Evil Does Not Exist di Ryūsuke Hamaguchi, Gran Premio della Giuria a Venezia80, mostra che il ritorno a una vita regolata dai ritmi della Natura è possibile.
Una foresta, in inverno. Tutt’attorno non si sente altro che i suoni del bosco: il vento che scuote leggermente le fronde, o il canto di qualche uccellino. A rompere questa delicata partitura è il rumore di una sega elettrica. Un uomo, di mezza età, sta segando con gesti precisi e controllati un tronco di legno. Dopo di che l’uomo posa la sega elettrica e prende in mano una grossa ascia.
Posiziona ognuno dei segmenti su di un ceppo e, sempre con lo stesso controllo e precisione, fa cadere la lama sul legno. Quei quarti altrettanto precisi, li carica su di una carriola e li porta nella propria casa. Un edificio simile ad uno chalet di montagna, interamente di legno. L’uomo impila ordinatamente la legna appena tagliata. Si ferma, estrae una sigaretta dal pacchetto e inizia a fumarsela in silenzio, con lo sguardo assorto.
La sociedad de la nieve – La lotta per la vita sulle Ande chiude Venezia80
Così ci viene presentato Takumi (Hitoshi Omika), il protagonista di Evil Does Not Exist (Aku wa sonzai shinai), film di Ryūsuke Hamaguchi presentato in Concorso alla 80° Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia. Nel corso della Cerimonia di Premiazione tenutasi la sera del 9 settembre, il film vince il Gran Premio della Giuria. Si tratta del secondo fra i premi più importanti assegnati dalla Mostra, subito dopo il Leone d’Oro e seguito da il Leone d’Argento – Premio Speciale per la regia. Alla cerimonia di quest’anno sono stati assegnati il Leone d’Oro a Povere Creature! (Poor Things!) di Yorgos Lanthimos e il Leone d’Argento a Io, Capitano di Matteo Garrone.
La sociedad de la nieve – La lotta per la vita sulle Ande chiude Venezia80
Come il suo precedente lavoro, Drive my Car (Oscar 2022 come Miglior Film Internazionale), Hamaguchi ci vuole raccontare un viaggio. Anche qui c’è l’automobile come oggetto simbolico del muoversi, del progredire fisicamente ed umanamente. Se in Drive my Car l’auto rappresentava il legame con un passato con la quale non si era in grado di fare i conti, in Evil Does Not Exist essa è un mezzo per raggiungerlo, per riappropriarsene e ritrovare l’autentico senso della vita. Più che un mezzo di locomozione nello spazio, si tratta di un mezzo di locomozione nel tempo.
Siamo nel villaggio di Mizubiki, nei pressi di Tokyo. Takumi ci vive con sua figlia di otto anni, Hana. Egli è il tuttofare della piccola comunità che si è creata. Una comunità longeva esistente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando vennero dati degli appezzamenti di terra a coloni e reduci. Da allora c’è un piccolo mondo popolato da coloro che verrebbero definiti jōmin (“la gente resistente”) ossia i rappresentanti dell’antica cultura del Giappone. Essi, appartenenti agli strati più umili della popolazione (artigiani, monaci, contadini, ecc.), mantengono vivo il sapere ancestrale della vita seguendo il ritmo della Natura.
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Non è un caso che queste persone sono anche definite come “gente eterna”. Grazie ad essi, un Paese così fortemente legato alla modernità sempre più pacchiana ed esibita, riesce a mantenere un legame con il proprio passato. Un passato che ha bisogno egli stesso di riscoprire e che riscopriamo anche noi.
All’inizio della storia vediamo Takumi che svolge le sue attività quotidiane: una di queste è raccogliere in grosse taniche l’acqua della vicina sorgente, facendosi aiutare dal compaesano Kazuo. Si tratta di un’acqua purissima di cui beneficia tutta la comunità. Mentre la trasporta in mezzo al bosco, ad un certo punto, Takumi si ferma, si china e guarda quasi in camera. Anche Kazuo fa altrettanto. Commentano assieme quello che per lo spettatore è ancora invisibile. Al controcampo scopriamo che hanno trovato una pianta di wasabi selvatico, oramai rarissimo. Ne raccolgono un ciuffo e lo masticano lentamente. Giudicandolo adatto per essere utilizzato in cucina, ne prendono ancora qualche foglia.
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Ci viene mostrato tutto con una serie di inquadrature scarne, un montaggio molto semplice. Una sequenza che, convenzionalmente, in un film sarebbe stata tagliata. Si tratterebbe infatti solo di un intermezzo nella sequenza sulla raccolta dell’acqua. Lo spettatore si sofferma sul wasabi come si è soffermato prima sulla legna tagliata. E le taniche d’acqua sono temporaneamente dimenticate. Per quelle non c’è fretta. Nello spazio di una ellissi narrativa Hamaguchi vuole esprimere questo: che il tempo è un concetto che ci siamo creati per dare un senso alle nostre vite, ingabbiandole contemporaneamente. Non ne siamo consapevoli fino a che non perdiamo la percezione del suo scorrere se non col passaggio dal giorno alla notte.
Ritornano in mente le parole di Henry David Thureau (1817 – 1862) in Walden ovvero Vita nei boschi: «Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e mettere poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici».
Questo è il percorso che compiono Takahashi e Mayuzumi, due rappresentanti di una compagnia di glamping (in inglese sarebbe l’unione fra “glamour”, “camping”) da presentare alla popolazione di Mizubiki. Si tratterebbe di un campeggio di lusso in cui si possono godere di tutti gli agi senza rinunciare al contatto con la natura circostante. I due partono con la sicurezza della genuinità del loro prodotto. Quello che non sanno è che simile progetto inquinerebbe la preziosa fonte d’acqua alla base della vita di queste persone. Oltre che danneggiare sensibilmente la vita della fauna selvatica, fra cui i numerosi cervi.
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Quello che viene loro messa davanti è una profonda ignoranza che ha fatto parte da sempre della loro vita. Incrementata dalla disillusione delle proprie aspirazioni e dalla necessità di accontentarsi. L’incontro con la gente di Mizubiki, in particolare con Takumi per le loro esistenze sarà illuminante. Takahashi e Mayuzumi comprenderanno che «L’importante è l’equilibrio. Se si esagera si rischia di perderlo». Una frase semplice, elementare, ma che diamo per scontata. Una verità così basilare che ci fa capire quanto possiamo essere miopi.