Il report di Fondazione Symbola, gruppo Tea e Ipsos analizza il livello di conoscenza e diffusione delle comunità energetiche rinnovabili in Italia
Il report “Le comunità energetiche contro la crisi. Empatia, tecnologie e territori per un’economia a misura d’uomo”, redatto da Fondazione Symbola, gruppo Tea e Ipsos, ha rilevato la diffusione e conoscenza nel nostro Paese di questi strumenti per la lotta alla crisi energetica e climatica. Sempre più diffuse e apprezzate, ma non ancora ben conosciute e purtroppo frenate da limiti normativi e burocratici, le comunità energetiche rinnovabili (Cer) presentano indubbi benefici economici, ambientali e sociali, che le rendono una soluzione concreta per il caro bollette, l’emergenza climatica e la povertà energetica.
Le comunità energetiche: cosa sono e come funzionano
Introdotte in Europa nel 2016 tramite il Clean energy package, le comunità energetiche rinnovabili sono una nuova forma di produzione e scambio di energia sul posto, ideale per la transizione da fossili a rinnovabili. Si tratta di soggetti giuridici di diritto privato che prevedono l’unione tra cittadini, attività commerciali, enti pubblici, piccole o medie imprese, scuole, università, istituti religiosi, soggetti del terzo settore ecc. , con l’obiettivo di produrre, consumare e scambiare energia da fonti rinnovabili su scala locale. Un’alleanza dal basso nell’ottica di una maggiore giustizia ambientale e sociale.
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La normativa italiana, che ha recepito le raccomandazioni contenute all’interno della Direttiva europea RED II in materia di sostenibilità energetica, consiste nell’articolo 42-bis del Decreto Milleproroghe 162/2019 (con i relativi provvedimenti attuativi) e nel Decreto legislativo 199/2021.
L’area dove installare l’impianto di produzione deve essere in prossimità dei consumatori e i membri della comunità sono comproprietari, anche se tali strutture possono anche essere messe a disposizione da uno o più partecipanti o perfino da un soggetto terzo. La tecnologia rinnovabile più utilizzata ed adatta è il fotovoltaico, mentre gli impianti possono avere una potenza complessiva fino a 1 MW ed esser connessi alla rete elettrica attraverso la stessa cabina primaria. Alla comunità energetica possono contribuire anche impianti a fonti rinnovabili già esistenti, purché non superino il 30% della potenza complessiva riferita alla comunità stessa.
I soggetti associati, fermo restando che la partecipazione alla comunità è aperta, volontaria e senza obblighi di durata, continuano ad avere un fornitore di energia elettrica sul mercato libero ma al contempo accedono agli incentivi previsti per la transizione energetica, producono energia per autoconsumo e, in caso di surplus, possono decidere di immagazzinarla in sistemi di accumulo o immetterla in rete per la vendita.
Ogni comunità può scegliere come ripartire i ricavi fra i membri, stabilendolo liberamente mediante un contratto di diritto privato. In pratica, ogni partecipante continua a pagare la bolletta ma riceve periodicamente dalla comunità un importo derivante dalla condivisione dei benefici ottenuti, che si traducono in uno sconto in bolletta. Ecco dunque i vantaggi economici, che si uniscono a quelli ambientali visto l’aumento di produzione elettrica da fonti rinnovabili e la riduzione degli sprechi, ed a quelli sociali per l’aggregazione creata sul territorio e la riduzione della povertà energetica.
Se le Cer sono ormai una realtà consolidata soprattutto nel nord Europa, in Italia scontano ancora dei problemi a causa di ritardi normativi e lungaggini burocratiche. Legambiente ha rivelato che sulle 100 comunità energetiche mappate a giugno 2022, solamente 16 hanno completato l’iter di attivazione presso il Gestore dei servizi elettrici (Gse) e tra queste solo tre sono riuscite ad accedere alla prima tranche di incentivi statali.
Le conclusioni del Report
Il report ha preso in esame tre target, le piccole e medie imprese, il mondo ecclesiale e la società civile. Ipsos ha condotto 200 interviste a piccole e medie imprese, per le diocesi è stato inviato un link per la compilazione di un questionario da parte dei referenti diocesani (80 interviste), mentre per la società civile in generale sono state inserite alcune domande all’interno del barometro settimanale di Ipsos Public Affairs, che riguarda ogni settimana un campione di 800 italiani.
In generale è stata rilevata una buona conoscenza delle Cer in tutti i target ma soprattutto nelle diocesi. Tre imprese su quattro (75%) e un cittadino su sei (15%) ne hanno almeno sentito parlare, anche se va rilevato che solo il 32% delle prime e il 13% dei secondi hanno dichiarato di conoscerle bene, una percentuale che cresce invece tra i referenti diocesani, attestandosi al 47.
Se vi sono margini di miglioramento sul fronte della conoscenza, maggior ottimismo suscita il dato del favore verso questa forma di rivoluzione energetica. La propensione a partecipare a una Cer è del 60% tra i cittadini e del 56% tra le imprese, con un 19% in entrambi in target che si dichiara molto propenso. L’85% dei referenti diocesani è convinto che le Cer possano contribuire ad aumentare la produzione elettrica da fonti rinnovabili in Italia, ma il 43% ribadisce che solo alcune parrocchie potranno dotarsi di questo strumento. Maggiore ottimismo regna invece tra le imprese, dove il 41% degli intervistati ha dichiarato che le Cer potranno affermarsi nei prossimi cinque anni.
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“Le comunità energetiche rinnovabili sono uno strumento formidabile per affrontare la crisi climatica, abbassare le bollette, rendere l’Italia più libera da ricatti energetici puntando sulle rinnovabili. Lo pensano i cittadini, imprese, diocesi, anche se molto resta da fare per far conoscere e rendere praticabili le Cer. In particolare va colmato il ritardo accumulato nell’approvazione dei decreti attuativi” ha dichiarato Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola.
Passando alla percezione dei benefici, per i cittadini i vantaggi si traducono principalmente nel risparmio e nella garanzia di indipendenza e sicurezza energetica sul territorio, mentre le imprese citano nell’ordine la riduzione dei costi energetici (62%), il ritorno in termini di immagine (25%) e la possibilità di rendere più solido il legame con la comunità locale e il territorio (20%). Il report evidenzia però alcune criticità sia sulla conoscenza degli investimenti economici richiesti che su quella delle modalità e dei tempi di realizzazione, ribadendo le difficoltà nel cambio di mentalità e l’incertezza del quadro di norme e adempimenti burocratici.
Conferma l’urgenza di definire le regole attuative per l’avvio definitivo delle Cer il presidente di Gruppo Tea Massimiliano Ghizzi “nel bel mezzo di una crisi energetica, sussiste un vuoto normativo ingiustificabile che rallenta i tanti progetti in essere nel nostro Paese. Il processo verso la transizione energetica è avviato, urgente e trasversale, e le Cer rappresentano senz’altro una soluzione concreta”.