Bentu – Una Sardegna senza tempo ritorna a Venezia79

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Bentu – Una Sardegna senza tempo ritorna a Venezia79 ultima modifica: 2022-09-13T15:35:37+02:00 da Emanuel Trotto
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Salvatore Mereu torna a Venezia79 alle 19 Giornate degli Autori, con il film Bentu, racconto della la sfida fra un contadino e la natura.

Inquadratura fissa. Un campo di grano sotto un cielo assolato: i colori sono netti. Il cielo è blu, senza una nuvola mentre il campo è di un bel giallo dorato. Nel mezzo c’è un vecchio contadino, armato di falce. Resta fermo per qualche istante. Poi, come se avesse ricevuto un segnale fuori dall’inquadratura, inizia a mietere forsennatamente il campo di grano nel quale è immerso fino alle ginocchia. La macchina da presa lo segue con un carrello laterale.

Questi gesti decisi sembrano mossi da una antica rabbia, o una antica sapienza. Siamo in Sardegna, che in antichità (e ancora oggi) è fregiata come il più grande granaio del Mediterraneo. Una terra in cui si sono combattute grandi battaglie. La più importante delle quali avviene in questi campi, fra l’uomo e il bentu (“vento” in lingua sarda). Il suo compito era quello di soffiare fra i grandi mucchi di grano mietuto e separarlo dalla paglia. Quest’ultima, aiutata dai forconi dei contadini che la offrivano a esso, volava via in quanto più leggera. Mentre il grano, più pesante, cadeva sul terreno. Ma il vento era non solo un amico, ma anche un nemico: poteva essere estremamente volubile, presentarsi quando vuole, o non presentarsi affatto.

Bentu film Salvatore Mereu

Chi è il vecchio contadino? Si chiama Raffaele ed è il protagonista di Bentu di Salvatore Mereu. Il film è stato presentato alla 79 Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia all’interno della selezione delle 19 Giornate degli Autori come il solo titolo italiano. Mereu torna a Venezia dopo due anni dal suo precedente lavoro, Assandira (2020) presentato alla Mostra in Fuori Concorso, e per la settima volta dal 2003 con Ballo a tre passi.

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In Assandira, ispirato all’omonimo romanzo di Giulio Angioni, si voleva raccontare di uno “snaturamento” delle tradizioni e della cultura sarda ad uso e consumo di una schiera di turisti amanti dell’esotico – in un rapporto che non si potrebbe non definire orgiastico. In Bentu – ispirato liberamente a Il vento e altri racconti di Antonio Cossu – si vuole entrare, metaforicamente e non, nella cultura della propria regione. Se il film precedente era estremamente barocco e stratificato (Mereu stesso lo ha definito «il mio film più difficile») Bentu lavora di sottrazione sia a livello stilistico che di durata: infatti dura appena settanta minuti. È ambientato, idealmente, negli anni Cinquanta, ma ogni connotazione temporale quasi scompare. Come gli anni Novanta di Assandira, siamo in un tempo funzionale. In Bentu segna passaggio da una agricoltura di tipo artigianale a un tipo di agricoltura meccanizzata.

bentu salvatore mereu
Un’immagine tratta dal film Bentu di Salvatore Mereu

Il volto duro di Raffaele, è di Peppeddu Cuccu, attore che ha esordito da bambino nel 1960 con Banditi a Orgosolo di Vittorio De Seta (1923 – 2011). Quest’ultimo oltre che regista di finzione, è considerabile come il padre del documentario italiano: egli, infatti, grazie ai brevi documentari girati fra la Sardegna e la Sicilia dal 1954 al 1959 ha raccontato, agli albori del boom economico, un Mondo perduto, come il titolo con il quale sono stati restaurati, raccolti e pubblicati tali lavori dalla Cineteca di Bologna nel 2008. Un mondo fatto di tradizioni ancestrali che si stavano perdendo. Allora come oggi.

protagonista di bentu film di salvatore mereu
Il protagonista di Bentu, Raffaele (Peppeddu Cuccu) resta fermo in attesa del vento.

Ciò non è dissimile dalla storia di Raffaele che, come ogni anno, raccoglie e accumula il grano per l’anno a venire. In attesa del vento egli decide di restare nel modesto podere di famiglia, aspettando il suo arrivo. Un arrivo costantemente tardato, fin quasi a dubitare che si verifichi. Bentu si manifesta in forma di timida brezza, insufficiente per svolgere la separazione come si deve. Raffaele resta lì, da solo, combattendo il parere di tutti in paese, che considerano la sua determinazione come un inutile capriccio.

«Anche se resti giorno e notte il vento non arriva lo stesso» gli viene fatto notare all’inizio del film dagli altri contadini. Loro si allontanano dal campo mentre lui resta, nella medesima posizione in cui lo abbiamo visto nella prima inquadratura. Per Mereu questa è la rappresentazione della sua determinazione. L’unico che gli fa visita è il nipote Angelino, che ha abbandonato la scuola per fare il pastore per la sua famiglia.

Il ragazzo passa a portargli il latte, a scambiare qualche parola, ad aiutar il nonno con il grano. Tutto ciò nella speranza di poter cavalcare la vecchia cavalla dell’uomo all’imminente festa di paese. Ma Raffaele è restio perché Angelino è ancora troppo piccolo e non saprebbe governar l’animale. Il senso del dovere verso se stessi incarnato dal protagonista, viene sostituito dal senso dell’avere da parte del nipote, desideroso di apparire. Ancora una volta Mereu mette a confronto il futile e il necessario come snodo fondamentale fra il mondo di ieri e il mondo di oggi.

Per il resto noi seguiamo Raffaele che insegue il vento, un po’ come Don Chisciotte affrontava i mulini a vento. Egli è il simbolo di un mondo che sta scomparendo, di una battaglia (fra uomo e bentu) che si sta vincendo a colpi di mietitrebbie. Queste sono l’unico segno di modernità in un paesaggio nel quale spazio e tempo si annullano. Potrebbero essere passati mesi come decenni o secoli, non cambierebbe nulla. Ogni giorno e ogni notte per Raffaele sono indistinguibili gli uni dagli altri. L’unico suo vero compagno è il vento, che assume consistenza fisica, da protagonista beckettiano della storia.

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Con il vento Raffaele ci parla anche, rimprovera il suo ritardo, lo sprona di notte raggiungendo il cumulo di grano alla luce di una lampada ad olio. Con solo quel barlume che è un puntino nel nero assoluto, egli getta in aria le spighe colpi di forcone. Egli è solo in mezzo ad un paesaggio che pare infinito e che, di giorno come di notte, pare risucchiare e assorbire tutto quello che c’è. Solo uno sparuto albero, di un verde rigoglioso in mezzo al giallo e al blu come la celebre fotografia di Franco Fontana, rompe quella monotonia.

Una monotonia visiva e di silenzi, interrotti solamente dai canti di Raffaele e dai dialoghi fra lui e l’ambiente che lo circonda. Egli è anche la metafora di una lotta dell’uomo con la natura per poter avere il proprio posto nel mondo. Per portare a casa non solo il nutrimento, ma anche la propria dignità. Per questo, dopo il passaggio della mietitrebbia, egli si rimette a smuovere il grano con ancora più forza e ancora più determinazione.

La medesima che ha portato Mereu alla realizzazione del film, come un progetto che è partito dalla collaborazione fra il regista e gli studenti del Corso di Laurea Magistrale dell’Università di Cagliari in Produzione Multimediale di cui è docente da dieci anni. «La finalità del corso» ha dichiarato Mereu «è quella di misurarsi col cinema. Poi, come sempre accade, la didattica scema e il cinema prende il sopravvento e ci si ritrova, tutti insieme a fare un film nonostante i mezzi a disposizione siano più adatti a stare dentro le mura della nostra università. Il nostro tentativo di avvicinare il mezzo, di provare a governarlo, assomiglia molto alla sfida che il protagonista del nostro racconto ingaggia con la natura, col vento, nel tentativo di assicurarsi il raccolto». Una battaglia, insomma, dentro e fuori l’inquadratura. Per salvare una cultura e una generazione tramite la macchina da presa.

Bentu – Una Sardegna senza tempo ritorna a Venezia79 ultima modifica: 2022-09-13T15:35:37+02:00 da Emanuel Trotto

Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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