A Venezia79 è stato presentato Una balena in una conchiglia, un corto parte di un progetto di tutela dei mari della associazione Triton
Una conchiglia trascinata dalla corrente sulla spiaggia. Quante ne vediamo quando camminiamo lungo il mare? Quante ne raccogliamo come ricordo da portarci nei nostri appartamenti in città? Non ci siamo mai posti il problema, ma ognuna di esse ha una storia da raccontare: una grande antologia di un mondo sommerso racchiusa in tanti gusci sparsi. Eppure basta avvicinare l’orecchio e ascoltare. Fin da quando eravamo piccoli, ci viene detto di ascoltare dentro di esse il rumore del mare. O meglio, la voce, per chi sa ascoltare. Una capacità che, purtroppo si sta perdendo.
Questo è il presupposto con la quale Raffaele Grandi è partito per realizzare il suo sogno. Un misto fra il ricordo infantile più o meno comune e la fascinazione per i lavori di Jacques Cousteau (1910 – 1997). Ossia uno dei primi cantori del mondo sommerso con i suoi documentari come Il mondo del silenzio (1956) e Il mondo senza sole (1964) entrambi premiati con l’Oscar al miglior documentario. Da qui la domanda di Raffaele sul perché non possa raccontare anche lui queste storie, farle uscire dalle righe create dalle onde. Da questo è nata l’Associazione Triton, che si impegna nella divulgazione sotto vari mezzi della conoscenza del mare. Un impegno che passa dalle attività per i ragazzi, all’editoria, al cinema.

Con esso, e con il congeniale mezzo del cortometraggio, si vuole dare una forma di divulgazione fruibile per i più giovani: trascrivere in immagini e con un linguaggio immediato le parole di scienziati e ricercatori. Concetti che possono essere altrimenti complessi e non alla portata di tutti.
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Da questi presupposti nasce la collaborazione fra specialisti e istituti importanti – fra cui ISPRA – per realizzare una serie di cortometraggi a scopo didattico ma che non dimenticano la forma cinematografica. Coniugare il parlato con l’immagine nel documentario è infatti meno semplice di quel che sembra. Il lavoro che viene svolto dalla BBC con i suoi cicli naturalistici di BBC Earth ne sono la prova. Un lavoro in cui bisogna coniugare la scienza con l’emozione.
I corti della Triton saranno infatti rivolti soprattutto a un pubblico di giovani. Perché è a loro che bisogna raccontare e spiegare meglio, perché loro devono per primi conoscere e amare. Da qui anche tutelare perché non si può proteggere qualcosa o qualcuno che non si ama.
Il primo cortometraggio del ciclo, Una balena in una conchiglia di Simone Vrech, presentato alla 79 Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia l’8 settembre all’Italian Pavillon presso l’Hotel Excelsior al Lido, ha questo scopo. L’Italian Pavillon è lo spazio professionale dei vari festival e mercati internazionali che rappresenta il nostro Paese per i professionisti di cinema.
L’incontro, moderato dalla brand ambassador di Triton, Katia Noventa, contava come ospiti (oltre che allo stesso Vrech e Raffaele Grandi) anche il direttore scientifico del progetto, Stefano Picchi e il consigliere scientifico Angelo Mojetta. Sono stati presentati gli obiettivi del progetto e le sue motivazioni.

Primo fra tutti quello di far conoscere il mare. Perché, come dice Mojetta, «il mare è più vasto di quanto crediamo perché non ha i confini geografici. Noi abbiamo dato vari nomi agli oceani: Pacifico, Atlantico, Indiano, ecc. ma bisogna considerare che è tutto un grande oceano. In esso ci sono una serie di fenomeni, come la Corrente del Golfo che permette il ricircolo costante di acqua, minacciati dal cambiamento climatico. Questo rischia di fermarli con conseguenze disastrose». Aggiunge poi: «Noi vediamo immensi gli oceani sul mappamondo. Tuttavia se quello stesso mappamondo lo immergiamo in acqua e lo tiriamo subito fuori, sulla sua superficie si forma uno strato di umidità. Quello strato corrisponde proporzionalmente allo spessore degli oceani in confronto alla Terra».
Il mare e gli oceani in generale sono, in altre parole, estremamente fragili nonostante tutto. E sono in pericolo perché, con la stessa tecnologia che vuole sfruttare i minerali della Luna o cercare l’acqua su Marte, ci allontana dal vero amore, alla passione, allo stupore infantile. La tecnologia se usata male non fa altro che bendarci gli occhi.
Da qui la storia raccontata nel corto, e narrata da Giancarlo Giannini. Uno scrittore, dopo tanti anni, torna in Sardegna e trova una conchiglia. Questo gli riporta alla mente la storia di Sofia, una ragazzina che non riesce a vedere oltre la superficie dell’acqua perché ingabbiata da un mondo vacuo, superficiale e impalpabile dei social network. Lo scrittore dà la conchiglia a Sofia e la invita ad avvicinare l’orecchio. Per ascoltare la storia di Umberto (Umberto Pelizzari in amichevole partecipazione), un uomo che ha deciso di vivere come un delfino per entrare in simbiosi con il mare.
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Tramite lui scopriamo le praterie sommerse di Posidonia. Ivi una cernia bruna prende il testimone del racconto e ci guida nel mondo marino popolato da margherite di mare e pesci di varia natura. Si scopre la storia di Olivia che, grazie a Pelizzari, scopre la magia di immergersi nel blu, senza bombole, solo con maschera e pinne. Perché la fusione con il mare sia completa.
Guidati dalle stenelle raggiungono il Santuario dei Cetacei di Pelagos, nella quale fanno conoscenza con i due giganti del mare: la balenottera comune e il capodoglio. Questi studia con il suo sonar la storia di quei piccoli (ai suoi occhi) esploratori, prima di inabissarsi a caccia di calamari. E portare avanti la vicenda. Una serie di incontri che servono a riaccendere la passione, a cancellare l’egoismo dell’uomo, il vero nemico da affrontare perché queste storie non si perdano. Il corto è una autentica dichiarazione d’intenti della Triton.
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«L’evento più emozionante durante le riprese», racconta Vrech,«è stato l’incontro con le stenelle. Centinaia di questi cetacei simili ai delfini hanno circondato la barca. Non saprei dire il numero esatto. Questo ci fa riflettere sulla loro vicinanza. (…) Il corto è stato girato fra Posidonia, Tavolara e la Maddalena. Prima delle riprese non conoscevo queste zone della Sardegna: è stato un’emozione scoprire l’esistenza di questo mondo a poco più di venti miglia dalle nostre coste». L’emozione della scoperta, quindi, deve essere sincera nel cuore di chi decide di raccontarla, altrimenti si perde come gocce nell’oceano.
Qui il trailer del cortometraggio.
