Nomadland – Il Leone d’Oro a Venezia77 è un viaggio in una Frontiera di speranza

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Nomadland – Il Leone d’Oro a Venezia77 è un viaggio in una Frontiera di speranza ultima modifica: 2020-09-15T08:00:44+02:00 da Emanuel Trotto
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Il Leone d’Oro di Venezia77 è Nomadland di Chloé Zaho. Un viaggio fra gli homeless. Ma anche un racconto di rinascita

Nomadland vince a Venezia come miglior film. Tra le tematiche affrontate in molti film della Mostra del Cinema di quest’anno, vi è quella del lavoro. Nelle sue disparate sfaccettature. Dalla visione del lavoro come un ideale (The Best is Yet to Come di Wang Jing), a come questi assorbe completamente la persona, rendendolo parte del proprio essere (Meel Patthar – Milestone di Ivan Ayr). Oppure come una necessità assoluta, che spinge anche a scendere al compromesso del caporalatoSpaccapietre di Gianluca e Massimiliano De Serio (in Concorso alle Giornate degli Autori). Il lavoro è necessità o identità. Lo si potrebbe riassumere in questo modo. Ma se il lavoro non c’è? E se bisogna cercarlo vagando come un nomade che segue le prede nelle migrazioni?

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Questo scenario è presente nel film Nomadland di Chloé Zhao, vincitore de Il Leone d’Oro per il Miglior Film alla 77 Mostra del Cinema di Venezia. Il film è la trasposizione del volume di Jessica Bruder, Nomadland – Un racconto d’inchiesta. In esso viene descritta una delle conseguenze della Grande Recessione che, fra il 2007 e il 2013, ha causato una delle peggiori crisi economiche del XX secolo dopo la Grande Depressione. Allora come oggi, ciò ha creato un esercito di homeless, nel senso di senza casa ma non senza tetto. Un esercito di persone che hanno deciso, mossi dalla necessità, di vivere sui camper o sui van, ricavandosi spazio e appoggi da qualsiasi centimetro interno al fine di avere a disposizione una casa mobile per procacciarsi lavori stagionali.

Il film segue la vicenda di una di questi senza casa, Fern (Frances McDormand). Lei viaggia con il suo van in giro per l’America, seguendo un itinerario lavorativo e emotivo. Si districa dai magazzini Amazon durante le Feste natalizie, alle tavole calde. Nel suo peregrinare incontra molte persone che le faranno scoprire dei nuovi approcci alla vita. Il viaggio è fatto di tappe e di veri senza casa che raccontano le loro storie.

Tramite un casting, racconta la regista, compiuto «attraverso il libro di Jessica che ci ha dato la benedizione e ci ha permesso di metterci in contatto con loro. (…) Erano sorpresi che volessimo raccontare la loro storia. (…) Ho imparato che per creare un legame è importante partire da dettagli personali. (…) Chi fa parte di questo mondo sa che è importante poter contare gli uni sugli altri»

Le storie dei senza casa seguono un approccio per certi versi documentaristico. Una finta docu-fiction, in realtà. Perché Nomadland è e vive di cinema in ogni inquadratura. A partire dai primi piani di questi personaggi. Autentici e in cui ogni singola emozione sul loro volto racconta la storia meglio delle loro parole.

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Una di essi è Linda May, una donna di 75 anni che ha deciso di mettersi in strada dopo aver tentato il suicidioho lavorato dall’età di dodici anni e la mia pensione è di 550 dollari»). O come Bob Wells, un  gestore di un negozio di alimentari, il quale è stato costretto in un van dopo il divorzio. Oggi è il fondatore di CheapRVliving, canale YouTube in cui racconta la vita sui camper e dà consigli di nomadismo. Ha creato inoltre un raduno annuale, il Rubber Tramp Rendezvuos – RTR, dieci giorni in cui i vari ‘nomadi’ da tutto il paese si riuniscono in un terreno libero nel deserto dell’Arizona. Creano una comunità atipica, in cui condividono le loro esperienze davanti al fuoco. Hanno riscoperto la cultura del baratto. Per sentirsi meno legati dalla «tirannide del dollaro» come dice ad un certo punto Wells.

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Proprio a questo raduno si reca Fern ed è lì che, oltre ad apprendere consigli preziosi sulla vita nomade ha uno dei suoi incontri più importanti. Quella persona è una delle ultime rimaste nel luogo del raduno oramai vuoto. Si chiama Swankie, una donna malata di cancro che vuole vedere gli uccelli nidificare sulle scogliere come ultimo desiderio. Grazie a incontri come questo Fern capirà che il suo viaggio, nato come necessità, diventa occasione.

Fern comprende cosa significhi davvero perdersi per ritrovarsi. Fra un lavoro e l’altro, esplora il deserto pieno di cactus. Visita le sequoie giganti della California, e le abbraccia. Guarda il paesaggio cambiare dal suo finestrino. Vede un bisonte libero e selvaggio. Sogna di abbandonarsi nuda fra le acque di un ruscello in mezzo alle Montagne Rocciose. Un anelito di libertà prima di rinchiudersi in un magazzino, una giungla di tubi e di nastri trasportatori. La macchina da presa segue Fern mentre imballa gli scatoloni, mentre passeggia all’alba fra gli altri van. Mentre si abbandona ai propri bisogni corporali in una landa deserta oppure in un secchio.

Per lei la stabilità fisica non è più una opzione di vita possibile. Specie quando nella sua città la società mineraria che fungeva da pilastro, la US Gypsum Corporation, ha chiuso i battenti. E il posto in cui ha vissuto tutta una vita è diventato un deserto. Ha guardato il paesaggio che vedeva tutti i giorni: una landa infinita con delle montagne sullo sfondo. Da lì la necessità di mettere il superfluo in un magazzino e partire.

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Nomadland non vuole essere un film politico o socio-economico. Si tratta della storia di persone espulse dal mondo perché non più non più consumabili e spendibili e che hanno saputo ricrearsi altrimenti. Alla scoperta di una nuova frontiera, come i pionieri del vecchio West. La prova, loro, che sopravvivere a tutto è possibile. Vagando in un mondo nuovo, nel quale era facile perdersi. Ma era vero pure il contrario. La Mostra del Cinema chiude e premia un film che, in questo periodo assolutamente incerto, dà una speranza. Un altro mondo è possibile.

Nomadland – Il Leone d’Oro a Venezia77 è un viaggio in una Frontiera di speranza ultima modifica: 2020-09-15T08:00:44+02:00 da Emanuel Trotto

Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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