Il 40 Torino Film Festival presenta Eo di Jerzy Skolimowski. Un grido contro la crudeltà verso gli animali visto con gli occhi di un asino.
«Eo» si può leggere anche come «i-ho», l’onomatopea del raglio dell’asino. Lo sentiamo, alternativamente alla Sonata n.20 in A Minore di Franz Schubert sui titoli di testa di Au hasard Balthazar (1966) di Robert Bresson, film ispirato all’infanzia del regista francese. Il ricordo dei tanti asini che ha visto nella zona in cui è cresciuto (l’Avernia-Rodano-Alpi) e la visione del muso di un asino che occupa l’intero schermo sono l’ispirazione per questo titolo. Il muso di un asino su di uno sfondo scarlatto occupa la locandina di Eo il film di Jerzy Skolimovski vincitore del Premio della Giuria al 75 Festival di Cannes e che è stato presentato al 40 Torino Film Festival nella sezione Fuori Concorso prima di essere distribuito prossimamente da I Wonder Arthouse.

Questi due film sono un costante dialogo. In quanto non si tratta di un semplice remake l’uno dell’altro. È un omaggio emozionale quello che Skolimowski fa dell’opera di Bresson. Au hasard Balthazar è il solo film, a detta del regista polacco, che lo abbia fatto realmente commuovere. Un’esperienza che, a detta del regista, non si è più ripetuta. La visione di Eo sintetizza questo spirito.
Eo è il nome di un asinello che fa coppia con l’acrobata Kasandra in un circo polacco di oggi. Il rapporto fra i due non è la semplice intesa che si crea fra uomo e animale. Potrebbe più essere un rapporto simbiotico. Perché il legame fra i due ricorda quello fra due amici d’infanzia il quale, una volta cresciuti, diventa qualcosa di più forte. Un sentimento vicino all’amore di due adolescenti. L’unione fra due anime incomprese da tutto e da tutti legate a doppia mandata. Un amore fatto di carezze e colpi di muso. Un idillio che si rompe quando il circo viene smantellato per fallimento e tutti gli animali vengono venduti. Eo si separa dalla sua padrona e viene portato in un maneggio a trasportare le attrezzature per gli allenamenti di un elegante cavallo bianco.
Il Rifugio degli Asinelli, a Biella c’è chi pensa anche a loro
Noi entriamo negli occhi di Eo, e con lui guardiamo con ammirazione quel cavallo bianco, lasciando trasparire nel piccolo equino una sindrome da brutto anatroccolo. Il desiderio di essere più bello, più grande, più coccolato e non, nelle condizioni migliori, ignorato. Se non proprio bastonato e frustato. In esso Eo vede la grazia e la purezza che lui, almeno in apparenza, non possiede. Gradualmente ci allontaniamo dal punto di vista di Kasandra, che una volta salutato definitivamente Eo, si allontana fra i boschi assieme a un silenzioso motociclista. L’asinello però non dimentica: la ricerca della sua amica diviene una vera e propria odissea in cui il ricordo dell’amore mai dimenticato si formalizza visivamente con luci rosse intermittenti e accese che ricordano le luci del suo numero. Luci che, se viste dall’alto, si incrociano a formare un cuore. Il cuore palpitante di Eo.

La ricerca di Eo è quella dell’amore e della comprensione per la sua condizione perché è un asino, un animale da sempre considerato inferiore, stupido e testardo. Pregiudizi nati in passato senza comprendere realmente l’autenticità di questi animali. La ricerca sembra vana in quanto il mondo esterno che lo circonda è ostile a Eo, sia che si tratti del mondo naturale che quello umano. Il primo è fatto di boschi tenebrosi, popolato da creature ignote e pericolose come lupi o gufi. Un universo tetro uscito da una fiaba dei fratelli Grimm.
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Mentre il mondo degli uomini è semplicemente spietato, volto solo all’interesse personale, nel quale gli animali ne fanno il più delle volte le spese. Ci viene mostrato il maltrattamento degli animali nel circo, gli allevamenti intensivi per la produzione di pellicce, i container per cavalli destinati al mattatoio. L’animale in questo film è semplicemente uno strumento o un fastidio abbattuto e gettato da parte come un oggetto inutile.
Il film di Bresson è la metafora di viaggio attraverso la vita umana, dalla nascita alla crescita, passando per i vizi capitali, in una sorta di Via Crucis. Eo di Skolimovski è un viaggio nella crudeltà dell’uomo verso gli animali. Eo ne è testimone. Con i suoi occhi scuri e vitrei assiste silenzioso a tutto quello che gli succede attorno. Il suo muso, in primo piano e perfettamente a fuoco, domina lo schermo. Quello che succede al di fuori di esso non conta.

Skolimovsky radicalizza il discorso di Bresson scomponendo la narrazione. Essa è puramente soggettiva ed emozionale. In essa il dialogo è solo un vuoto artificio, è rivolto a niente e a nessuno. Le poche parole rivolte a Eo sono vuote e i personaggi umani interiorizzano i loro discorsi più che comunicare con i propri simili. Anche Eo è profondamente umano in tutto questo. Anche quando si ritrova fra i suoi simili si limita a sgranocchiare silenzioso una carota in un angolo.
Eo a volte subisce senza lamentarsi, a volte si ribella. Scappa via, colpisce con gli zoccoli i suoi oppressori. È un asino molto più determinato rispetto a quello di Bresson che veniva usato come valvola di sfogo da parte degli uomini. Balthazar (questo il suo nome) si limitava a ragliare e a soffrire. Nel nome Eo è racchiuso un grido d’aiuto. Che è quello della sofferenza e dell’ingiustizia di molti. Un grido molte volte inascoltato.
