Il mio amico in fondo al mare, è il documentario che si è aggiudicato il Premio Oscar 2021 al Miglior Documentario, una storia di amicizia e rinascita fra un uomo e un polpo
Il mio amico in fondo al mare (The Octopus Teacher) di Pippa Ehilich e James Reed ha trionfato agli Oscar dopo aver vinto nella stessa categoria anche i BAFTA Awards 2021 (l’equivalente britannico degli Oscar). Il film è disponibile da settembre 2020 su Netflix grazie all’impatto emotivo che questa storia ha suscitato.
Il fatto
Craig Foster è un documentarista in una profonda crisi umana e professionale. In cerca di una soluzione riprende a immergersi nella baia davanti a casa sua, in Sudafrica. Ivi sarà l’amicizia insolita con un polpo abitante della baia a farlo tornare alla vita…
Il commento
L’edizione 2021 dei Premi Oscar è stata all’insegna della rinascita. Uno spiraglio per un futuro se non più roseo, almeno più consapevole. Una prova di ciò è stato l’opera che ha vinto la statuetta per il Miglior Film, ovvero Nomadland di Chloé Zaho. Un inno alla libertà e alla rinascita. Alla possibilità di recuperare una propria vita dopo aver creduto di perdere tutto. La rinascita, nel film con Frances McDormand, è una strada lunghissima, su di un orizzonte che non ha una fine. Un viaggio lungo e che non finisce mai. Quello della consapevolezza di se stessi.
Nomadland – Il Leone d’Oro a Venezia77 è un viaggio in una Frontiera di speranza
Per rinascere bisogna un po’ morire dentro. Questo ha vissuto Craig Foster: un documentarista sudafricano che è andato nel Kalahari a girare un film sui cacciatori locali. Impressionato dalla loro simbiosi con l’ambiente, anch’egli ha cercato di immergersi, vanamente. Questa situazione lo ha profondamente distrutto. Lo ha reso una persona peggiore, un padre per suo figlio peggiore. Così ha deciso di tornare a casa. E tornare a immergersi, come quando era ragazzo, nel mare di fronte a casa sua. In una foresta di kelp vicina a Cape Town. Una foresta immersa in un liquido amniotico freddo ma avvolgente come un abbraccio. In esso lui, pian piano, ha ricominciato ad emergere. Questo grazie anche all’aiuto di un abitante di questo mondo sommerso. Che gli ha insegnato il valore della resilienza. Il meno probabile di certo: un polpo.

Di certo è l’ultima cosa che ti puoi aspettare. Che si riesca a provare emozione per un animale che, di primo acchito, non la provoca. In teoria, ovviamente. Quello che accade nel corso del film è un vero e proprio processo di avvicinamento e conoscenza del polpo. Il film è quanto di più lontano ci possa essere da un documentario naturalistico di divulgazione. Il processo di conoscenza dello spettatore avviene in contemporanea con quello di Craig. Egli infatti si avvicina all’animale, e solo in un secondo momento, si documenta.
Craig parte dall’osservazione di alcuni comportamenti per cercarne il corrispettivo. Arrivando egli stesso, a fare delle scoperte davvero inusuali e non documentate. Una di queste, è anche la più divertente. Ovvero il polpo protende i propri tentacoli verso un banco di pesci di passaggio. Quello che a una prima vista sembra un tentativo di caccia maldestro, si rivela un semplice gioco. Il polpo infatti non ha alcuna intenzione di catturare i pesci ma solo di disperderli. Un comportamento che ricorda quando, da piccoli, si correva dietro ai piccioni per vederli volare via.

È un gesto che riduce le distanze perché strappa un sorriso. Un sorriso verso una creatura vista sempre come aliena. Per il suo aspetto e la sua natura, tendenzialmente schiva. Come fosse un qualsiasi gatto randagio, man mano che passano i giorni, l’”alieno” inizia ad avvicinarsi e a stabilire un contatto con Craig. Con una presunta sensibilità che lascia scioccati. O che noi interpretiamo come tale. Sul momento magari non lo percepiamo. Vediamo questa creatura che nuota vicino a lui, si poggia sul suo corpo come se fosse una roccia. Arrivando a cercare di imitare la colorazione della pelle. Oppure, ripensando ai primissimi approcci, che allunga un tentacolo per studiare Craig. Un contatto che diventa come una stretta di mano.

Sulle prime magari la si vede in maniera oggettiva. E che la storia raccontata è soggettiva perché sostiene la sensibilità di Craig. Ma poi ci rifletti, mentre cerchi di riordinare le idee. Capire quanto ti ha segnato questa storia. E ripensando a quei tentacoli e a quei tentativi di mimetismo, una lacrimuccia scende. Quasi senza accorgersene. Perché hanno la forza di una carezza o di un abbraccio.
E senti quella sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco. Una sensazione che si conosce bene. Il vuoto è qualcosa che conosciamo bene. La sensazione di aver perso tempo. La necessità di trovare lo stimolo a ricominciare. Il segno per dimostrar che farcela si può. Craig raggiunge questa maturità quando il polpo viene ferito da uno squalo. Questi, nel tentativo di catturarlo, gli strappa un tentacolo. Il cefalopode è debole, mangia appena, si rinchiude nella sua tana. Dopo qualche tempo, là dove c’era lo strappo, si è formato un piccolo tentacolo. Un tentacolo che cresce giorno dopo giorno. La vita pian piano ricomincia. La resilienza non è solo una parola fin troppo abusata. È realtà e quel tentacolo ne è la prova.
Il mio amico in fondo al mare | Scheda film
- Titolo originale: My Octopus Teacher
- Regia e sceneggiatura: Pippa Ehlich, James Reed;
- Fotografia: Roger Horrocks;
- Interpreti: Craig Foster (sé stesso);
- Origine: Repubblica Sudafricana, 2020;
- Premi: Oscar 2021 – Miglior Film Documentario; British Academy Film Award (BAFTA) – Miglior Documentario; Producers Guild of America Award – Miglior produttore di un documentario cinematografico;
- Durata: 85’
- Temi: CINEMA, ANIMALI, NEWS;
