Desertificazione e degrado del suolo, la situazione in Italia

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Desertificazione e degrado del suolo, la situazione in Italia ultima modifica: 2024-01-12T06:25:13+01:00 da Marco Grilli
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Desertificazione e degrado del suolo in Italia, ecco gli esiti dell’approfondimento contenuto nel rapporto sulla salute del suolo italiano al tempo della crisi climatica

La sicurezza alimentare globale è appesa ad un filo. Se è vero che il 95% della produzione mondiale di cibo dipende da terreni in buona salute, non può non suscitare preoccupazione il fatto che  il 90% dei suoli sarà a rischio entro il 2050. La perdita dei servizi ecosistemici comporta notevoli danni economici e anche nel Bel Paese la situazione è tutt’altro che rosea, visto che negli ultimi 25 anni abbiamo detto addio al 28% dei terreni coltivabili. Il rapporto 2023La salute del suolo italiano al tempo della crisi climatica”, realizzato da Re Soil Foundation, fotografa le varie forme di degrado ed indica le azioni prioritarie per invertire la rotta, adottando un approccio olistico. Uno degli approfondimenti del rapporto è dedicato ai fenomeni di desertificazione e degrado del suolo.

Desertificazione e degrado

La desertificazione ed il degrado del suolo sono due aspetti che comportano la progressiva perdita di produttività, dovuta sia alla modifica delle condizioni meteo-climatiche che all’azione dell’uomo.

Il termine desertificazione deriva proprio dalla parola deserto, sempre associata ad un’area poco produttiva dal punto di vista biologico, caratterizzato da rare e scarse precipitazioni, meno di 250 millimetri annui, che determinano una presenza minima di vegetazione e di fauna”, si legge nel rapporto.

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La mancanza di acqua, combinata ad altri fattori di degrado, causa la totale scomparsa della capacità biologica e produttiva del suolo. Tali fenomeni sono dovuti a motivi differenti: se in Africa, ad esempio, sono legati ai conflitti per l’utilizzo della terra, nei Paesi sviluppati (Italia compresa) sono correlati in primis alla scarsità di opportunità offerte nelle zone rurali più isolate, corrispondenti nel nostro Paese alle aree montane più marginali.

Da una parte i cambiamenti climatici determinano differenti condizioni di temperatura e disponibilità idrica, dall’altra l’azione dell’uomo si materializza spesso con un uso non sostenibile del suolo, che ne compromette la funzionalità e contribuisce al suo abbandono. Gli effetti sul suolo sono spesso lenti ma alla lunga catastrofici, proprio per osservare ed intervenire in tempo si fa riferimento al concetto di degrado, “indagando i fattori che predispongono la perdita di funzioni ecologiche già alle prime tracce”.

Risulta impossibile formulare soluzioni standardizzate per questo problema che viene spesso preso in considerazione solo in presenza di una crisi o di un evento catastrofico, in generale però “il mantenimento o il miglioramento della capacità produttiva della terra richiede uno spostamento verso una gestione sostenibile del suolo, che tenda a diminuire gli impatti dovuti all’azione dell’uomo e a prevedere strategia di adattamento ai cambiamenti climatici. La gestione sostenibile del suolo, dell’acqua e della biodiversità può aiutare a colmare le lacune di resa e aumentare la resilienza della terra”, si legge nel rapporto.

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Costi del degrado e vantaggi del ripristino 

La protezione degli ecosistemi terrestri rientra tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che chiede apertamente ai governi di contrastare la desertificazione ed arrestare il degrado del terreno per riuscire a raggiungere la Land Degradation Neutrality, ovvero un degrado netto pari a 0, grazie ad azioni di protezione, gestione sostenibile e ripristino.

Le attività umane hanno già alterato il 70% di tutte le terre libere dai ghiacci, con un impatto su oltre 3,2 miliardi di persone. La gestione sostenibile del suolo è dunque un imperativo urgente che è pure conveniente dal punto di vista finanziario, perché il costo di recupero di un ettaro di suolo è sempre inferiore alle perdite di un suolo degradato.

Lo conferma uno studio condotto nel 2022 dalla Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (UNCCD), secondo cui ogni dollaro investito in attività di ripristino ne restituisce 30 in benefici economici. “A livello globale, il costo del ripristino del territorio è calcolato in almeno 300 miliardi di dollari all’anno per ottenere risultati significativi entro il 2030, di gran lunga inferiore all’ammontare dei sussidi attualmente erogati agli agricoltori dei Paesi sviluppati”, si legge nel rapporto.

Le conoscenze tecnico-scientifiche per gli interventi di protezione e ripristino sono già potenzialmente disponibili, la sfida ora è a livello istituzionale e politico. Bisogna dunque agire celermente prevenendo ed attenuando i fenomeni di desertificazione e degrado, mettendo in atto azioni di ripristino e “soprattutto trovando e adottando soluzioni che permettano di accrescere il benessere dell’uomo senza distruggere quel capitale naturale su cui tale benessere si appoggia”.

Cause ed effetti del degrado

Proteggere il suolo è fondamentale. “Il suolo è la base della vita e spazio vitale per esseri umani, animali, piante e microrganismi, è un elemento fondamentale della natura e del paesaggio, è un insieme di habitat biologici e riserve genetiche, che rappresentano in quantità e in qualità la più vasta biomassa che esiste sulla terra, è parte dell’equilibrio ecologico”, specifica il rapporto, che evidenzia come questa risorsa sia fondamentale per proteggere la catena alimentare e le riserve di acqua potabile.

Le cause del degrado sono molteplici, dai fenomeni naturali come i cambiamenti climatici ai fattori antropici. I primi impattano sul suolo aumentando l’aridità, con conseguente abbassamento della produttività e riduzione delle coperture vegetali. “L’aumento degli incendi poi ne è certamente effetto diretto e causa diretta di deterioramento rapido degli ecosistemi. Anche la disintegrazione del suolo e la rimozione a causa dell’azione di pioggia e/o vento su terreni fragili è un effetto amplificato dai cambiamenti climatici che provocano fenomeni di erosione dello strato superficiale fertile”, si legge nel rapporto.

Le cause antropiche sono invece correlate alla gestione non sostenibile delle risorse naturali. Contaminazione e sfruttamento eccessivo delle acque e dei suoli sono all’origine del degrado di questa preziosa risorsa, messa a repentaglio da pratiche agricole dannose e dall’eccessivo utilizzo di macchinari, fertilizzanti e pesticidi. Un fenomeno molto diffuso in Italia è inoltre quello dell’impermeabilizzazione e consumo di suolo fertile a causa dell’espansione delle aree artificiali.

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Il degrado del suolo assume forme diverse, combinando in vario modo gli effetti delle diverse minacce chiamate erosione e disaggregazione, compattazione, salinizzazione, contaminazione (locale e diffusa), frane, perdita di biodiversità, consumo/impermeabilizzazione e diminuzione di sostanza organica.

Desertificazione e degrado producono effetti sulla produzione agricola e sulla disponibilità di aree naturali e culturali, impattando quindi sulla qualità di vita degli esseri umani. La questione della buona salute del suolo strettamente collegata a quella delle popolazioni è al centro della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (UNCCD).

Il degrado in Europa ed in Italia

La situazione europea, seppur migliore rispetto alla tendenza media globale, è comunque in declino. Maggiormente a rischio sono i terreni più fertili, mentre i suoli di pianura e lungo le coste – tra i più soggetti al degrado – continuano ad essere quelli più artificializzati, compattati e contaminati.

Il 60-70% dei suoli dell’Unione europea risulta insalubre e se la quota di aree impermeabili o artificiali è in media del 5%, in Italia supera il 7%. “Anche i suoli naturali’ (cioè senza regimi di gestione intensivi), che rappresentano il 52% del territorio dell’UE, sono oggetto del degrado, in particolare il 30% dei suoli non agricoli si sta erodendo a un livello insostenibile”.

Le maggiori incognite sono la contaminazione e la gestione dei rifiuti, il resto lo fa l’impatto dei cambiamenti climatici. Secondo le previsioni per l’Europa, il degrado del suolo e la desertificazione sono problemi gravi che stanno peggiorando.

L’ultimo rapporto IPCC delinea quattro categorie di rischi chiave per il Vecchio Continente: l’aumento del riscaldamento globale; lo stress idrico che ridurrà gli habitat adatti agli attuali ecosistemi terrestri; la combinazione di caldo e siccità causa della perdita di produzione agricola e delle inondazioni più intense e frequenti; ed infine la scarsità di risorse idriche nell’Europa meridionale, dove la domanda già oggi eccede la disponibilità.

Il degrado del suolo riguarda tutti i Paesi Ue, per quanto concerne le cause risulta che “la maggior parte dei suoli dell’UE stia attualmente perdendo carbonio organico, ricevendo più nutrienti del necessario, si stia erodendo o sia compattata o subisca una salinizzazione secondaria o abbia qualche combinazione”.

Secondo la Corte dei Conti europea, gli sforzi degli Stati membri per assicurare la gestione sostenibile del suolo non hanno avuto ambizione sufficiente rispetto alla gravità della situazione e, oltre tutto, non hanno fatto adeguatamente ricorso agli strumenti finanziari e legislativi a loro disposizione.

Prevenire, conservare, riusare e ripristinare restano le parole chiave semplici ma obbligatorie per garantire l’uso sostenibile del suolo, assicurando la compatibilità delle trasformazioni necessarie. La recente proposta di direttiva Ue per il monitoraggio e la resilienza del suolo ha il merito di migliorare i dati e le informazioni sulla salute dei diversi tipi di terreni.

In Italia i processi di degrado coinvolgono il 17% del territorio, con Lazio, Umbria e Marche che risultano le regioni più colpite. La siccità comporta invece effetti negativi sulla qualità di vita del 15% dei cittadini, riguardando il 20% del nostro territorio.

Il rapporto specifica che le aree più soggette alla desertificazione sono quelle dell’Italia centro-meridionale e insulare, “esposte a stress di natura climatica e alla pressione, spesso non sostenibile, delle attività umane sull’ambiente”.

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Proposte

Alla luce della complessità della situazione, gli autori di questo capitolo del rapporto chiedono di rendere i meccanismi di tutela del suolo più chiari ed efficaci, basandoli sulla migliore conoscenza scientifica e favorendone la consapevolezza a tutti i livelli, senza tralasciare la necessaria opera di sensibilizzazione e coinvolgimento di tutta la popolazione.

Per la protezione dei suoli, il recupero delle aree degradate e la sostenibilità degli usi, resta poi cruciale l’adozione di una visione integrata, che preveda “il miglioramento della conoscenza e della capacità di analisi e monitoraggio, insieme alle misure per produzioni agricole di qualità, locali e sostenibili e per la salvaguardia della ricchezza di diversità e la qualità dei nostri paesaggi. Questo consentirebbe di aumentare davvero la resilienza dei territori e il benessere sociale ed economico delle comunità”.

[Credits foto: josealbafotos su Pixabay]

Desertificazione e degrado del suolo, la situazione in Italia ultima modifica: 2024-01-12T06:25:13+01:00 da Marco Grilli

Laureato in Lettere moderne, giornalista pubblicista e ricercatore in storia contemporanea, è consigliere dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea. Nei suoi studi si è occupato di Resistenza, stragi nazifasciste e fascismi locali, tra le sue pubblicazioni il volume “Per noi il tempo s’è fermato all’alba. Storia dei martiri d’Istia”. Da sempre appassionato di tematiche ambientali, ha collaborato con varie testate online che trattano tali aspetti. Vegetariano, ama gli animali e la natura, si sposta rigorosamente in mountain bike, tra i suoi hobby la corsa (e lo sport in generale), il cinema, la lettura, andar per mostre e la musica rock.

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