Chemical Bros, il documentario sui danni da fluoro al Clorofilla Film Festival

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Chemical Bros, il documentario sui danni da fluoro al Clorofilla Film Festival ultima modifica: 2023-12-17T07:35:58+01:00 da Marco Grilli
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Chemical Bros, presentato al Clorofilla Film Festival, è il documentario che racconta le terribili conseguenze dell’inquinamento da fluoro 

La produzione del fluoro nasconde veleni, ingenti profitti, insabbiamenti e problemi alla salute. A documentarlo efficacemente è Chemical Bros, il docu-film di Massimiliano Mazzotta (2022) che ci guida lungo un interessante viaggio/inchiesta in Sardegna, Veneto ed Inghilterra, alla scoperta dei numerosi danni prodotti da questo elemento chimico.

Il film, prodotto da Life After Oil associazione culturale e Medicina Democratica con il sostegno di Fondazione Sardegna Film Commission, è stato presentato recentemente al Clorofilla Film Festival, di cui eHabitat è media partner.

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Chemical Bros ha partecipato a numerose rassegne cinematografiche e si è aggiudicato importanti premi, tra questi: premio ambiente e società al CinemAmbiente (2022), miglior film (Award Ecology) al Green Montenegro International Film Festival (2022), miglior documentario internazionale al Rajasthan International Film Festival (2023) .

Il regista Massimiliano Mazzotta, direttore artistico di Life After Oil International Film Festival dal 2014, con il suo primo lungometraggio Oil ha vinto il premio come miglior documentario italiano al CinemAmbiente 2009, con menzione speciale di Legambiente. Il film è stato definito di interesse nazionale dal garante della Privacy, a nulla sono valse le denunce della famiglia Moratti nei confronti del regista.

L’attività estrattiva in Sardegna e la Fluorsid

Dopo un omaggio a Kubrick, Chemical Bros passa in rassegna testimonianze ed immagini di repertorio sulla durezza e pericolosità del lavoro in miniera, spesso privo delle più elementari norme di sicurezza, con costo altissimo in vite umane. È il caso ad esempio di Giovanni Dallai, la prima vittima della miniera sarda di fluorite, morto a 36 anni nel 1960 dopo essere rimasto intossicato per aver tratto in salvo un compagno di lavoro. Il profitto prima di tutto, al prezzo di incidenti mortali, infermità e morti precoci per malattie professionali.

In Sardegna l’estrazione della fluorite parte nel 1953, negli anni Ottanta la miniera prende il nome di Genna Tres Montis, l’estrazione si interruppe nel 1987 e riprese saltuariamente fino alla cessazione totale delle attività nel 2006.

La produzione coinvolse 670 ettari di territorio tra i Comuni di Silius e San Basilio, protagonista assoluta la famiglia Giulini, che dagli anni Sessanta prese il controllo della miniera con il conte Carlo Enrico, padre di Tommaso, l’attuale proprietario della Fluorsid – azienda leader nella produzione e vendita di fluoroderivati inorganici – nonché presidente del Cagliari calcio.

Fluorsid sviluppa l’intero processo produttivo della catena di valore del fluoro in nove sedi strategiche tra Italia, Svizzera, Regno Unito, Norvegia e Bahrein, distribuendo i suoi prodotti in tutto il mondo.

Un tesoro chiamato fluoro, a partire dal prodotto di base, l’acido fluoridrico, fino alla criolite ed al fluoruro di alluminio, impiegati nelle fonderie d’alluminio, alla fluorite sintetica, utilizzata nel settore edilizio, ed al solfato di calcio, un sottoprodotto che può essere utilizzato nei cementifici, “impropriamente sotterrato e smaltito in discariche abusive nei dintorni dell’azienda Fluorsid”, afferma nel film Marco Caldiroli, presidente di Medicina Democratica.

È il 16 maggio 2017 quando scoppia lo scandalo ambientale della Fluorsid, sette persone agli arresti per disastro ambientale, inquinamento e smaltimento illecito di rifiuti. Il documentario alterna immagini e testimonianze su questo grave episodio di contaminazione ambientale, tra le pecore degli allevatori ammalate di fluorosi che presentano una crescita anomala di denti ed ossa e son destinate ad una morte precoce, gli agricoltori dei campi vicini alla discarica della Flurosid che hanno perso fino al 75% del loro raccolto, la ruggine ovunque, le polveri che continuano a volare.

Il veterinario della Asl incaricato dalla Procura, che accertò la fluorosi, confessa la gravità di un inquinamento diffuso andato avanti per anni senza alcun controllo, con un impatto ambientale devastante e pericoli per la salute dei consumatori di prodotti di origine animale.

“Mancano dati analitici approfonditi sulla diffusione dell’inquinamento, Regione e Istituto Zooprofilattico hanno molto spesso girato la faccia dall’altra parte”, denuncia il veterinario che si è visto respingere la richiesta di ulteriori esami, mentre Caldiroli rivela che il piezometro della Fluorsid ha rilevato livelli elevatissimi di fluoruri nelle acque, 1280 mg/l, quando un sito è potenzialmente contaminato ad un valore di 1,5 mg/l.

Chemical Bros denuncia un clima generale di connivenze, omessi controlli e conflitto d’interessi, alle immagini della fabbrica si susseguono voci fuori campo che testimoniano il malaffare, profitto e solo profitto è la parola d’ordine. Il processo si è chiuso con 11 patteggiamenti, il leader della Fluorsid ha concordato un piano di bonifica ambientale da 22 milioni di euro ancora inattuato: così la giustizia ha messo la parola fine a questa vicenda.

Una tappa in Inghilterra mostra i gravi episodi di inquinamento nel Derbyshire (dove la miniera fu aperta nel 1965), l’oggi racconta che Fluorsid è presente dal 2012 a Cavendish Mill, nel Peak District National Park, con l’obiettivo di diventare leader nell’industria fluorochimica.

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Il documentario ci porta poi nello stabilimento della birra Ichnusa ad Assemini (Ca), di proprietà della Heyneken, che per la produzione utilizza l’acqua potabile della falda in zona. Un testimone in incognito riferisce i risultati delle analisi di alcuni fa sul contenuto di fluoro della birra, 4,8 mg/l, quando per l’acqua potabile il limite è a 1,5 mg/l. Nell’area industriale di Macchiareddu, dove opera Fluorsid, gli inquinanti oltre al fluoro erano il tricloetilene ed altri idrocarburi riconosciuti cancerogeni. “Mi stupisce che non ci siano delle analisi fatte da enti pubblici che verifichino che l’acqua prelevata dalla Heyneken dalla falda sia adatta all’uso alimentare”, commenta il testimone.

Analisi sullo stesso lotto di birra fatte da due diversi laboratori mostrano discrepanze non attribuibili al range d’incertezza delle analisi stesse, trattandosi di differenze troppo elevate. Tornano i dubbi di condizionamenti e connivenze, mentre la sindaca di Assemini, venuta a conoscenza di questo episodio di inquinamento, si è vista rifiutare un incontro in Regione.

Fluoro e uranio

La catena di valore del fluoro è molto ampia. Il docente universitario Angelo Baracca spiega l’importanza di questo elemento chimico nella trasformazione dell’uranio, materiale metallico, in un prodotto gassoso. L’industria nucleare, civile e militare, può andare avanti solo grazie alla produzione di esafluoruro di uranio. Se l’uranio arricchito è utile per l’industria energetica nucleare, quello ridotto a metallo, ovvero impoverito, è un materiale denso, pesante e penetrante utilizzato in campo militare per realizzare proiettili.

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Un’arma sporca e pericolosa per i militari, spiega Baracca, perché con l’esplosione “l’uranio impoverito si polverizza in particelle ultrafini che si disperdono nell’atmosfera e rendono la zona intorno radioattiva”.

Attraverso la testimonianza della madre, Chemical Bros segue la vicenda di un militare sardo impiegato in Kosovo, Valery Melis, morto a soli 27 anni nel 2004, dopo che gli era stato diagnosticato un linfoma di Hodgkin. Con una storica sentenza del Consiglio di Stato fu riconosciuto il nesso causale tra malattia e aree di guerra a rischio, sopra la bara del defunto trovarono spazio solo le bandiere del Cagliari e dei suoi ultras, non quella italiana. Di enorme valore la testimonianza di Melis all’Unione Sarda, che ruppe il muro di omertà sull’uso dell’uranio impoverito nei teatri di guerra e nei poligoni sardi.

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I PFAS

L’ultima parte di Chemical Bros ci porta in Veneto per l’inquinamento da sostanze alchiliche perfluorate e polifluorate (PFAS). La prima sostanza perfluoralchilica fu scoperta per caso all’interno del progetto Manhattan per la costruzione della bomba atomica, dopo la guerra, grazie ad ulteriori studi, la DuPont scoprì altre caratteristiche e inventò l’attuale Teflon.

Oggi i PFAS, composti a catena relativamente lunga di atomi di carbonio saturati con atomi di fluoro, trovano impiego in molti ambiti, basti pensare ai rivestimenti di carta e cartone, ai cartoni delle pizze ed alla carta da forno, ai detergenti, alla cera per i pavimenti ecc.

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Si tratta però di sostanze altamente inquinanti, persistenti, ad accumulo e nocive per la salute umana, all’origine di un vero e proprio disastro ambientale in Veneto, dove sono state rilasciate a partire dal 1965 dall’industria conciaria e tessile ed hanno contaminato la falda acquifera che interessa attualmente circa 200mila persone.

Da una campagna di monitoraggio del fiume Po e di altri fiumi (2013) è stato possibile risalire alla sorgente di contaminazione, ovvero la fabbrica della Miteni nel Comune di Trissino (Vi), fallita nel 2018.

Andando a ritroso si scopre l’origine dell’inquinamento, ovvero la produzione di PFAS da parte di un’azienda dismessa, la RiMar della famiglia Marzotto, che svolgeva le proprie attività proprio in una villa palladiana in centro a Trissino, nelle cui vicinanze gli alberi andavano letteralmente a fuoco. La fabbrica fu poi spostata al di sopra di una grande falda acquifera, fino alla vendita proprio alla Miteni (Mitsubishi più Eni), nata nel 1988, che scaricava i suoi inquinanti direttamente nel torrente Poscola.

Nel vicentino, nell’arzignanese, in val di Chiampo si intuiva la moda della stagione successiva dalla colorazione dell’acqua dei fiumi“, dichiara un’intervistata. L’area vicentina si caratterizza per un doppio inquinamento provocato dalle acque di acquedotto e da quelle del fiume Fratta (poi Gorzone), dove sono immesse le acque reflue di cinque depuratori della zona più industrializzata del vicentino.

Il processo di vivificazione (alle acque nere immesse nel fiume vengono aggiunte successivamente quelle pulite provenienti dall’Adige), non è altro in realtà che una diluizione dell’inquinamento, proibita dalla legge italiana.

Nel 2015-16 la Regione Veneto ha diviso il territorio in fasce in base alla contaminazione dell’acquedotto. La zona rossa A, dove sono contaminate sia le acque di falda che quelle di superficie, comprende parte della province di Vicenza, Verona e Padova per un totale di circa 130mila abitanti. Tra zona rossa e arancio i residenti coinvolti sono 200mila. In zona rossa, dove l’esposizione ai PFAS sale a 35 nanogrammi per millilitro, l’acqua non è potabile.

I PFAS sono tossici a basse concentrazioni, hanno effetti cancerogeni e si caratterizzano come potenti interferenti endocrini. Non si contano gli operai morti a causa di vari tumori o i sopravvissuti che ancora oggi hanno livelli elevatissimi di PFAS nel sangue, sono in grande aumento le patologie neurocognitive nella fascia adolescenziale, mentre nella zona di Lonigo (Vi) – una volta nota quale terra delle acque, oggi purtroppo dei PFAS – è a rischio la fertilità, il 50% delle donne in gravidanza contrae il diabete ed i bambini nascono sottopeso.

Alzano la voce le Mamme No PFAS, che esprimono tutta la loro rabbia nelle interviste rilasciate per il documentario. D’altronde, se nella zona rossa è vietato l’allattamento al seno, in quella arancio non è possibile avere accesso alle analisi neanche a pagamento, “come è possibile che non so se sto avvelenando mio figlio mentre lo allatto”, esclama una mamma furente.

Il finale del documentario alterna lo spot rassicurante della Fluorsid allo sconcerto dei testimoni che ogni giorno pagano le conseguenze dell’inquinamento sulla loro pelle. Il film di Mazzotta, coraggioso e necessario, ci fa capire che la chimica veramente utile è quella che non avvelena.

[Credits foto @Chemical Bros]

Chemical Bros, il documentario sui danni da fluoro al Clorofilla Film Festival ultima modifica: 2023-12-17T07:35:58+01:00 da Marco Grilli

Laureato in Lettere moderne, giornalista pubblicista e ricercatore in storia contemporanea, è consigliere dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea. Nei suoi studi si è occupato di Resistenza, stragi nazifasciste e fascismi locali, tra le sue pubblicazioni il volume “Per noi il tempo s’è fermato all’alba. Storia dei martiri d’Istia”. Da sempre appassionato di tematiche ambientali, ha collaborato con varie testate online che trattano tali aspetti. Vegetariano, ama gli animali e la natura, si sposta rigorosamente in mountain bike, tra i suoi hobby la corsa (e lo sport in generale), il cinema, la lettura, andar per mostre e la musica rock.

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