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Difensori della terra nel mirino, il dossier di Global Witness

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Difensori della terra nel mirino, il dossier di Global Witness ultima modifica: 2023-03-28T07:26:14+02:00 da Marco Grilli
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Un dossier dell’Ong Global Witness fa il punto sugli attacchi ai difensori della terra e dell’ambiente in tutto il mondo, nel 2021 si contano 200 vittime

Continuano le uccisioni dei difensori della terra e dell’ambiente in tutto il mondo, ben 1.733 negli ultimi 10 anni, uno ogni due giorni. Lo denuncia l’Ong Global Witness nel rapporto “A decade of defiance: ten years of reporting land and environmental activism worldwide”, che rileva un trend costante nelle minacce portate agli attivisti in prima linea nella lotta ai crimini ambientali.

Nel ricordare il collega Chut Wutty, ucciso in Cambogia in seguito alle sue indagini sul disboscamento illegale, l’amministratore delegato di Global Witness Mike Davis chiarisce il senso del rapporto: “In tutto il mondo, le popolazioni indigene e i difensori dell’ambiente rischiano la vita per la lotta contro il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità. Gli attivisti e le comunità svolgono un ruolo cruciale come prima linea di difesa contro il collasso ecologico, oltre ad essere i primi nella campagna per prevenirlo. Questo rapporto mira a condividere le riflessioni su come pensiamo a queste domande ora – dieci anni dopo la morte di Wutty – e lancia un appello urgente agli sforzi globali per proteggere e ridurre gli attacchi contro i difensori”.

I dati del 2021

Il dossier di Global Witness ha registrato 200 uccisioni di attivisti ambientalisti nel 2021, quasi 4 persone a settimana. “Questi attacchi letali continuano a verificarsi nel contesto di una più ampia gamma di minacce contro i difensori che vengono presi di mira da governi, imprese e altri attori non statali con violenza, intimidazione, campagne diffamatorie e criminalizzazione. Questo sta accadendo in ogni regione del mondo e in quasi tutti i settori”, si legge nel report.

Il più alto numero di omicidi registrati spetta al Messico (54), dove le vittime sono principalmente individui appartenenti alle popolazioni indigene (oltre il 40%). Oltre tre quarti degli attacchi riportati nel dossier riguarda l’America Latina, con alta concentrazione in Amazzonia ed aumenti in Brasile (26) ed in India (14).

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In Africa, dove gli omicidi documentati sono 10, la violenza ha toccato soprattutto il parco nazionale di Virunga in Congo, il primo ad esser stato istituito nel Continente nero (1925), noto per la sua biodiversità e la presenza del gorilla di montagna, ma purtroppo agli onori delle cronache per il bracconaggio, le razzie e gli interessi illeciti dei gruppi armati presenti in zona. In sintesi, un luogo estremamente pericoloso per i ranger chiamati a proteggerlo, mentre in tutta l’Africa continuano ad essere difficili le segnalazioni dei casi di violenza.

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Il target principale degli attacchi è costituito soprattutto dalle popolazioni indigene, che rappresentano oltre il 40% delle vittime nonostante corrispondano solo al 5% della popolazione mondiale. Messico, Colombia, Nicaragua, Perù e Filippine i Paesi dove sono più colpite. Nel report non mancano le uccisioni di massa (12 quelle registrate), in Nicaragua sono caduti 15 indigeni e difensori della terra, uccisi da gruppi criminali nell’ambito della sistematica violenza contro le popolazioni indigene Miskitu e Mayangna.

Tra le categorie colpite risalta il dato dei piccoli agricoltori (50 le vittime), un segnale del pericolo dell’agro-industria, che con la logica della mercificazione e della privatizzazione della terra sta cancellando la sana agricoltura familiare su piccola scala, fondamentale per la sussistenza delle popolazioni locali ma messa ormai a rischio dalle piantagioni e dalla preminenza delle esportazioni e della produzione di materie prime.

Merita spazio pure la violenza di genere (1/10 delle vittime è costituito da donne), un’arma che affonda le sue origini nella misoginia e nelle ataviche discriminazioni, “usata in modo sproporzionato contro le donne che difendono l’ambiente e i diritti umani per controllarle e metterle a tacere e sopprimere il loro potere e la loro autorità come leader”, si legge nel dossier.

Il settore minerario resta quello legato al maggior numero di uccisioni (27 casi), più di 1/4 degli attacchi mortali risale allo sfruttamento delle risorse (non solo estrazione mineraria ma anche deforestazione, agro-industria, idroelettrico ecc.), mentre laddove non è identificabile un settore preciso i conflitti per la terra continuano ad essere il motivo principale della violenza.

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Gli esiti di 10 anni di ricerche

In 10 anni di ricerche sulle violenze contro i difensori della terra, Global Witness ha registrato alcuni progressi compiuti da governi e multinazionali, anche se spesso aleatori, oltre ad un maggior grado di consapevolezza sui rischi che corrono gli attivisti. Secondo il Business and human rights resource centre, almeno 30 aziende hanno adottato provvedimenti per il rispetto delle libertà delle popolazioni locali e dei diritti degli attivisti. Spesso però si tratta di impegni volontari e non attuati in modo coerente.

Alcuni governi, soprattutto in Europa, hanno introdotto o stanno cercando di introdurre obblighi precisi per le aziende in materia di rispetto dell’ambiente e dei diritti umani. Molto importante è anche l’accordo di Escazú in vigore dal 2021, il primo trattato regionale sull’ambiente e sui diritti umani in America Latina e nei Caraibi, che è anche il primo strumento giuridicamente vincolante al mondo che include disposizioni sui difensori dell’ambiente.

Ogni morte di un difensore è un segno che il nostro sistema economico è marcio. Alimentata dalla ricerca del profitto e del potere, c’è una guerra per la natura e le prime linee sono le restanti regioni della Terra ricche di biodiversitàL’integrità di questi sistemi è sotto attacco da parte della criminalità organizzata e dei governi corrotti che vogliono sfruttare legname, acqua e minerali per profitti a breve termine, spesso illegali”, si legge nel report.

Le comunità indigene, spesso supportate dalla società civile nelle loro lotte, continuano ad essere le più minacciate. La perdita di vite si unisce a quella di culture, lingue e saperi tradizionali, mentre gli omicidi restano nella maggior parte dei casi impuniti a causa dei governi corrotti e degli interessi economici. Il dossier ribadisce che la perdita di biodiversità e i cambiamenti climatici non possono essere affrontati efficacemente senza difendere le popolazioni indigene, fondamentali nella tutela ambientale.

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Dopo aver analizzato le situazioni specifiche di vari Paesi e alcune vittorie riportate nelle battaglie ambientali, Global Witness espone le sue raccomandazioni e afferma che il potere risiede nella resistenza e nella protesta collettiva. Il dossier invoca maggiori protezioni per gli attivisti e mira ad ispirare più che a scoraggiare, perché “è fondamentale che il lavoro dei difensori della terra e dell’ambiente continui e si amplifichi. Questo è il motivo per cui Global Witness continuerà a riferire sui difensori, per mostrare il loro valore al mondo”.

Difensori della terra nel mirino, il dossier di Global Witness ultima modifica: 2023-03-28T07:26:14+02:00 da Marco Grilli

Laureato in Lettere moderne, giornalista pubblicista e ricercatore in storia contemporanea, è consigliere dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea. Nei suoi studi si è occupato di Resistenza, stragi nazifasciste e fascismi locali, tra le sue pubblicazioni il volume “Per noi il tempo s’è fermato all’alba. Storia dei martiri d’Istia”. Da sempre appassionato di tematiche ambientali, ha collaborato con varie testate online che trattano tali aspetti. Vegetariano, ama gli animali e la natura, si sposta rigorosamente in mountain bike, tra i suoi hobby la corsa (e lo sport in generale), il cinema, la lettura, andar per mostre e la musica rock.

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