Pedalare per emanciparsi: corsi di bicicletta per donne migranti

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Pedalare per emanciparsi: corsi di bicicletta per donne migranti ultima modifica: 2016-02-15T08:00:44+01:00 da eleonora anello
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Una bicicletta azzurra, una strada appena asfaltata e poco trafficata. Il profumo dei tigli che sancisce la fine della scuola. Mio padre che toglie le mani dal portapacchi posteriore da cui con pazienza e determinazione mi sosteneva. Se anche voi come me vi ricordate perfettamente di quando da bimbe avete pedalato senza rotelle per la prima volta, altre donne, certamente meno fortunate sotto questo punto di vista, non possono rivivere questo ricordo d’infanzia. E, così, non conoscono la gioia e il senso di libertà e di indipendenza che si prova a pedalare per la prima volta in tenera età.

vogliounaruota2Foto di “Voglio una ruota”

Già, perché poter liberamente muoversi in bicicletta non è poi così scontato. Ancora oggi, in alcuni paesi del mondo alle donne è proibito pedalare per motivi culturali e religiosi. Pedalare, ormai per convenzione sociale, è considerata un’attività immorale e sconveniente. In alcune nazioni come in Arabia Saudita per le donne è possibile usare la bicicletta a solo a scopo ricreativo e in zone ben delimitate. In altri paesi, come in Iran e in Corea del Nord, è addirittura considerato un reato.

 donne-bici-iodonnaFoto di Io Donna

Accade però da qualche mese che l’Istituto Cadorna di Milano organizzi un vero e proprio corso di bicicletta per donne adulte di tutte le nazioni. Si chiama “Mamme in bici” ed è un corso teorico e pratico tenuto da operatrici specializzate dell’Università Bicocca, in cui viene insegnato a donne adulte ad andare in bicicletta. Le partecipanti impareranno prima l’equilibrio e la pedalata, per poi passare all’educazione stradale. In primavera saranno effettuate le prime uscite in strada. Al momento le prove avvengono all’interno dei corridoi della scuola milanese, simbolo di multiculturalità e base di numerosi progetti di inclusività.

mamme-in-bici-iodonnaFoto di Io Donna

All’interno dei suoi locali e grazie a Mamme a scuola onlus, in collaborazione con CycloPride Italia, queste donne a cui è sempre stato negata una cosa per noi ovvia, possono riappropriarsi di parte della loro libertà. Il corso è partito a gennaio ed è frequentato da 16 donne, per la maggioranza nordafricane.

Ma da dove derivano i divieti e i tabù legati alla donna che usa la bicicletta? Fino a qualche tempo fa, neppure troppo lontano, anche nei paesi occidentali, alle donne non era permesso andare in bici. «Tutto è cominciato dal sellino, il primo intimo punto di contatto tra la bicicletta e i genitali femminili – scrive sulle pagine di Io Donna Maria Teresa Montaruli, giornalista, blogger e docente del corso – Non fosse stato per la relazione pericolosa con la sella, non sarebbero fiorite, a metà del 1800, le ipotesi di ulcerazioni, malesseri durante il parto, sterilità, eccitazione sessuale costante che la bicicletta avrebbe provocato sulle prime ardite cicliste donne […] Andare in bicicletta era ritenuto poco sano, ma soprattutto immorale. Le gambe delle donne avrebbero dovuto rimanere coperte, unite e immobili. In bicicletta accadeva esattamente il contrario. Sconveniente era sia salirci sia cadere scomposte.».

donne-bici-2-iodonnaFoto di Io Donna

Al di là di questi maschilisti stereotipi di genere, che purtroppo persisotno ancora oggi, il corso è nato dalle richieste di molte mamme straniere desiderose di imparare a pedalare per motivi non solo logistici (i bambini, le commissioni) ma anche di autonomia, di benessere e di autostima. Esigenze, dunque, di cittadine che vivono e si vogliono integrare ed essere attive e partecipi nel paese in cui vivono. È bellissimo che altre donne le possano aiutare in questa loro lotta quotidiana. Quello che potrebbe sembrare una piccola cosa, in realtà rappresenta una grande conquista per sconfiggere stupidi retaggi, che impediscono l’utilizzo di un mezzo di trasporto da parte di talune persone.

mammeinbici-cycloprideFoto di CycloPride Italia

«Mamme in Bici è un piccolo seme di riscatto, ed è possibile grazie alla disponibilità di persone, associazioni, istituzioni e aziende che credono nei fatti e nella capacità di mettere insieme talenti e competenze – afferma Federico Del Prete vicepresidente di CycloPride Italia – Si tratta di un progetto molto importante per molte giovani donne sradicate dai loro contesti culturali e dalle proprie reti di sostegno sociale, che si trovano spesso a dover affrontare da sole la loro quotidianità e la gestione di famiglie numerose in un paese sconosciuto. Una cosa per la quale la bicicletta, ancora una volta, è il toccasana».

Dritte dunque verso l’emancipazione e l’indipendenza senza alcuna incertezza, alla conquista di diritti fondamentali per tutti, in sella alla bicicletta.

Pedalare per emanciparsi: corsi di bicicletta per donne migranti ultima modifica: 2016-02-15T08:00:44+01:00 da eleonora anello
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Vive a Torino. E' giornalista pubblicista, laureata in scienze della comunicazione. Vegetariana ed ecologista, è appassionata di ambiente e di come viene comunicato. Ama il sole e non potrebbe fare a meno del mare. Si sente la paladina dell'ambiente. Per fortuna nella vita privata è mamma di due splendide bimbe che la portano con i piedi per terra. Odia parlare in pubblico e per questo... scrive.

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