Lo scioglimento del permafrost apre una nuova partita fra Cina, Stati Uniti, Russia ed Europa. Oltre agli idrocarburi, ai minerali e ai gas i passaggi a Nord Ovest e Nord Est rivoluzioneranno le rotte commerciali e gli assetti geopolitici
Quando si parla di cambiamenti climatici, riscaldamento globale e scioglimento dei ghiacci artici ci si concentra quasi sempre sulle conseguenze ambientali, sui fenomeni meteorologici che si fanno sempre più estremi e devastanti e sulle prospettive di medio e lungo termine dei territori più esposti alle alterazioni del clima. Decisamente meno frequente è il dibattito su ciò che i cambiamenti climatici scatenano in termini di mutamenti geopolitici.
Oltre ai conflitti e ai flussi migratori provocati dai cambiamenti climatici, c’è un’altra questione nodale connessa al riscaldamento globale: la partita geopolitica che lo scioglimento dei ghiacciai artici ha aperto fra le potenze di Eurasia e Nord America.
In un incontro tenutosi lo scorso 13 febbraio al Circolo dei Lettori di Torino l’analista di Limes Federico Petroni e la meteorologa Valentina Acordon hanno cercato di districare il bandolo dell’intricata matassa dell’Artico, quell’ampia area polare che siamo abituati a immaginare come un “territorio” di ghiaccio, ma che sta molto rapidamente divenendo un grande mare al centro di un cerchio formato dalle coste nordamericane ed eurasiatiche.
La partita è aperta e i principali giocatori si chiamano Cina, Stati Uniti e Russia. Il ruolo di comprimari è rappresentato dal Canada, dalle due nazioni scandinave e dalla piccola Danimarca alla quale appartiene la Groenlandia, l’isola più grande del mondo, con una superficie di 2,1 milioni di kmq.
A solleticare gli appetiti delle grandi potenze che si affacciano sul Polo Nord non sono solamente i giacimenti di idrocarburi, le risorse minerarie e le acque alle quali attingere per alimentare un’industria ittica in affanno in altre zone di pesca: lo scioglimento dei ghiacci artici provocherà una vera e propria rivoluzione geopolitica, costringendo i grandi attori dello scacchiere internazionale a riorganizzare equilibri politici e rotte commerciali. Secondo Petroni, la portata di questa rivoluzione sarà paragonabile a quella successiva alle prime circumnavigazioni dell’Africa: “L’Artico ha una sua centralità come teatro delle grandi potenze Cina, Stati Uniti e Russia, conquistarlo è quasi impossibile, ma la corsa alle sue risorse è già partita”.
Gli investitori cinesi sono già all’opera in Groenlandia e questo non piace agli Stati Uniti che si sono opposti, per esempio, all’iniziativa di Pechino che era pronta a pagare di tasca propria quattro aeroporti nell’isola danese che conta attualmente poco più di 56mila residenti.
Sul versante opposto del Mar Glaciale Artico la Russia si sta organizzando per presidiare logisticamente e militarizzare 24mila chilometri di coste fra il confine con la Finlandia e lo Stretto di Bering. La Via della Seta Polare fa gola alla Cina perché ridurrebbe di un terzo i tempi per raggiungere l’Europa e fa gola alla Russia che sarebbe l’unico Paese in cui fare scalo prima di raggiungere il Vecchio Continente.
In un primo tempo la via sarebbe percorribile solamente nei mesi estivi, ma gli scenari climatici più catastrofici libererebbero le rotte anche nelle stagioni intermedie creando per buona parte dell’anno un’alternativa alla rotta di Suez.
C’è poi la già citata questione delle risorse energetiche. Fortemente voluto dal Cremlino, il porto di Sabetta ha aperto due anni fa la rotta artica al gas naturale liquefatto estratto nel mega giacimento della penisola di Yamal. Il consorzio è composto dalla russa Novatek (50,1%), dalla francese Total (20%), dai cinesi di Cnpc (20%) e dal Fondo di investimento Silk Road (9,9%). A sottolineare l’importanza strategica di questo avamposto energetico e commerciale è la militarizzazione dell’area che Mosca ha reso inaccessibile a chiunque non lavori o faccia affari con Novatek e soci.
Le conseguenze sugli equilibri geopolitici sono tutt’altro che prevedibili, così come lo è la progressione con la quale proseguirà lo scioglimento dei ghiacci artici. Il gap fra i modelli più ottimistici e quelli più pessimistici è ampio. Ovviamente bisogna accordarsi sul significato di ottimismo e pessimismo, perché per le superpotenze dell’economia mondiale la liberazione delle rotte artiche rappresenta una nuova ghiotta opportunità di business.
Sulla scacchiera geopolitica pesa anche la questione riguardante il Nord America che ha sempre contato sulla barriera artica per proteggere i propri confini settentrionali e si trova ora esposto dalla “liberazione” dei passaggi a Nord Ovest e a Nord Est. Nel 1867 gli Stati Uniti acquistarono dallo zar l’Alaska per 7,2 milioni di dollari i territori a est dello Stretto di Bering, mentre i tentativi di mettere le mani sulla Groenlandia si sono sempre scontrati con le resistenze della Danimarca. Ora il riscaldamento globale ridisegna la mappa delle estremità settentrionali del pianeta.
Nei prossimi anni sarà interessante capire che cosa accadrà in Groenlandia, paese grande sette volte l’Italia ma con una popolazione uguale alla città di Cuneo. Negli ultimi tempi le voci di una possibile indipendenza dalla Danimarca si sono fatte sempre più insistenti ma, conti alla mano, questo territorio che vive di pesca e con alti tassi di disoccupazione diventerebbe il Paese più povero dell’Unione Europea.
La situazione resta molto fluida, con infinite variabili che possono accelerare il riscaldamento globale e, di conseguenza, l’implementazione delle rotte commerciali artiche. Fra queste variabili vi è, senza dubbio, la liberazione del metano conseguente allo scioglimento del permafrost. Dal punto di vista ecologico si tratta di una delle conseguenze più gravi del riscaldamento globale: l’immissione del metano nell’atmosfera aumenta la concentrazione dei gas serra che fa aumentare ulteriormente le temperature sciogliendo i ghiacci in maniera più rapida. Questo circolo vizioso che sembra procedere in maniera inarrestabile resta un effetto collaterale del tutto trascurabile per Cina, Stati Uniti e Russia i cui interessi sono allineati su di un unico obiettivo: accumulare profitti.
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