Le 18 Giornate degli Autori a Venezia78 presentano le sculture immerse nelle rocce delle Alpi Apuane di Filippo Dobrilla nel film Caveman
Il primo approccio che il regista e sceneggiatore Tommaso Landucci ha con le opere di Filippo Dobrilla sa di leggendario. Infatti racconta che: «In un paesino delle Alpi Apuane, due cacciatori mi parlarono di una statua scolpita nel cuore della montagna che sovrasta il paese. Raffigurava, mi dissero, un uomo nudo sdraiato, grande più di tre metri. Pensai che si trattasse di una leggenda della zona. Scoprii invece che la statua esisteva, così come il suo creatore».
Ricorda alla lontana la suggestione che provò Percy B. Shelley quando compose il sonetto Ozymandias, ispirandosi al ritrovamento dei resti di una immensa statua del faraone Ramesse II. La realtà e la leggenda che si fondono. Come la testimonianza di Landrucci, racconta di qualcosa di misterioso, lontano e ancestrale. Nascosto nell’oblio. In Shelley nelle sabbie del deserto egiziano, per Landrucci nelle montagne della Toscana. Con delle differenze sostanziali. La poesia di Shelley è una metafora del decadere nel tempo di qualsiasi potere o ambizione. Mentre il gigante dormiente è un pegno d’amore. Un pegno d’amore per l’arte e la montagna da parte di Filippo Dobrilla, (1968 – 2019) per l’appunto.
La sua storia e la storia della sua scultura sono al centro del film Caveman di Tommaso Landrucci presentato alla 78 Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia. Il film è all’interno della manifestazione delle 18 Giornate degli Autori. In particolare è stato presentato nel corso delle Notti Veneziane. Sono una serie di sette appuntamenti in cui si indaga il rapporto creativo che c’è fra il linguaggio cinematografico e le altre arti. Si passa dal teatro, alla musica, alle arti visive.
In Caveman si parla di scultura. Filippo Dobrilla è stato prima che scultore un appassionato di speleologia, con la quale ha collezionato vari record. Si appassiona successivamente all’arte grazie al padre. In particolare alla scultura ispirata ai grandi autori rinascimentali, portandolo ad esporre una sua versione del Tondo Doni di Buonarroti, in marmo, alla Biennale di Venezia del 2011. Un traguardo e un successo dovuti alla sua scoperta da parte di Vittorio Sgarbi. Di lui dirà: «Egli sente urgere il corpo dentro la pietra, lo vuole estrarre. Salgono sulla sua montagna, dove vive libero nella Natura».
Il film si apre con Dobrilla che, illuminato solo dalle lanterne, sta colpendo la roccia con lo scalpello. La figura è appena abbozzata, quasi generata dalla montagna. Ricorda, in questa fase primordiale, un effetto dell’erosione. In poche inquadrature vediamo in rapida successione sia lo scultore sia l’uomo che scolpisce. Un uomo semplice che si disseta con l’acqua sgorgante dalle pareti. Le inquadrature si soffermano su questi piccoli dettagli. Poi Dobrilla ripone gli strumenti prima di allontanarsi dalla sua creatura.
Si issa verso l’alto, torna al mondo civile. Un mondo che lui, per sua indole, mal sopporta. Un mondo che ha il potere di imprigionarlo e dal quale desidera scappare il più possibile. Un valido compromesso in superficie è rappresentato dalla sua casa. Isolata in mezzo ai boschi di Acone (FI) è anche il suo laboratorio creativo. Ivi sono sparse sculture e modelli di varie forme e dimensioni. Ce ne sono anche abbandonate sul tavolo della cucina assieme a piatti, posate e forme di formaggio. Filippo si dedica a una attività parallela alla scultura, ovvero una vita agreste e di pastorizia. La dedizione e i gesti che utilizza per occuparsi delle bestie è la medesima che lui impiega per plasmare le sue opere.
Queste dapprima sono modellini in cera, poi di creta, di gesso e, infine di marmo. A ogni passaggio i modelli crescono fino a diventare dei giganti. Con essi Filippo si sentiva in grado di interloquire con i grandi scultori rinascimentali che ammira: Michelangelo e Benvenuto Cellini. Opere che riflettevano anche la sua personalità e la sua persona. Egli ha realizzato molti dei suoi lavori a sua immagine e somiglianza. Significativa è un’immagine in cui sono mostrati affiancati, una riproduzione a grandezza naturale del Gigante, di se stesso e del suo riflesso allo specchio. Uno e trino nella terra e nella pietra. O anche nel bronzo, con statue aventi una superficie così grezza da confondersi con le scanalature delle rocce.
Il buco – La scoperta dell’Abisso del Bifurto in Concorso a Venezia78
Il suo modo di vivere, anticonformista, è nel segno di una visione leopardiana della Natura. Quella descritta ne Le operette morali. Una gigantesca statua in cui è matrigna sia buona che cattiva, sostanzialmente indifferente. Ma che a lui, non dispiaceva, purché lo allontanasse da un mondo di mondanità e paroloni, istituzioni a cui prestava un’attenzione sommaria.
Lo seguiamo in questo percorso umano che si concluderà con la sua morte, nel 2019, a causa di un tumore alla gola. Che lo consumerà mentre un suo bronzo, un Adamo, viene posizionato all’interno di una grotta del Circeo in cui si dice fosse passato Ulisse.
La Biennale Cinema 2021 con questo film ci porta, ancora una volta nelle profondità della terra, dopo Il buco di Frammartino che ha recentemente vinto il Green Drop Award, il premio dedicato ai temi ambientali assegnato da Green Cross Italia in una cerimonia all’interno dell’Hotel Excelsior la mattina di venerdì 10 settembre. Il buco e Caveman sono film in cui si parla di abissi naturali e dell’inconscio.
Il Gigante delle Alpi Apuane non è un monumento che Dobrilla ha fatto a se stesso. Lo ha fatto per se stesso. È se stesso che finalmente ha trovato la sua pace a 650 metri di profondità. La sua fuga è riuscita nonostante tutto.