Nevediversa 2020

Rapporto Nevediversa 2020: i nostri impianti sciistici sono in buona salute?

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Rapporto Nevediversa 2020: i nostri impianti sciistici sono in buona salute? ultima modifica: 2020-03-18T08:00:19+01:00 da Giuseppe Luca Scaffidi
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Secondo i dati del rapporto “Nevediversa 2020”, pubblicato da Legambiente lo scorso 6 marzo, gli impianti sciistici in sofferenza presenti in Italia ammontano a 348; di questi, 103 riescono a continuare l’attività unicamente grazie a contributi statali.

Non è un segreto: il turismo di montagna rappresenta una fonte inestimabile per la salute economica del nostro paese.

A confermarlo sono i numeri. Secondo i dati risultanti da un’indagine condotta dalla Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa nel 2017, il cosiddetto snow business, nel solo periodo intercorrente tra Natale e l’Epifania, è in grado di generare introiti  per 1.6 miliardi di euro.

Un tesoretto frutto dei proventi che scaturiscono dalla totalità delle realtà imprenditoriali coinvolte nel settore, come la ricettività alberghiera, che costituisce la principale fonte d’introiti (585 milioni), i servizi diretti alle attività turistiche (dalle attrezzature agli impianti di risalita, per un totale di 580 milioni), la ricettività extra-alberghiera (230 milioni), l’acquisto degli sci (60 milioni) e altre attività, come la ristorazione, lo shopping e l’intrattenimento (205 milioni).

Il rapporto “Nevediversa 2020” di Legambiente

Inoltre, con riferimento al solo mercato autoctono, sono oltre 4 milioni gli italiani che, annualmente, praticano sport sulla neve, contribuendo a infoltire un indotto che vale l’11% del PIL turistico italiano. «Un popolo di santi, poeti e sciatori», verrebbe da dire.

Eppure, prestando attenzione allo stato in cui versa buona parte degli impianti presenti sullo Stivale, la situazione che viene a delinearsi è decisamente meno entusiasmante: piste abbandonate, dismesse e obsolete, strutture spesso costrette a chiudere i battenti anzitempo per mancanza di neve o motivi tecnici, oppure sottoposte a veri e propri regimi di “accanimento terapeutico”, con intere attività che riescono ad andare avanti unicamente grazie a contributi e incentivi statali. È questo il drammatico stato dell’arte che scaturisce dal Rapporto Nevediversa 2020 – Il mondo dello sci alpino nell’epoca della transizione ecologica, presentato da Legambiente lo scorso 6 marzo.

Ciaspolata
Nevediversa 2020 – A Dobratsh, in Carinzia, un intero comprensorio sciistico è stato smantellato per far posto alle ciaspole e allo scialpinismo

Snow business e adeguamento al climate change

A detta dell’associazione ambientalista, la ragione di questo progressivo deterioramento è da ricercare, in primis, nella mancata volontà di predisporre un progetto a lungo termine, volto ad adeguare le esigenze di un settore che, da troppi anni, è stato animato dalla falsa convinzione di poter contare unicamente sulle proprie forze, senza prestare attenzione agli effetti del climate change. Negli anni del boom economico, diversi territori hanno localizzato impianti in aree non idonee alla pratica sciistica, anche a quote molto basse, addirittura sotto i 1000 metri s.l.m.

La necessità di un mutamento di paradigma

Come si evince dalla lettura del rapporto, allo stadio attuale, il turismo alpino si trova a pagare lo scotto di decenni di eccessivo ottimismo nei confronti delle “magnifiche e progressive sorti” dell’umanità, che hanno finito col dar vita a «Un’economia che non è stata capace di cambiare le strategie alla luce dei cambiamenti climatici in atto. In montagna il business prevalentemente è business as usual, come se nulla fosse cambiato. Eppure non tutto e non dappertutto le cose stanno funzionando come si vorrebbe: nell’hotspot alpino le temperature più alte di due gradi stanno creando molti problemi. Come oramai ci si sente ripetere fino alla noia dagli esperti, qui l’aumento di temperatura è esattamente il doppio rispetto alla pianura, con uno zero termico che si raggiunge sempre più in alto e con inverni sempre più brevi. Tecnologie obsolete e investimenti sbagliati fanno il resto».

L'eco-mostro delle Valli di Lanzo
Rapporto Nevediversa 2020 – L’eco-mostro delle Valli di Lanzo

Nevediversa 2020, i numeri del report 

Venendo ai numeri del rapporto, gli impianti in sofferenza monitorati nella Penisola ammontano a 348; di questi, 132 risultano dismessi o non utilizzati da anni, 113 temporaneamente chiusi, mentre i summenzionati casi di “accanimento terapeutico”, con strutture dipendenti per una quota piuttosto considerevole dall’ausilio dei contributi statali, ammontano a 103.

Di contro, i casi di riconversioni virtuose sono pochissimi, come quello di Dobratsh, in Carinzia, dove un intero comprensorio sciistico è stato smantellato per far posto alle ciaspole e allo scialpinismo. In generale, però, il rapporto riscontra una tendenza positiva, poiché in tante piccole e grandi e stazioni è in atto un tentativo di diversificare il più le attività, con un mix di offerte tradizionali e pratiche soft che possano costituire una valida alternativa allo sci alpino. «Queste proposte segnano un cambio di prospettiva: località che un tempo non venivano viste altro che per lo sci, cominciano a diventare anche luoghi dove è possibile camminare tutto l’anno, respirare aria pulita, passare momenti di relax nel silenzio dei boschi, imbiancati o meno. Luoghi che, – continua il Rapporto Nevediversa 2020 – con il riscaldamento globale, cominciano a diventare attrattivi anche come rifugio dal caldo estivo».

Le parole di Vanda Bonardo

Secondo Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi Legambiente , una prima soluzione per provare ad arrestare l’emorragia potrebbe essere quella di stravolgere il paradigma dell’offerta, indirizzando gli sforzi verso forme di turismo “dolce”: «Per la montagna, lo sci alpino ha rappresentato qualcosa di simile alla Fiat per il settore automobilistico: un’industria fiorente che, dal Dopoguerra a oggi, ha mutato in meglio lo stile di vita di molti montanari, migliorandone indiscutibilmente il tenore. Attualmente, però, quel tipo di approccio non è più sostenibile: è necessario cambiare attitudine, ottimizzando e preservando le strutture  già esistenti, certo, ma tenendo presente che la Terra ci ha imposto un ultimatum inderogabile. Per questo motivo, creare un’offerta il più possibile diversificata, al fine di evitare di incentivare la formazione di ulteriori eco-mostri, sarà il primo passo da compiere: meno consumo di suolo e meno impiego di cemento».

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Giornalista freelance, scrive o ha scritto di politica, letteratura e ambiente su varie riviste, tra cui Dinamopress, The Vision, La Stampa - Tuttogreen, le edizioni italiane di Jacobin e Forbes e, di tanto in tanto, collabora con la testata brasiliana Outras Palavras. Ha conseguito una laurea in scienze diplomatiche internazionali e, non appena possibile, vorrebbe ricominciare a studiare. Nel tempo libero mangia, legge, scrive, corre e strimpella (con scarsissimi risultati) la chitarra.

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