The Last Mountain, in proiezione speciale con Mescalito Film, ci porta a scalare il K2 in inverno con una spedizione polacca del 2018.
The Last Mountain è stato girato nel febbraio 2018. Si tratta della cronaca del tentativo di scalata invernale del K2, ultima cima dell’Himalaya non ancora conquistata in questa stagione. A guidare la spedizione il veterano Krzysztof Wielicki…
Il commento
La cultura occidentale ha da sempre avuto la prevalenza del Vincente. È in maiuscolo perché potrebbe essere benissimo un archetipo, il modello originale di un pensiero. Perché nella nostra società si valorizza il successo e la vittoria soprattutto se sudata con grande, grandissimo sforzo. Meglio se postata per scopi motivazionali e promozionali di bassa lega. Ovviamente è solo un lato della medaglia.
Dietro la vittoria sbandierata ci sono (ma fa comodo mostrarli col contagocce) le difficoltà, i tentativi, le salite prima di conquistare la cima. In altre parole il sacrificio. Ma, soprattutto, la sconfitta. Questo elemento, negli ultimi anni è diventato il contraltare comodo in cui ci si trincera per giustificare una scelta sbagliata. Un biglietto di sola andata per l’autocommiserazione. Lo scopo è perpetrare un senso di sconfitta perenne. Questo nel modo di vedere occidentale, soprattutto, negli ultimi anni.
Nella cultura giapponese invece, anche nella sconfitta, c’è una dignità e una nobiltà. Come dice l’orientalista Ivan Morris in La nobiltà della sconfitta: «Esiste però un altro tipo di eroe […] che rappresenta l’antitesi assoluta dell’idea del successo. È l’uomo al quale la profonda onestà vieta le manovre e i compromessi tanto necessari alla gloria terrena. Durante gli anni giovanili, il coraggio e l’energia lo spingeranno rapidamente in alto, ma l’eroe è per natura votato alla causa perdente e conoscerà ineluttabilmente la sconfitta». Concludendo: «Perfino noi, con la nostra cultura che adora il successo, possiamo riconoscere la nobiltà e la suggestione di questi uomini impetuosi, indomiti, disinteressati, la cui purezza di intenti ha condannato a un duro viaggio verso il disastro infernale».
Queste parole, questi pensieri, sono tornati alla mente alla visione del film The Last Mountain di Dariusz Załuski, programmato al cinema dalla Mescalito Film dal 25 al 27 ottobre. Questi è inserito all’interno di una serie di proiezioni (fino a febbraio 2022 con cadenza mensile) dedicate alle montagne e alle sfide che esse propongono. La rassegna ha il titolo de: La Montagna al Cinema. Gli altri appuntamenti sono Climbing Iran di Francesca Borghetti (22-23 novembre 2021) e Streif – Una discesa infernale di Gerald Salima (13-14 dicembre); The Naked Mountain di Alex Txikon (dal 17 gennaio) e The Wall of Shadows di Eliza Kubarska (dal 7 febbraio).
The Last Mountain documenta la prima scalata fatta in inverno del K2 fra febbraio e marzo 2018. Si tratta dell’ultima cima (delle quattordici) di ottomila metri che non era stata conquistata durante la stagione invernale. Infatti le raffiche di vento, le tempeste e le frequenti valanghe nei pressi della vetta, rendono la scalata pressoché impossibile in questa stagione. Ciò è stato vero fino a gennaio 2020 quando un gruppo di alpinisti nepalesi (alcuni di loro senza l’ausilio di ossigeno supplementare) è riuscito a guadagnare la vetta.
La spedizione del 2018 era guidata dal team polacco di Krzysztof Wielicki, veterano delle salite invernali sull’Himalaya che ha raggiunto nel 1980 la vetta dell’Everest. Fa parte del team anche l’alpinista Denis Urubko. Il cuore del film è proprio concentrato sulla sfida alpinistica fra i due. Da una parte l’esperienza e l’attenzione alle regole di Wielicki, in cui a prevalere è lo spirito di squadra. Dall’altra la testa calda di Urubko per il quale, il raggiungimento della cima è il solo obiettivo. Calcolo e impulsività si scontrano continuamente. Si incontrano solamente in poche occasioni. Prima fra tutte è il salvataggio dell’alpinista Elizabeth Revol sul Nanga Parbat, la cima adiacente al K2. La seconda è seguire le Olimpiadi Invernali in Corea del Sud dove la Polonia ha guadagnato la Medaglia di Bronzo nel salto con gli sci.
Il film è il racconto efficace, innanzitutto, di come si sviluppa una spedizione su queste cime. Tramite una organizzazione capillare e una messa in sicurezza dei vari campi sul fianco della montagna. Dalla ricerca dei percorsi più sicuri, al fissaggio delle corde per favorire l’ascesa. Un lavoro che si svolge in totale isolamento nel quale, anche il pronto soccorso, è affidato alla fortuna e al senso pratico.
Le riprese si alternano dai campi lunghissimi che mostrano la montagna in tutta la sua maestosità; ai primi piani stretti come gli ambienti che le tende offrono. Si arriva alle go-pro posizionate addosso agli alpinisti nel corso delle varie manovre. Mixando questi tre elementi, ci viene data la sensazione anche fisica. Si passa dall’angoscia alla meraviglia all’impegno. Una sintesi per immagini di cosa significhi fare alpinismo oggi.
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Un racconto per immagini in cui la vicenda può essere poco immediata per i non iniziati. Risulta sul piano spirituale efficace. C’è l’autentico senso di sfida e anche di sconfitta. Una sconfitta nella quale non c’è il senso di desolazione che accompagna questi momenti. Il regista si limita a mostrare le reazioni dovute a essa, ma in maniera del tutto oggettiva. Quello che emerge è la consapevolezza della stessa, più che la sua enfatizzazione. In quanto, di fronte all’immensità del K2, si resta in ogni caso piccole e affannose formiche.
Scheda film
- Titolo originale: Ostatnia Góra
- Regia:Dariusz Załuski;
- Sceneggiatura: Anna Filipow, Dariusz Załuski;
- Protagonisti: Krzysztof Wielicki, Denis Urubko, Adam Bielecki, Elizabeth Revol (loro stessi);
- Origine: Polonia, Pakistan 2019
- Durata: 82’
- Temi: CINEMA, NATURA, MONTAGNA