I padroni della terra è il VI rapporto Focsiv sul land grabbing e le sue conseguenze sui diritti umani, l’ambiente e le migrazioni
114,8 milioni di ettari sono stati oggetto di operazioni di land grabbing negli ultimi 20 anni: a riferirlo è “I padroni della terra”, il VI rapporto sull’accaparramento della terra e le sue conseguenze, redatto dalla Federazione degli organismi cristiani servizio internazionale volontariato (Focsiv) e presentato alla Camera dei deputati.
Questo importante studio è dedicato ai 401 difensori dei diritti umani e dell’ambiente uccisi in 26 Paesi ed alle altre 1.500 persone minacciate, violentate o detenute sempre per il loro impegno in difesa delle comunità e delle popolazioni indigene e contro la devastazione del territorio e l’inquinamento su grande scala. “A questa già grave situazione si aggiunge la crescente criminalizzazione delle organizzazioni della società civile, in un mondo che diventa sempre più autoritario, ingiusto ed indifferente”, specifica Focsiv.
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Dal rapporto emerge come il fenomeno del land grabbing a danno degli indigeni e dei contadini sia in continua crescita a causa di nuove tendenze geopolitiche ed economiche internazionali. “In particolare, la convergenza tra le conseguenze della guerra in Ucraina, con l’uso del cibo come arma impropria, e la transizione ecologica con la nuova corsa alle materie prime critiche, sta provocando una accelerazione della competizione tra blocchi geopolitici per il controllo e lo sfruttamento della terra”, scrive Ivana Borsotto, presidente Focsiv.
Land grabbing, una piaga da combattere ora!
L’accaparramento della terra risulta un fenomeno strutturale della crescita economica sia per l’economia capitalista sia per quella pianificata; il problema è che paradossalmente potrà esserlo anche per la cosiddetta economia verde e circolare. Il rapporto evidenzia questi aspetti e denuncia le loro conseguenze, ovvero la perdita di biodiversità, tanto che numerosi scienziati già parlano della “sesta estinzione di massa” di specie animali e vegetali. Da qui l’impegno delle Nazioni Unite e della stessa Unione europea per cercare di arrestare questa crisi, ma i progressi sono ancora troppo lenti.
L’Unione Europea sta negoziando la nuova direttiva per regolare il comportamento delle imprese al fine di tutelare i diritti umani e l’ambiente, le organizzazioni della società civile italiana (Focsiv compresa), a loro volta, sostengono la campagna Impresa 2030 affinché il negoziato riconosca i diritti all’autodecisione delle comunità e la loro difesa dai grandi interessi privati.
Le stesse organizzazioni restano impegnate sul campo per tutelare il diritto alla terra delle comunità locali ed il miglioramento delle condizioni di vita tramite l’agroecologia. Chiedono però che il loro impegno volontario e solidale sia più valorizzato dalla politica estera e di cooperazione internazionale italiana, “una cooperazione da rilanciare raggiungendo lo 0,70% del reddito nazionale lordo per l’aiuto pubblico allo sviluppo, come si è impegnato a fare lo Stato italiano, già cinquant’anni fa e, ancora recentemente, firmando l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite: questo chiede la Campagna 070”, chiarisce Borsotto.
La competizione geopolitica sulla terra
Con il termine grabbing si intende la tendenza a fare incetta di merci al fine di creare una riserva in previsione di un aumento dei loro prezzi o proprio per provocare il loro rincaro.
Come già accennato, la crisi climatica e la guerra in Ucraina stanno espandendo l’uso della terra e del cibo per motivi economici e di egemonia geopolitica, aggravando le condizioni delle comunità contadine ed indigene ed impattando pesantemente sull’ambiente.
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La guerra in Ucraina ha allargato la frattura tra blocchi geopolitici, tanto che per alcuni analisti siamo già entrati in una nuova fase della globalizzazione. La stessa Russia utilizza il cibo come arma geopolitica, al fine di destabilizzare e rinsaldare e creare nuove alleanze. “Crisi climatica, dipendenza dei paesi impoveriti da quelli occidentali ed emergenti nel nuovo multipolarismo, speculazioni dei mercati, sono fenomeni che da tempo peggiorano la sicurezza alimentare e la vita di oltre 800 milioni di persone nel mondo, delle comunità contadine ed indigene sempre più oggetto di land grabbing”, si legge nel rapporto.
Le filiere del valore, comandate da grandi imprese e governi, tendono a ridisegnarsi. La fase della delocalizzazione si sta ristrutturando in quella delle nuove rilocalizzazioni tra paesi amici (friendshoring), che accentua il fenomeno del land grabbing e la cooptazione dei Paesi poveri da parte dei diversi poteri egemonici.
Nella competizione geopolitica si rafforzano rapporti storici a livello internazionale e se ne creano di nuovi. Da una parte, ad esempio, i governi occidentali hanno firmato un patto per il controllo dei minerali critici – fondamentali per la transizione ecologica e presenti soprattutto nei Paesi in via di sviluppo – ma i nuovi piani industriali con forti sostegni pubblici per acquisire il controllo di risorse strategiche replicano schemi neocoloniali e colpiscono soprattutto le comunità più vulnerabili; dall’altra i governi dei Paesi in via di sviluppo cercano di vendersi al migliore offerente, tentando pure di creare nuove alleanze geopolitiche tra di loro per migliorare la contrattazione con i Paesi ricchi. Argentina, Cile, Bolivia e Brasile, ad esempio, stanno dialogando per formare un cartello del litio.
Oltre ai governi gli altri attori in scena sono le grandi multinazionali. Le acquisizioni e fusioni tra i giganti dell’estrazione puntano ad accrescere il loro potere economico e di conseguenza la capacità di contrattazione con i governi di tutti i Paesi. I sacrificati sugli altari di questi processi di arricchimento sono l’ambiente e le comunità contadine ed indigene, scarti della geopolitica e della geoeconomia.
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“La competizione geopolitica mostra la crisi del multilateralismo e quindi di tutte quelle misure che, anche se deboli, cercavano di promuovere l’applicazione di principi relativi alla salvaguardia dei diritti umani e della natura nel comportamento delle imprese e dei governi”, si legge nel rapporto. Queste condizioni, tra l’altro, rafforzano i regimi autoritari e minano la sicurezza del sistema internazionale. L’analisi degli impatti a livello locale di Land Matrix – la banca dati che raccoglie informazioni sui contratti di cessione e affitto di grandi estensioni terriere – mostra che in Africa si è ancora ben lontani dal rispettare il diritto alla terra delle comunità contadine ed indigene.
Per Focsiv occorre ripartire dalla “sovranità fondata sui diritti delle popolazioni più vulnerabili ed emarginate, sul diritto alla terra e al cibo come bene comune”, ripudiando il “sovranismo eretto su interessi nazionali che rappresentano élite politiche ed economiche”.
I dati mondiali degli investimenti sulla terra
L’analisi di Land Matrix rivela che il land grabbing negli ultimi 20 anni ha riguardato 114,8 milioni di ettari (+26 milioni di ettari nel 2022), “l’Africa è il primo continente dove si realizzano gli investimenti che possono comportare fenomeni di accaparramento di terre a danno delle comunità locali, seguito dall’America Latina, dall’Europa orientale e poi dall’Asia”.
Le intenzioni di investimento sono rivolte principalmente allo sfruttamento di foreste (40%), all’estrazione mineraria (33%) ed all’agricoltura (26%), mentre i primi Paesi oggetto di accordi conclusi sono la Russia (in primis per investimenti sulla terra), il Perù (per l’estrazione mineraria) ed il Congo (per le monocolture agricole e l’estrazione mineraria).
Dal terzo grafico pubblicato si evince che i primi dieci investitori sulla terra sono principalmente i Paesi occidentali sedi delle grandi multinazionali (guida la Svizzera), seguiti da Cina, Giappone e da Singapore, sede di multinazionali e fondi di investimento. Più in dettaglio, i dati Land Matrix indicano come “la Cina sia attualmente il paese con più interessi distribuiti nel mondo, avendo accordi con ben 53 paesi per la concessione di terre, seguita dagli Stati Uniti con investimenti in 47 paesi, poi la Gran Bretagna, un paese ex coloniale e imperiale, che mantiene accordi con 42 paesi, e il Canada che grazie ad alcune grandi imprese multinazionali del settore estrattivo opera in 41 paesi”.
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Il rapporto analizza scrupolosamente alcuni casi di land grabbing nel mondo, ci limitiamo a citare la lotta delle comunità contadine contro la multinazionale SIAT che investe nella produzione di olio di palma e gomma naturale in Costa d’Avorio, la repressione in Colombia contro le Comunità per la Pace, il water grabbing con relativo degrado ambientale per la produzione di avocado in Cile, il caso del litio in Bolivia e l’involuzione della riforma agraria in Perù, indebolita dall’estrazione ed esportazione di minerali da parte delle grandi imprese alleate dei governi.
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Le raccomandazioni di Focsiv
Il rapporto si chiude con dieci raccomandazioni proposte alle istituzioni italiane.
Tra queste evidenziamo: il maggiore impegno della cooperazione allo sviluppo italiana in termini quantitativi (il già citato 0,7% del RNL) e qualitativi (programmi per l’agroecologia e i difensori dei diritti umani), con l’applicazione da parte della Cassa Depositi e Prestiti di un meccanismo per garantire l’accesso alla giustizia da parte delle comunità contadine ed indigene colpite da land grabbing; la partecipazione attiva sia al negoziato delle Nazioni Unite per un trattato vincolante sulle imprese per i diritti umani, sia a quello per la direttiva dell’Unione europea sulla sostenibilità sociale ed ambientale delle imprese; la realizzazione degli impegni presi nelle COP sul riscaldamento globale, accelerando la transizione ecologica e la finanza sul clima, ed infine il sostegno al monitoraggio delle linee guida volontarie delle Nazioni Unite sui regimi fondiari, per difendere il diritto alla terra delle comunità contadine ed indigene.
[Credits foto: Focsiv, www.abbiamorisoperunacosaseria.it]