attore» in quanto esso diventa suscettibile ai capricci del tempo a favore della continuità della trama. In pochi istanti possono passare decenni o più. In un’ora e mezza si può raccontare la vita di un uomo, tralasciando le imperfezioni e il superfluo. Quelli che sono anche i tempi morti. Lo scorrere del tempo, all’interno del film, tuttavia non cambia per chi lo vive.

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L’esistenza è l’esistenza, così come lo sono i pensieri sul passare del tempo e su quello che rimane. Ci si pone delle domande sull’eredità che, una volta che tutto è passato, possiamo a nostra volta trasmettere. Un pensiero che esce dal cinema e che diventa riflessione su altro. Un qualcosa che va al di là della semplice visione di un prodotto audiovisivo. La canzone della Terradi Margreth Olin, prodotto da Wim Wenders e Liv Ullman pone queste domande e queste riflessioni. Dopo essere stato presentato al Toronto International Film Festival e vari festival in giro per il mondo, il film verrà distribuito da Wanted Cinema dal 15 al 17 aprile in occasione dell’Earth Day con il patrocinio del CAI. La canzone della Terra, inoltre, è stato il candidato della Norvegia agli Academy Awards 2024come Migliore Film Internazionale.

La canzone della Terra di Margreth Olin poster
La canzone della Terra di Margreth Olin, il poster.

È la storia di Margreth una figlia inquieta prima ancora che la regista del film. Sente lo scorrere del tempo: realizza che ogni momento può essere prezioso perché unico nella sua essenza. Quindi ritorna alle radici, in Norvegia, dai suoi genitori: Jørgen di 85 anni e Magnhild 76. Margareth è in cerca di un conforto e di risposte.  

«Vi voglio molto bene e vi voglio ringraziare per esserci sempre stati per me. Penso che persino ora, che sono passati trent’anni da quando sono andata, chiamo ancora questo posto casa. Sento il tempo scorrere, non posso immaginare di perdervi», confessa la Olin ai suoi genitori all’inizio del film, nel salotto di casa loro. Un ambiente intimo ma carico di silenzi: quelli in cui non c’è nulla da dire, o perché si è già detto tutto. E non serve altro che la vicendevole compagnia. «Quando ce ne andremo non dovresti… voglio dire, potrai piangere. Ma dovresti ricordare i bei tempi: questo rende tutto più facile», le risponde il padre con semplicità. «A ogni generazione ne segue un’altra, è completamente naturale. Accade a tutti!».

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Già questo basta per capire. Ma è solo l’inizio. «Avremo bisogno di un anno, poi capirai.» Le dice Jørgen prima di iniziare questo viaggio. Una lunga camminata nella valle di Oldedalen nel Nordfjord. Una vallata dominata dall’ immenso ghiacciaio di Briksdalsbreen. Che, nel corso dei decenni, si è notevolmente ridotto. La grande massa di ghiaccio si assottiglia, man mano che scende, fino a diventare un rivolo trasformandosi in un torrente. Questi raggiunge lo specchio d’acqua sottostante. Il ghiaccio, l’acqua e anche la neve, diventano la metafora del tempo. Si può cristallizzare e congelare il momento con la stessa facilità con la quale può sciogliersi e scorrere via inesorabilmente, diventando qualcosa di diverso.

La canzone della Terra Margreth Olin
Una scena de La canzone della Terra

Noi vediamo i dettagli del ghiacciaio al suo interno, entriamo a fondo nelle crepe del ghiaccio stesso. Sentiamo i mini scricchiolii prodotti dai cristalli, che diventano scroscio contro le rocce. Si arriva fino al silenzio delle nuvole che avvolgono le cime dei monti come un velo soffice e impalpabile. Un ciclo assolutamente consueto, nulla di particolarmente traumatico se non fosse che sta avvenendo troppo in fretta. Il ghiaccio si rompe e va a schiantarsi con un sordo boato sempre più di frequente.

Il tempo si sta accorciando. Così come quello a disposizione per la regista di completare il suo percorso. Cresciuta a Stranda, nel nord della Norvegia, si trasferisce all’estero e ritorna spinta dalla necessità di riconnettersi. Quello che compie con suo padre non è solo un percorso nella Natura seguendo la filosofia norvegese della Friluftsliv, la «vita all’aria aperta». La canzone della terra è un diario intimo e personale. Un album di famiglia che viene sfogliato man mano che si mette un piede davanti all’altro. Sentiamo, attraverso la voce di Jørgen, la storia della sua famiglia. Di un padre, di un nonno e di un bisnonno che hanno vissuto in una comunità fortemente legata alla Natura e a tutto quello che essa offre, nel bene e nel male.

Jørgen Olin
Jørgen Olin, il padre della regista Margreth di fronte al Briksdalsbreen in un’altra scena da La canzone della Terra.

Come il disastro di Loen: nel 1905 e nel 1936 dalla montagna Ramnefjellet sono precipitate due frane che hanno distrutto i vicini insediamenti di Bødal e Nesdal. Ripercorriamo questa tragedia sia nelle parole di suo padre che nelle fotografie di quei giorni drammatici. Attraverso la patina ingiallita del tempo si vedono i soccorritori che recuperano i corpi, le bare accatastate in un grande funerale collettivo.

Sentiamo le voci di Jørgen e Margreth che leggono i nomi di chi non c’è più, mentre vediamo le riprese subacquee del lago Lovatnet. Là giacciono, immersi, i resti dei villaggi distrutti. Si intravedono i muretti, si vedono i cortili delle case e gli alberi che c’erano attorno. Sono tronchi oramai spogli ma rimasti lì al loro posto a creare un paesaggio di un altro mondo. Un mondo che non c’è più ma che è necessario ricordare. Il ciclo naturale delle cose o fatalità, dipende dai punti di vista. Qualcosa che si potrebbe dimenticare ma che resta lì a pochi metri dalla superficie a ricordarci questa verità.

Contrapposto c’è l’abete che ha piantato il bisnonno di Jørgen quasi due secoli prima. Imponente e che sovrasta tutti gli alberi della foresta, ci ricorda ancora una volta il valore della resilienza. Ma, soprattutto, che il tempo non è mai perso.

La canzone della Terra – Per l’Earth Day il film prodotto da Wim Wenders ultima modifica: 2024-04-14T06:03:19+02:00 da Emanuel Trotto

Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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