Arming Europe, il rapporto di Greenpeace dimostra che gli investimenti in ambiente, istruzione e sanità rendono molto di più rispetto a quelli in armi
L’aumento delle spese militari nei Paesi dell’Unione europea (Ue) aderenti alla Nato desta preoccupazione e, oltre a destabilizzare l’ordine internazionale, rischia di avere ricadute negative in termini di occupazione e crescita economica. Lo sostiene il rapporto “Arming Europe”, commissionato dagli uffici nazionali di Greenpeace Italia, Germania e Spagna, che dimostra come gli investimenti in ambiente istruzione e sanità abbiano un effetto moltiplicatore decisamente superiore rispetto alle spese militari, purtroppo in continua crescita.
La crescente militarizzazione dei Paesi europei
In Europa le armi paiono non passare mai di moda. Negli ultimi dieci anni le spese militari dei Paesi Ue aderenti alla Nato sono cresciute del 46%, passando da 145 miliardi di euro nel 2014 ad una previsione di bilancio di 215 miliardi nel 2023. Non giova a tutto ciò la guerra in Ucraina, che nell’anno in corso comporterà un aumento delle spese militari in termini reali di circa il 10% rispetto all’anno precedente. L’obiettivo Usa e Nato di destinare il 2% del Prodotto interno lordo (Pil) dei Paesi comunitari aderenti all’Alleanza atlantica in favore delle forze armate non è poi così lontano, se pensiamo che oggi siamo già all’1,8%.
I danni ambientali della guerra in Ucraina, la mappa di Greenpeace ed Ecoaction
Nel 2023 è pari a 64,6 miliardi di euro la spesa per gli armamenti nei Paesi Ue della Nato (+270% in un decennio): la Germania tocca quota 13 miliardi di euro, l’Italia 5,9, la Spagna 4,3. In dieci anni la spesa militare reale è salita in Spagna del 50%, in Germania del 42% ed in Italia del 30%.
“Un simile aumento della spesa militare e dell’acquisto delle armi è in netto contrasto con la stagnazione delle economie della UE. Nell’aggregato dei Paesi UE della NATO, tra il 2013 e il 2023, il PIL reale è aumentato del 12% (poco più dell’1% in media all’anno), l’occupazione totale del 9% e le spese militari del 46%, quattro volte il reddito nazionale”, si legge nel rapporto.
La militarizzazione è tornata una questione centrale nell’Ue, lo dimostrano pure sia il Fondo europeo per la difesa, che stanzia 7,9 miliardi di euro per la ricerca e la produzione di nuovi armamenti nel periodo 2021-2027, sia il Fondo europeo per la pace, che prevede 12 miliardi di euro per aiuti e forniture militari fuori dalla Ue nello stesso periodo.
Considerando sempre l’ultimo decennio, nei Paesi Ue della Nato gli investimenti in conto capitale della spesa pubblica sono aumentati del 35%, ben poca cosa a confronto con l’acquisto di armi, che è cresciuto addirittura del 168%, un valore cinque volte superiore. Le finanze pubbliche non se la passano così bene ma la spesa per gli armamenti vola, il +46% in dieci anni surclassa il +20% della spesa pubblica totale dell’aggregato dei Paesi Ue e Nato, dove scomponendo il dato risultano ben più contenuti gli aumenti della spesa in sanità (+34%) istruzione (+12%) e protezione ambientale (+10%).
Il basso impatto economico ed occupazionale della spesa militare
La spesa in armi quali effetti ha in termini di crescita economica e di posti di lavoro? Conviene davvero investire negli armamenti rispetto ad altri settori, quali sanità, ambiente ed istruzione? Lo studio di Greenpeace ha cercato di fornire risposte a questi interrogativi ed è giunto a conclusione chiare.
How to Change the World, l’origine di Greenpeace e dell’ambientalismo moderno
Una spesa di 1.000 milioni di euro per l’acquisto di armi porta ad un aumento della produzione interna di 1.284 milioni di euro in Spagna, 1.230 in Germania e soli 741 in Italia, con un effetto occupazionale calcolato in una crescita di 6.500 posti di lavoro a tempo pieno in Spagna, 6.000 in Germania e 3.000 in Italia.
L’impatto economico ed occupazionale risulta invece decisamente maggiore quando gli investimenti si spostano su tre settori cardine per la società, quali sanità, ambiente ed istruzione. Solo per la protezione ambientale, una spese delle stesse proporzioni a quella sopra considerata comporterebbe un aumento della produzione di 1.900 milioni di euro in Italia, 1.827 in Spagna e 1.752 in Germania.
Stesso discorso per i posti di lavoro, che in Italia crescerebbero di 14mila unità nell’istruzione, 12mila nella sanità e circa 10mila nei servizi ambientali, in Germania di 18mila nell’istruzione, 15mila nei servizi sanitari e 11mila nel settore ambientale, in Spagna in un range dai 12mila nuovi occupati (comparto ambientale) ai 16mila (istruzione).
“In termini economici, la militarizzazione è un ‘cattivo affare’. L’aumento delle spese militari sta portando l’Europa su una traiettoria di minore crescita economica, minore creazione di posti di lavoro e peggiore qualità dello sviluppo. Le alternative – maggiori spese per l’ambiente, l’istruzione e la salute – avrebbero effetti migliori sulla crescita e sull’occupazione e porterebbero grandi benefici alla qualità della vita e dell’ambiente”, si legge nel rapporto.
Arming Europe, il focus sull’Italia
Nel 2023, ogni cittadino dei Paesi Ue aderenti alla Nato pagherà in media per la spesa militare 508 euro in confronto ai 330 di dieci anni prima. In Italia la cifra si attesta a 436 euro e colpisce soprattutto l’aumento del budget per i sistemi d’arma, passato da 2,5 a 5,9 miliardi di euro nell’ultimo decennio. Più in generale, nello stesso arco temporale i Paesi dell’Unione e del Patto Atlantico fanno registrare il doppio della crescita nella spesa per le armi rispetto a quella per il personale e per l’esercizio.
Tornando al Bel Paese, nel decennio 2013-2023 si nota una forte disparità tra l’aumento vertiginoso delle spese militari (+26%) e per l’acquisto di armi (+132%) e la stagnazione in termini di crescita economica (+9% del Prodotto interno lordo) e dell’occupazione (+4%). La concentrazione delle risorse nella militarizzazione pare inoltre danneggiare altre importanti voci della spesa pubblica, che nello stesso periodo hanno fatto registrare percentuali di crescita abbastanza irrisorie (+11% per la sanità, +6% per la protezione ambientale e solo +3% per l’istruzione).
Spese militari, 50 premi Nobel ne chiedono la riduzione per il bene comune
“L’ultimo decennio è stato drammaticamente segnato dall’aggravarsi della crisi climatica ed economica, da una pandemia e da nuovi conflitti, ma l’unica risposta del nostro governo è stata quella di aumentare la spesa militare. Da tempo chiediamo di fermare la corsa al riarmo e di investire più risorse nella lotta contro la povertà e la crisi climatica, a tutela della pace, delle persone e del pianeta. Questo studio dimostra che spendere nelle armi è un ‘cattivo affare’ anche per l’economia”, ha dichiarato Sofia Basso, Research Campaigner “Climate for Peace” di Greenpeace Italia.
Il rapporto cita lo studio dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) che ha calcolato le vittime del cambiamento climatico e dell’inquinamento in Europa nel 2021, pari a 1,4 milioni di persone. A fronte di questi preoccupanti numeri, nella sola Italia la spesa per le armi è cresciuta del 132% nel decennio 2013-2023, superando nettamente la spesa pubblica in conto capitale per la costruzione di scuole (+3%), ospedali (+33%) o impianti di trattamento delle acque (-6%).
La metodologia input-output utilizzata nel rapporto – che analizza gli effetti sulla domanda nazionale diretta e indiretta attivata da una spesa pubblica iniziale – ha rilevato inoltre il minore effetto moltiplicatore della spesa per l’acquisto di armi rispetto a quella negli altri tre settori considerati, anche perché la prima in Italia fa registrare una quota delle importazioni molto più elevata (circa il 59% contro il circa 1% relativo a sanità, ambiente ed istruzione).
Come abbiamo già descritto nel paragrafo precedente, in Italia la stessa cifra investita di mille milioni di euro comporta circa il doppio della produzione nei tre settori sopra citati rispetto alle armi e circa il quadruplo dei posti di lavoro.
“Questi risultati ci dicono che la scelta di concentrare le risorse pubbliche nel settore militare non determina solo la riduzione dei fondi per affrontare le priorità ambientali e sociali, ma ha anche un effetto significativamente inferiore in termini di crescita economica e dell’occupazione. L’aumento delle spese militari – associato alla prospettiva di un più forte “complesso militare-industriale” – può infatti rallentare lo sviluppo economico europeo, mentre maggiori spese per l’istruzione, la salute e l’ambiente migliorerebbero la qualità di vita e dell’ambiente in Italia e in Europa”, conclude il rapporto.
[Credits foto: Pexels, Pixabay]