Venezia 2019, Andrej Tarkovskij. A Cinema Prayer, la preghiera del cinema per gli uomini

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Venezia 2019, Andrej Tarkovskij. A Cinema Prayer, la preghiera del cinema per gli uomini ultima modifica: 2019-09-29T08:00:30+02:00 da Emanuel Trotto
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Faccio una confessione. Lo so, per un buon cinefago quello che sto per dire risulterà quantomeno blasfemo. Mi scuserò, cercherò di farlo nelle prossime righe il più possibile. Conosco poco il lavoro di Andreij Tarkovskij. Ecco l’ho detto. Uno di coloro che vengono, giustamente, considerati, dei maestri del cinema. Oltre che ispiratore di numerosi artisti e registi successivi. Volenti o nolenti tanti hanno ammesso un’ispirazione artistica rivolta a questo Maestro. In altre parole è imprescindibile e va visto, almeno un suo lavoro, una volta nella vita. O forse più.

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I miei ricordi di Tarkovskij sono molto remoti, risalgono al periodo universitario. L’esame di Storia del Cinema, con il suo esordio L’infanzia di Ivan (1962). O, ancora più indietro, alle prime esperienze cinefile in solitari sabati sera negli anni del liceo. Si tratta di Solaris del 1972. Quindi abbastanza sbiaditi, o comunque riconducibili a sensazioni, profonde. La bellezza delle immagini, l’eleganza dei movimenti della macchina da presa, i monologhi interiori colmi di significati. Solo con il tempo, dopo alcune visioni e molti esami dopo, del regista sovietico mi sono fatto un po’ un’idea. Ma non ancora molto concreta e la sua filmografia, nel mio bagaglio culturale, è ancora assai incompleta.

Per cercare di fare un po’ di ammenda, ho recuperato il bel documentario Andrej Tarkovskij – A Cinema Prayer diretto dal figlio del maestro, Andrej Andre’evic Tarkovskij Jr.. Il film è stato presentato alla 76ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Venezia Classici Documentari. Il film, nonostante la mano filiale, non è né un film elogiativo nei confronti del padre, né di sudditanza. Né tenta di colmare lacune familiari. Si potrebbe definire, usando un termine improprio, didattico. Nelle intenzioni dell’autore è quella di rivolgersi ai giovani, di permettere di conoscere e studiare un autore di cui si è detto e scritto molto. Ma del quale ci si è dimenticati la vera voce, il suo punto di vista.

Il film è strutturato in base a immagini di repertorio, polaroid, interviste, e dichiarazioni che Tarkovskij ha espresso nel corso della sua vita. Oltre, naturalmente agli spezzoni dei suoi film. E riprese fatte nei luoghi della sua vita.

Ed è proprio su una di queste inquadrature che si apre il film. Su di una taiga avvolta nella nebbia e con il sole patinato e lontano. Questa è una delle tante immagini che sono disseminate nel film. Non in maniera casuale. Infatti si potrebbero idealmente dividere in due tipi: ovvero quelle più nebbiose riguardanti il passato e la vita “terrena”. E quelle più ariose, luminosi paesaggi nel fiorire della primavera e dell’estate. Queste per accompagnare l’espressione delle sue idee più profonde ed eteree. Come avrebbe detto lui, l’uomo deve avere una mano che tocca terra e una che tocca il cielo.

Andrey Tarkovsky, A Cinema Prayer

In questi momenti parla della sua terra, della sua visione del mondo. La terra indissolubilmente patria e Madre. Per l’animo russo, sono indissolubili, secondo quanto dice nel documentario. Da qui il suo interesse per tutto quello che cresce dalla terra e tende verso il cielo. Come l’erba e gli alberi. La terra che si amalgama all’acqua. Che taglia la terra in fiumi e torrenti. O che resta impigliata nelle pozzanghere. Perché da questi spazi ristretti si può trovare un riflesso dell’infinito. Il mondo al di fuori di tutto questo, invece, è una landa deserta. Un territorio che sembra sopravvissuto a qualche calamità e che non riesce a riprendersi. Un ambiente che è specchio dell’animo umano.

Da dove nasce questa visione? Da dove proviene l’uomo Andrej Tarkovskij? Egli nasce a Zavroze nel 1932 in un villaggio di artisti nei pressi di Mosca. Figlio del poeta Arsenij e di Maja Visnjakova, che divorziano quando lui è ancora bambino. La madre, per curare la sua educazione e per allontanarlo dalle cattive compagnie, lo manda a lavorare in Siberia come geologo raccoglitore. Lì inizia il suo avvicinamento alla natura. Un avvicinamento significativo sia per l’uomo che per l’artista. Questo elemento lo farà confluire nelle sue opere cinematografiche. Proprio a partire da L’infanzia di Ivan (Leone d’Oro 1962 ex aequo con Cronaca Familiare di Valerio Zurlini). Per poi proseguire, in maniera ancora più diretta in Andrej Rublëv (1966) e che andrà a perfezionarsi nei suoi film successivi.

Nei suoi lavori l’uomo è natura. Nelle sue opere i suoi personaggi vivono ardentemente di questo conflitto. L’uomo per l’autore russo fatica ad essere cosciente di questo. Quando ne diviene cosciente in molti casi fatica ad accettarlo. Solo con una profonda introspezione è possibile sciogliere questo problema, ed essere finalmente liberi. Il suo cinema anela la libertà perché egli stesso voleva essere libero. Come uomo e come artista.

Andrey Tarkovsky, A Cinema Prayer

Condizione estremamente difficile in un cinema come quello Sovietico di quegli anni. Era un cinema che anelava a ben altro. Anelava alla più concreta coscienza di classe. Importava della collettività. Il cinema non poteva trasmettere messaggi eterei. Visioni così opposte non potevano non creare attriti fra Tarkovskij e il governo Sovietico. Si andava da divieti di partecipazione a festival internazionali a permessi per girare dopo iter kafkiani. E film distribuiti in sale di ultimissima visione. Fino ad arrivare alla tragica decisione, di abbandonare l’URSS nel 1983 e trasferirsi in Italia.

Anche se la sua mente e il suo cuore hanno sempre anelato a tornare a casa. Quella casa che Andrej stesso costruì a 300 km da Mosca. Fra i boschi e i ruscelli. Dove poteva cominciare a formulare le sue preghiere. Perché il cinema è arte e l’arte è il modo per avvicinarsi alla natura e al suo creatore. Di conseguenza, il cinema è una preghiera.

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Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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