Le persone vengono a visitare i templi di Angkor Wat, ma sono ignare di quello che sta succedendo ai villaggi intorno.
Così esordisce nel documentario Silent Land (Paesi Bassi, 75′, 2016) la protagonista Seng Channeang, piccola coltivatrice di riso biologico in Cambogia, con un grande sogno.
Tra i film in proiezione per la XX edizione di CinemAmbiente e in programma per domenica 4 giugno alle ore 18, siamo certi che il pubblico rimarrà colpito dalla storia davvero toccante del popolo cambogiano.
Una dolcissima musica accompagna in una terra a noi lontana, a casa di una popolazione pressoché inerme, ma genuina che sta lottando contro il cosiddetto land grabbing: l’usurpazione – spesso illecita – e l’avvelenamento dei propri territori.
Nel corso del documentario, Seng Channeang guida lo spettatore alla scoperta delle violenze e delle prevaricazioni attuate dalle grandi multinazionali ai danni dei contadini cambogiani. Piccoli agricoltori per cui la terra è tutto – “No land, no life” pronuncia un contadino riportando la sua testimonianza nel film – che si vedono costretti con la forza ad abbandonare ciò che ognuno di noi ha di più caro: la propria casa.
Il regista Jan van den Berg con la sua troupe ha seguito per quattro anni le vicende di questa giovane donna coraggiosa che della sua vita ha fatto una pacifica lotta per i suoi diritti di cittadina e coltivatrice biologica.
Chiamata da tutti Moon, perché il suo nome significa “Riflesso di Luna”, Seng Channeang è una ragazza che ama la sua terra e la vuole difendere e proteggere, con l’umiltà che caratterizza il suo popolo, ma con determinazione.
Ha sperimentato in prima persona le tristi conseguenze di un sistema capitalistico fortemente industrializzato che non guarda in faccia a nessuno. Per aver lavorato in una fabbrica di vestiti che usava sostanze tossiche, ha riportato danni all’apparato respiratorio e anche per questo ha collaborato alla realizzazione di questo film-denuncia raccogliendo diverse testimonianze.
Nonostante non abbia potuto studiare da bambina, per questioni economiche e culturali – la madre ha sempre sostenuto che alle ragazze non servisse studiare – Moon è cresciuta con le idee chiare e vuole cambiare il suo futuro e quello del proprio Paese.
Si è iscritta ad una scuola serale per imparare a destreggiarsi all’interno del sistema legislativo del suo Paese, nelle questioni che riguardano l’espropriazione delle terre nel suo villaggio. Inoltre, acquisire competenze legali, soprattutto in un Paese dal sistema giuridico debole come in Cambogia, la rende più consapevole dei passi da compiere per raggiungere il suo obiettivo. Vorrebbe, insieme ad altre famiglie del suo villaggio, costituire una cooperativa. L’unione fa la forza, “insieme siamo forti“: questo il piccolo mantra che si ripetono per incoraggiarsi in questa sfida.
In questo viaggio con lei, Moon mostrerà ciò che (non) resta delle abitazioni sgomberate e farà emergere la triste realtà di ciò che accade nelle piantagioni in cui i lavoranti sono in continuo contatto con pericolosissimi pesticidi e fertilizzanti. Metodi che stanno avvelenando il suolo e le acque, contagiando gli animali e facendo ammalare anche gli abitanti del posto, bambini compresi.
Moon incontrerà anche Mong Reththy, una delle eccellenze cambogiane, un uomo che ha saputo cogliere il momento della caduta del regime di Pol Pot, arricchendosi comprando sconfinati ettari di terra dallo Stato. Un uomo che in un certo senso le è ”rivale”, ma da cui ha anche da imparare. Da magnate qual è, infatti, non illude le sue speranze. Le dice chiaramente che difficilmente i contadini su piccola scala hanno un futuro. Per quanto i loro interessi non convergano, i loro rispettivi sogni non sono così lontani: anche Mong Reththy sogna un futuro migliore per il suo Paese e vuole contribuirvi con la sua Mong Port City. Una cittadella in cui far lavorare i contadini cambogiani a cui dona anche una casa di proprietà in cambio della vendita dei loro terreni, coltivandoli secondo un’agricoltura industriale, seppur basata su principi ecologici e sostenibili.
Un contrattacco rispetto alla realtà posta in essere dalle grandi compagnie che sfrattano i contadini, distruggono e incendiano ciò che resta delle loro proprietà davanti ai loro occhi increduli e disperati per poi, solitamente, non impiegarle subito in qualche tipo di coltivazione. Spesso, Moon racconta, queste terre restano “ghost land”, e vi spiegherà il perché. Terre fantasma in attesa di una rinascita che difficilmente ha risvolti positivi, una testimonianza del desolante destino di territori di famiglia fatti abbandonare con la forza e poi impiegati per coltivazioni intensive in cui non si lesinano pesticidi e agenti chimici di ogni sorta.
Ma Moon non si arrende e spera di farcela. Le auguriamo il meglio e non possiamo far altro che prometterle di impegnarci più fermamente per un consumo consapevole, non solo per migliorare la qualità del cibo che arriva sulle nostre tavole, ma anche per contribuire con le nostre scelte quotidiane al benessere dei piccoli commercianti e agricoltori.
Un mondo più giusto è possibile, dipende da noi.