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Impronta ecologica, non solo un indicatore ambientale. Le dinamiche sociali nascoste

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Impronta ecologica, non solo un indicatore ambientale. Le dinamiche sociali nascoste ultima modifica: 2022-06-23T07:57:02+02:00 da Redazione eHabitat.it
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Il calcolo dell’impronta ecologica ha indicato il 15 maggio 2022 come l’Overshoot-Day per l’Italia ma la tutela della biocapacità non è il solo punto critico ad emergere.

L’impronta ecologica, anche indicata con la sigla EF dal termine Ecological Footprint, è un indicatore utilizzato per quantificare la richiesta di risorse naturali di una popolazione e viene espressa in GHA, ettari globali. Questo valore assume significato se confrontato con un benchmark, un valore di riferimento, che in questo caso è la biocapacità intesa come la capacità degli ecosistemi di rigenerarsi e offrire servizi ecologici.

Quando l’Impronta Ecologica eccede la biocapacità ci troviamo in una condizione di deficit ecologico. Stiamo consumando più risorse di quanto la natura sia in grado di offrire e rigenerare. In altre parole, eccedendo la biocapacità, siamo in debito con il sistema Terra.

Un esempio di applicazione dell’EF è il calcolo dell’Overshoot Day. Consiste nell’indicare per ogni nazione la data annuale in cui l’appropriazione di natura supera la sua biocapacità. La data indicata per l’Italia è stata il 15 maggio e secondo i dati riportati dal Global Footprint Network ci vorrebbero 2,7 pianeti Terra se la popolazione globale avesse l’impronta ecologica pro capite di un cittadino italiano.

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Dati, che mettendoci di fronte ai limiti del nostro Pianeta, dovrebbero farci riflettere e forse anche spaventare di fronte ad una imminente catastrofe ambientale causata dalla dissonanza fra sistema economico e leggi naturali.

La sostenibilità ambientale non è tuttavia l’unica problematica. Un’attenta analisi dell’impronta Ecologica mette in mostra anche criticità sociali.

Per comprendere al meglio le rilevazioni scientifiche e le analisi sull’Impronta Ecologica distinguiamo due concetti affiancati spesso al termine sostenibilità: equità intergenerazionale e equità intragenerazionale.

Il primo indica la necessità di tutelare le risorse affinché le generazioni future possano godere del nostro stesso capitale naturale. Il secondo termine si riferisce al tempo presente, in particolare alle differenze sociali riguardo opportunità e qualità della vita fra la parte Nord e Sud del mondo.

Entrambe le accezioni sono concetti importanti nei 17 obiettivi stilati dall’ONU (SDGs) e suggeriscono uno stretto legame fra sfera ambientale e sociale per uno sviluppo sostenibile. Si citano infatti la tutela delle risorse (equità intergenerazionale) ma anche la lotta alla povertà (equità intragenerazionale).

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L’Impronta Ecologica risulta essere uno strumento efficace poiché permette di analizzare entrambe le sfere. Grazie all’Overshoot Day, una delle applicazioni più conosciute, abbiamo un’idea immediata relativa all’equità intergenerazionale e ci mostra chiaramente come quasi tutte le nazioni del mondo non stiano garantendo alle generazioni future la nostra disponibilità di risorse. Altre applicazioni dello stesso indicatore mostrano invece criticità sociali che spesso rimangono ai margini del dibattito pubblico.

Cosa emerge confrontando l’Impronta Ecologica di Paesi diversi?

Il seguente grafico, presente in un report di Global Footprint Network, è un perfetto esempio di come strumenti scientifici possano rendere misurabile un concetto astratto come quello di sostenibilità.

ecological footprint grafico

Il grafico mostra l’impatto, in termini EF, di diverse regioni del mondo. Più grande è la superficie dei rettangoli colorati più l’impatto è significativo per l’appropriazione di biocapacità. La grandezza delle aree dipende da due fattori: l’Impronta Ecologica pro capite e la popolazione.

L’area più grande è sicuramente quella corrispondente alla zona Asiatica e in termini di impatto ambientale riveste un ruolo importante in senso negativo. Tuttavia il grafico non comunica solo un dato ambientale ma apre le porte a riflessioni sull’equità intragenerazionale. Emerge infatti una grande differenza sociale fra Stati del nord America e Stati UE, e gli Stati della zona asiatica.

L’Impronta Ecologica pro capite, calcolata sull’impatto dei consumi, è anche un indicatore sociale. Un maggiore valore pro capite indica una maggiore capacità nell’accedere a beni e servizi e di conseguenza una migliore qualità della vita. L’ EF degli abitanti della zona Asiatica risulta nettamente inferiore rispetto quella degli abitanti dei paesi del Nord America e dell’Unione Europea e questo evidenzia un tenore di vita completamente differente considerando che nel calcolo sono compresi anche i servizi essenziali come istruzione o sanità.

Che vi sia uno squilibrio di ricchezza fra Paesi sviluppati e in via di sviluppo non è una novità ma l’indicatore ecologico ci porta a rappresentare al meglio le relazioni fra di essi.

Grazie all’Impronta Ecologica è possibile anche costruire una bilancia commerciale dello sfruttamento delle aree produttive. Caratteristica dei paesi sviluppati, fra cui l’Italia, è quella di avere in un’EF calcolata sui consumi maggiore di quella generata dalla produzione domestica. Significa che gli italiani si appropriano di una biocapacità superiore di quanta sia disponibile sul nostro territorio e in questo caso si dice che l’Italia è un’importatrice netta di impronta ecologica.

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Siamo abituati a parlare di importazioni di merci, materie prime o prodotti ma quasi mai si considera l’impatto ambientale e sociale che questi accordi commerciali provocano soprattutto verso paesi in via di sviluppo.

Parte considerevole dei prodotti importati in Italia proviene dalla zona asiatica e considerando il legame fra consumo, produzione e impatto ecologico non è errato affermare che per sostenere il nostro tenore di vita generiamo indirettamente un impatto ambientale negativo verso Paesi anche molto distanti geograficamente dal nostro. Lo sfruttamento di superfici produttive non è la sola criticità ad emergere: se da una parte i paesi in via di sviluppo stanno avendo una grande crescita economica dovuta alla grande produzione dall’altra emergono altre problematiche.

Uno degli obiettivi sostenibili indicati dall’ONU è la lotta alla povertà, che sebbene in netta riduzione nei paesi sviluppati sta incrementando nei paesi in via di sviluppo. Una recente ricerca pubblicata su ScienceDirect, che indaga il rapporto fra Impronta Ecologica e povertà nella regione asiatica, mette in evidenza come all’aumento della produzione nazionale corrisponda un contrastante aumento dell’impatto ecologico e del tasso di povertà.

Nei 17 Paesi di riferimento si è registrato un aumento nel tasso di povertà, dal 27,3% del 1990 al 33,4% del 2013.

Una variazione significativa raggiunta in poco tempo. Fra le possibili cause che lo studio individua vi è la repentina industrializzazione che provoca degrado ambientale e appropriazione di biocapacità oltre che diseguaglianze sociali fino ad un aumento del tasso di povertà.

Dati e risultati che portano a degli interrogativi. Siamo responsabili, con il nostro sistema economico, consumi e abitudini dello sfruttamento ambientale e sociale in altre zone del mondo?

La risposta non è affatto semplice ma comprendere l’esistenza di relazioni nascoste fra ambiente, economia e società può portare ad una maggiore consapevolezza e dunque una maggiore capacità nel prendere decisioni individuali o collettive volte ad un reale sviluppo sostenibile su scala globale.

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In nostro supporto ricordiamo vi sono degli indicatori scientifici, come l’Impronta Ecologica, che offrono un punto di vista complementare alla classica valutazione monetaria che da sola non può essere esemplificativa del rapporto, complesso quanto affascinante, fra popolazioni e il nostro pianeta.

di Daniele Vignuda

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