Capri – Revolution: da Venezia la natura come culto e ricerca dell’identità

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Capri – Revolution: da Venezia la natura come culto e ricerca dell’identità ultima modifica: 2019-01-27T08:00:02+01:00 da Emanuel Trotto
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Il fatto

Capri, 1914. L’isola si trova a metà fra tradizione e innovazione. È un punto di ritrovo di intellettuali provenienti da tutta Europa. Per poter condividere le idee che sfoceranno nella Grande Guerra e nella Rivoluzione d’Ottobre. Oppure per cercare una filosofia di vita che esuli dai nuovi ideali, più vicini alla natura. In mezzo c’è la giovane pastorella Lucia, in cerca di identità…

Capri - Revolution

Il commento

Venezia 75 è stata un’esperienza stupenda, senza mezzi termini. So che è strano se detto da un cinemaniaco come il sottoscritto, ma non c’ero mai stato prima. Ma la prima volta non si scorda mai, e tant’èÈ stata un’esperienza emozionale senza pari, e non sto parlando solo di Red Carpet. Le emozioni in sala, come da programma, sono state tante. Prima, durante e dopo che si spegnevano le luci. Una di queste è stata la standing ovation all’ex presidente dell’Uruguay José “Pepe” Mujica, dopo la proiezione del documentario a lui dedicato da Emir Kusturica. Regista e protagonista si sono fatti avvolgere da un abbraccio scrosciante. E Kusturica ha abbandonato, lui così grande e grosso, la sala con gli occhi colmi di lacrime di commozione.

Emozioni a luci accese ma, soprattutto, a luci spente. Emozioni che, dopo aver masticato così tanto cinema, dopo così tanti anni, non si riescono ad evocare così spesso. Emozioni primigenie che esplodono, e che non pensavi di essere più in grado di provare. Come quando, adolescente, al tuo primo due di picche della prima cotta, pensi di non poter più amare. E proprio in quello spiraglio che ricompare ed esplode il sentimento vero. Questo per spiegarvi come è stata la mia reazione quando ho visto Capri – Revolution di Mario Martone. Il film è stato presentato in anteprima tra i film in concorso per il Leone D’Oro, uscendo al cinema il 21 dicembre passato.

Capri - Revolution recensione

Quando lo vidi era una mattina di settembre e lo scelsi, curioso, come film per concludere la mattinata altrimenti drammaticamente vuota. Una fortuita scelta del giorno immediatamente successivo al mio compleanno. Giorno questo che tutti vogliono ricordare ma che, allo stesso tempo, vogliono dimenticare. Perché qui, più che a Capodanno, si fanno i bilanci e ci si sofferma sul tempo che passa. Si pensa a quanto è stato fatto e non fatto, e perciò a come rimediare o a come lasciar correre. Vedere questo film, in un certo senso, è stato catartico. Per questo voglio descrivere l’emozione che provai allora e provo tuttora, anche dopo aver letto la sceneggiatura pubblicata da La Nave di Teseo.

La storia, innanzitutto. È la vicenda di Lucia, una capraia di vent’anni, analfabeta, ignara. Cresciuta all’ombra di due fratelli maggiori e una madre ectoplasmatica. Legata ad un amore paterno che il progresso tecnologico si sta portando via a causa di una infezione ai polmoni contratta in fabbrica. Siamo nella Capri del 1914 e l’isola è una contraddizione fra innovazione e tradizione. Da una parte c’è l’euforia per l’accensione delle prime lampadine ad elettricità; dall’altra la fascinazione di poterlo fare semplicemente con due limoni. Da una parte la società dei benestanti, dei rispettabili e impomatati intellettuali. Intellettuali e proletari che hanno trovato un Eden per portare avanti le loro idee rivoluzionarie bolsceviche. Ma che temono il diverso, nella fattispecie altri intellettuali. Non impomatati, che non vogliono la rivoluzione delle baionette. Predicano una rivoluzione non politica, ma umana.

Costoro vivono in un villaggio diroccato, dall’altra parte dell’isola. Si immergono nudi in bagni di sole, e altrettanto nudi compiono danze propiziatorie. Si nutrono di vegetali, cercano un contatto superiore con la Terra. Qualcosa di più completo, come gli antichi, o i popoli primigeni. Allo scopo di far emergere quelle sensazioni che la civiltà e il progresso tecnologico hanno addormentato. Una comune ante-litteram e multiculturale.

Ancestrale e misteriosa, come se ne disseminarono tante altre in Europa in quegli anni. Ricercatori di una terza via tra il capitalismo e il socialismo, rifuggendoli. Adoravano la Natura, predicando la sua purezza e interpretandola come opera d’arte ultima. Creando un sistema cooperativo in cui si lavorava per emancipare la donna, creare autocritica, nutrire il corpo e la mente. La più famosa è quella di Monte Verità in Svizzera nella zona del Ticino. Comunità che sorse davvero anche a Capri e che era temuta e derisa, in fronte comune sia dagli impomatati che dai popolani analfabeti.  

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E in mezzo c’è Lucia. Il volto duro e mediterraneo, racchiude in sé uno sguardo indagatore. Sguardo che racchiude in sé il desiderio di appartenere a tutti i mondi e a nessuno. Non quello ancestrale, non quello rude dei suoi familiari, né quello del progresso. Refrattaria allo studio che le porterebbe un lavoro come infermiera, così come al matrimonio di convenienza. Dapprima respinge tutto, mente a se stessa. Respinge le tradizioni ancestrali e quelle più remote del pittore-santone Seybu. Poi ci si avvicina quando scopre, letteralmente che dallo sterco possono nascere i fiori dell’arte. Unirsi con lo spirito dell’isola che l’ha vista nascere, in una caverna colore dello smeraldo. Si spoglia così, letteralmente, dei suoi abiti e dei preconcetti. A discapito dei popolani e degli impomatati. In particolare del giovane medico idealista Carlo.

Vuole vivere una libertà che è comunione con la natura, e con lo spirito primigenio. Che non ammette irreggimentazioni. I primi uomini son coloro che vissero davvero, prima che la Regola compromettesse tutto. La civiltà è compromesso, non è libertà. E la cultura, vera, è andata perduta. Due termini, questi, che spesso e volentieri tendono ad essere mescolati e usati in sinonimia. La cultura può essere lo stato dello sviluppo di una civiltà. Quindi tutte le manifestazioni delle abitudini sociali di una comunità. Così come l’agire dell’individuo in rapporto alle abitudini della comunità sociale di cui fa parte. La civiltà è un momento temporaneo di una cultura. Lucia, con il suo sguardo inquieto cerca, inconsciamente di allontanarsi da quel momento.

Questa sensazione di libertà, questa ricerca ossessiva, l’ho sentita molto vicina. Senza perdermi troppo, queste sensazioni sono l’oggetto del vivere. E un po’, con il tempo, si tendono a dimenticare. Capri – Revolution ha l’effetto di ricordare qual è il nostro scopo. Quell’isola sassosa, spaccata dal sole, da quei colori così materici e primordiali ha fatto questo. Un terreno primordiale che, citando la frase di Fabrizia Ramondino che apre il film, «In questo mondo troppo conosciuto è l’unico luogo ancora vergine e che ci attende sempre, ma solo per sfuggirci di nuovo».

Scheda film

  • Regia: Mario Martone;
  • Sceneggiatura: Mario Martone, Ippolita di Majo;
  • Interpreti: Marianna Fontana (Lucia), Reinout Scholten van Aschat (Seybu), Antonio Folletto (Dott.Carlo), Donatella Finocchiaro (madre di Lucia), Giuliano Di Gennario (Antonio), Eduardo Scarpetta (Vincenzo), Lola Klamroth (Nina), Ludovico Girardello (Luca detto Citrus), Maximilian Dirr (Herbert), Jenna Thiam (Lilian), Alfonso Postiglione (Don Franco);
  • Origine: Italia, Francia 2018;
  • Durata: 122′
  • Temi: CINEMA, STILI DI VITA ALTERNATIVI

Capri – Revolution: da Venezia la natura come culto e ricerca dell’identità ultima modifica: 2019-01-27T08:00:02+01:00 da Emanuel Trotto

Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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