Earth Day 2020

Earth Day 2020: cinquant’anni dalla nascita del movimento ambientalista globale

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Earth Day 2020: cinquant’anni dalla nascita del movimento ambientalista globale ultima modifica: 2020-04-22T00:01:33+02:00 da Giuseppe Luca Scaffidi
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Quest’anno l’Earth Day si appresta a spegnere la cinquantesima candelina. A distanza di mezzo secolo, ripercorriamo le tappe che hanno fornito le premesse per una nuova presa di coscienza ambientale.

Oggi 22 aprile 2020 si celebra il 50° anniversario dell’Earth Day.

In un periodo storico in cui l’ambientalismo militante ha acquisito un’importanza sempre crescente sul piano internazionale, è importante recuperare il retroterra politico e identitario che ha condotto alla nascita della Giornata Mondiale della Terra.

Un evento che, ogni anno, coinvolge fino a un miliardo di persone in ben 192 paesi del mondo.

Rachel Carson e la nascita del movimento ambientalista americano

Nel 1962 la biologa marina Rachel Carson pubblicò un saggio destinato produrre un’eco straordinariamente positiva: Silent Spring.

In 340 pagine al vetriolo, supportate da una minuziosa bibliografia, la Carson si apprestava a documentare le esternalità negative prodotte dall’utilizzo indiscriminato dei pesticidi, favoreggiato dalla presenza di una corposa deregolamentazione in materia ambientale.

Rachel Carson, autrice di "Silent Spring", il manifesto del movimento
Rachel Carson, autrice di “Silent Spring”, il manifesto del movimento ambientalista

L’impatto di Silent Spring

Silent Spring scavò un solco profondo all’interno del dibattito politico statunitense: il netto j’accuse con cui la Carson denunciava senza mediazioni l’attività di lobbying perpetrata dall’industria petrolchimica americana – colpevole di diffondere disinformazione e di esercitare pressione sull’attività del Congresso – e la connivenza dei funzionari competenti, sempre pronti ad accettare passivamente le richieste del marketing di settore, stimolò una nuova presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica di un paese che incorporava tutte le storture proprie del tardo-capitalismo.

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In breve tempo, Silent Spring diventò un vero e proprio caso editoriale, assurgendo allo status di pietra di fondazione del movimento ambientalista americano.

Il pamphlet di Rachel Carson vendette 500mila copie in 24 paesi nel mondo, fu annoverato tra i best sellers del New York Times e chiarificò una volta per tutte l’esistenza di un nesso di causalità tra inquinamento e salute pubblica, ponendo le premesse per una mobilitazione dal basso, pronta ad opporsi con ferma convinzione a un mutismo istituzionale assordante.

Alle origini dell’Earth Day

Nel 1969, lo stesso anno in cui furono celebrati i due appuntamenti del bed-inla protesta non violenta portata avanti da John Lennon e Yoko Ono ad Amsterdam e Montréal, il senatore e attivista americano Gaylord Nelson si trovava nel bel mezzo di un corteo di protesta contro il disastro ambientale prodotto dalle fuoriuscite di petrolio da un pozzo della Union Oil al largo di Santa Barbara, in California.

A sette anni dalla pubblicazione di Silent Spring, la sua idea era quella di inglobare la tematica ambientalista nell’ambito dell’agenda rivendicativa dei movimenti studenteschi contro la guerra in Vietnam, al fine di fornire una continuità d’intenti al manifesto della Carson.

Il mito fondativo dell’Earth Day, dunque, si inserisce in quel moto di radicale sovversione dello status quo, scandito da rivolte e atti di disobbedienza civile, che caratterizzò la fine degli anni Sessanta.

Earth Day 2020
Gaylord Nelson, promotore del primo Earth Day

22 aprile 1970: il primo Earth Day

L’obiettivo perseguito da Nelson era quello di indurre la politica ad abbandonare ogni margine di discrezionalità e a prendere sul serio questioni inderogabili come l’inquinamento da combustibili fossili e la perdita della biodiversità.

I suoi sforzi trovarono compiuta espressione il 22 aprile del 1970, quando 20 milioni di cittadini americani si mobilitarono per una manifestazione a difesa della Terra.

Le proteste fornirono una spinta determinante per una riconsiderazione critica dell’antropocentrismo e, più in generale, del rapporto tra essere umano e natura, contribuendo a spianare la strada al Vertice delle Nazioni Unite del 1992 a Rio de Janeiro.

Il rapporto del MIT

Due anni dopo, il Club di Roma commissionò a un gruppo di ricercatori del MIT – i coniugi Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens III – la stesura di un rapporto sullo stato di salute del Pianeta e delle sue risorse.

Il risultato fu la pubblicazione del volume The limits to growth, che dimostrò scientificamente l’esistenza di un limite invalicabile alle tanto decantate “magnifiche e progressive sorti dell’umanità”, rappresentato dalla finitezza delle risorse a disposizione, presenti in quantità fissa in natura, come il petrolio, il carbone e il gas naturale.

Il report, basato sulla simulazione computerizzata denominata World3 (un modello scritto nel linguaggio di simulazione DYNAMO da Jay Forrester nel 1971 ed illustrato da lui nel libro World Dynamics), analizzò le possibili conseguenze negative che sarebbero scaturite dalla crescita demografica inarrestabile e dal consumo incontrollato delle risorse: due variabili in grado di cagionare danni irreparabili all’ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana.

Per evitare l’avvento di questo scenario apocalittico, gli autori proposero l’adozione dello sviluppo sostenibile, ossia una politica energetica fondata su un nuovo paradigma, basati sulle risorse naturali e sui limiti sostenibili dello sfruttamento.

Anche se oggi il tema dell’esauribilità delle materie prime tiene banco su base quotidiana – e, fortunatamente, i dubbi sull’incidenza di questo fattore sulle sorti del genere umano sono stati pressoché azzerati -, al tempo lo studio dei ricercatori del MIT fu tacciato di eccessivo catastrofismo.

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La difesa del pianeta è un dovere morale

A cinquant’anni dall’istituzione dell’Earth Day, pur avendo registrato passi in avanti importanti in termini di consapevolezza collettiva, siamo ancora ben lontani dal raggiungimento dello scopo.

In una congiuntura in cui i negazionisti del clima continuano e venire ospitati nelle trasmissioni televisive, gli attivisti di Fridays for future vengono simpaticamente etichettati come “gretini” e il Presidente degli Stati Uniti liquida la questione del climate change con uno sterile “I don’t believe it“, implementare il nostro impegno per la difesa del Pianeta non è più un’opzione, ma un dovere morale.

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Giornalista freelance, scrive o ha scritto di politica, letteratura e ambiente su varie riviste, tra cui Dinamopress, The Vision, La Stampa - Tuttogreen, le edizioni italiane di Jacobin e Forbes e, di tanto in tanto, collabora con la testata brasiliana Outras Palavras. Ha conseguito una laurea in scienze diplomatiche internazionali e, non appena possibile, vorrebbe ricominciare a studiare. Nel tempo libero mangia, legge, scrive, corre e strimpella (con scarsissimi risultati) la chitarra.

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