Ascoltare la scienza, oltre che un auspicio, è l’appello in 15 punti firmato da 22 presidenti di associazioni scientifiche in vista delle elezioni europee
Si avvicinano le elezioni europee e anche gli scienziati alzano la loro voce. L’appello appena pubblicato – sottoscritto da 22 presidenti di associazioni scientifiche – denominato Ascoltare la scienza, ribadisce l’irresponsabilità delle scelte politiche basate sulla negazione della conoscenza scientifica.
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“La scienza è l’unica fonte affidabile di informazione sulla realtà che ci circonda, sul funzionamento del mondo fisico, chimico, geologico e biologico; è essenziale nella formazione di ogni persona; è riconosciuta come la base dello sviluppo tecnologico e del miglioramento della qualità di vita delle persone. Ogni società moderna deve basarsi sulla conoscenza scientifica. Non farlo avrebbe conseguenze molto gravi per la nostra salute, la nostra economia e il nostro benessere”, scrivono gli scienziati.
Nonostante queste evidenze inoppugnabili, il negazionismo continua però a diffondersi, spopola in rete e fa nuovi accoliti, condizionando spesso anche gli esiti delle votazioni nei Paesi democratici. In vista delle importanti elezioni europee di giugno, in un contesto segnato ancora da guerre, crisi climatica e difficoltà economiche, il mondo della scienza lancia dunque “un forte e sentito appello a tutte le forze politiche impegnate a giugno 2024 per eleggere i propri rappresentanti nel nuovo Parlamento Europeo affinché non neghino i risultati della conoscenza scientifica e si esprimano su come intendono risolvere i gravi problemi che affliggono il nostro clima e il deteriorato rapporto con i sistemi naturali della Terra”.
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Il metodo scientifico
I sottoscrittori dell’appello si soffermano innanzitutto sui tre fattori che determinano l’affidabilità della ricerca scientifica, ovvero: i dati scientifici devono essere verificabili e replicabili; ogni ricerca scientifica è sottoposta a valutazioni indipendenti di competenza di esperti nel campo specifico, ed infine gli stessi dati scientifici sono messi a disposizione di tutti in modo trasparente.
“Si tratta di un faticoso, lento ed esteso processo di analisi critica e verifica di evidenze sperimentali e osservative che permette di consolidare le conoscenze, valutandone al contempo limiti e contesti di applicabilità. Tutti i ricercatori in ogni ambito scientifico pubblicano i loro risultati su riviste scientifiche solo dopo aver attentamente verificato la veridicità e robustezza dei risultati e delle conclusioni”, specificano gli scienziati.
Per capire i cambiamenti nella situazione climatica e gli impatti di quest’ultima sullo stato degli ecosistemi e della biodiversità, le Nazioni Unite hanno creato due istituzioni fondamentali, l’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc) e l’Intergovernmental science-policy platform onbiodiversity and ecosystem services (Ipbes).
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Il primo è un organismo intergovernativo istituito nel 1988 che analizza lo stato delle conoscenze scientifiche sul cambiamento climatico, valutandone impatti e rischi, oltre alle opzioni di adattamento e mitigazione.
Il secondo, fondato nel 2012, è invece l’equivalente dell’Ipcc per la conoscenze sulla situazione della biodiversità e degli ecosistemi nel mondo, con un focus particolare sullo stato dei servizi ecosistemici. “È grazie a istituzioni come l’IPCC e l’IPBES, che svolgono in modo continuativo e indipendente il ruolo di raccolta e verifica delle ricerche e degli studi effettuati dagli specialisti di tutto il mondo, che i decisori politici possono contare sulle migliori informazioni possibili per prendere le loro decisioni”, specificano i sottoscrittori dell’appello.
Il negazionismo scientifico
Nonostante il consenso unanime della comunità globale scientifica nei confronti delle analisi fornite da queste due organizzazioni intergovernative e le evidenze scientifiche emerse negli ultimi 60 anni di studi da parte di migliaia di ricercatori, chiare nel far risaltare che “le attività umane hanno un ruolo determinante e preponderante nella genesi dei cambiamenti climatici e nella profonda trasformazione dei sistemi naturali e che gli effetti che ne derivano sono e saranno responsabili di una progressiva perdita di biodiversità, di degrado delle condizioni ambientali, nonché di danni economici, sociali, e di perdita di salute e vite umane” – si legge nell’appello – il negazionismo scientifico continua imperterrito a rifiutare quanto ormai si conosce o è scientificamente dimostrato, propalando pregiudizi, tesi fantasiose e teorie del complotto.
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“Le conoscenze scientifiche consolidate continuano ad essere messe in dubbio o negate sulla base di convinzioni personali, soprattutto quando i risultati delle ricerche vanno contro gli interessi economici o le ideologie politiche. Campagne sistematiche di disinformazione sono state promosse da lobby economiche per confondere i cittadini e diffondere dubbi sulle evidenze scientifiche acquisite. La produzione di false verità (‘fake truths’) contribuisce a frenare, rimandare e persino a bloccare le azioni necessarie a contrastare i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità, riducendo gravemente le possibilità di adattamento e di riduzione degli impatti attesi”, recita l’appello.
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Dalla scienza giungono dunque conoscenze fondamentali per giungere ad adottare decisioni politiche responsabili, mentre l’atteggiamento di negare od ostacolare le conoscenze scientifiche espone la collettività a rischi gravi ed evitabili. Prenderne atto il prima possibile ci aiuterà a costruire un futuro sostenibile.
I 15 punti dell’appello Ascoltare la scienza
L’appello si chiude con lo stato delle conoscenze, ovvero 15 punti sui quali vi è pieno consenso scientifico, relativi all’impatto delle attività umane sui sistemi naturali.
Vediamoli in sintesi. L’Olocene, ovvero il periodo geologico della storia della Terra nel quale viviamo, è iniziato 11.700 anni fa ed ha fornito le condizioni favorevoli per la fioritura della civiltà umana e la crescita della popolazione (ad esempio con la nascita dell’agricoltura 10mila anni fa).
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L’Homo Sapiens, a sua volta, è una specie che non può esser considerata al di fuori della natura perché “è geneticamente, anatomicamente, fisiologicamente, dipendente dal funzionamento dei sistemi naturali che gli permettono di respirare, bere e mangiare e dai quali dipende la sua salute fisica e psichica”, ribadiscono gli scienziati. Per quanto riguarda la popolazione umana, dai circa 225 milioni di abitanti della Terra nell’anno zero, si è passati gradualmente ad un miliardo agli inizi del XIX secolo, fino agli otto miliardi del 2022.
“La specie umana costituisce solo lo 0,01% della biomassa vivente sulla Terra, ma a partire dalla rivoluzione industriale è diventata la specie dominante, in grado di modificare i cicli biogeochimici e fisici, i sistemi naturali e la distribuzione e sopravvivenza delle altre specie a livello globale”, spiegano gli autori dell’appello.
Pensate, gli esseri umani costituiscono il 36% della biomassa di tutti i mammiferi, solo il 4% è costituito da tutte le specie selvatiche, mentre il 60% è rappresentato da specie allevate, quindi bovini, ovini, caprini, suini ed equini. L’uomo ha stravolto tutto: solo il 30% della biomassa degli uccelli è costituito dall’avifauna selvatica, un drastico cambiamento rispetto agli inizi del Novecento, quando le specie selvatiche di mammiferi ed uccelli costituivano la maggior parte della biomassa dei vertebrati del Pianeta.
Ancora, il peso di tutti i manufatti costruiti dall’uomo sulla Terra (antropomassa) supera la massa complessiva di tutti gli esseri viventi e raddoppia ogni 20 anni. Tutto questo mentre “i sistemi naturali della Terra diminuiscono in quantità e varietà di specie viventi a ritmi senza precedenti e il tasso di estinzione delle specie sta accelerando a causa dei pesanti interventi dovuti all’azione umana”. La salute degli ecosistemi si sta dunque deteriorando ad una velocità senza precedenti, “pregiudicando la sostenibilità delle nostre economie, la sicurezza alimentare, la salute e la qualità della vita di tutti gli esseri umani in tutto il mondo”.
Le attività umane hanno ormai alterato il 75% degli ambienti delle terre emerse e circa il 66% degli ambienti oceanici, poiché più di un terzo della superficie terrestre e circa il 75% delle risorse di acqua dolce sono destinati alla produzione agricola e zootecnica. “Diverse forme di inquinamento solido, liquido e gassoso creano notevolissimi danni ambientali e causano malattie e decessi nella specie umana” – nove milioni all’anno sono i morti per il solo inquinamento atmosferico – mentre ogni anno si producono oltre 400 milioni di tonnellate di plastica (19-23 milioni di tonnellate sono disperse nei fiumi e nei mari, frammentandosi in microplastiche assai nocive).
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Per non parlare poi degli effetti della rivoluzione industriale sulla concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, passata da circa 278 parti per milione (ppm) di volume nell’epoca pre-industriale alle 420 ppm attuali.
“Le attività umane attraverso le emissioni di gas serra hanno inequivocabilmente causato il riscaldamento globale con una temperatura superficiale globale che ha raggiunto nell’intervallo 2011-2020 il valore di 1,1°C al di sopra del periodo 1850-1900. Il 2023 è stato l’anno con la temperatura media della superficie terrestre e degli oceani più calda nei dati sulla temperatura globale presenti dal 1850. La temperatura media globale è stata di 14,98°C”, ribadiscono gli scienziati.
Stiamo assistendo ad un riscaldamento in continuo aumento rispetto al periodo 1850–1900; negli ultimi 50 anni la temperatura è aumentata ad una velocità senza precedenti negli ultimi 2000 anni. “Ogni anno che passa immettiamo nell’atmosfera una quantità crescente di gas ad effetto serra. Le emissioni di biossido di carbonio hanno raggiunto nel 2023 la cifra di 40 miliardi di tonnellate tra le emissioni dovute all’utilizzo dei combustibili fossili e quelle dovute alle modifiche degli usi dei suoli e la deforestazione”, si legge nell’appello.
Ascoltare la scienza dovrebbe essere un imperativo.
[Credits foto: mauriciodonascimento su Pixabay]
