Markus Imhoof, il cinema della speranza umana e ambientale

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Markus Imhoof, il cinema della speranza umana e ambientale ultima modifica: 2022-12-18T06:28:42+01:00 da Emanuel Trotto
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Markus Imhoof, regista di More than Honey, ha vinto il Premio Maria Adriana Prolo 2022. Lo abbiamo intervistato sui temi della natura e della cooperazione

Markus Imhoof
Markus Imhoof

Il cinema di Markus Imhoof è un cinema sulla sensibilità. Il pluripremiato regista è nato nel 1941 in Svizzera, Paese che è da sempre considerato una specie di isola felice all’interno dell’Europa, soprattutto per i numerosi profughi durante le due Guerre mondiali, che hanno visto nell’espatrio elvetico una via di salvezza.

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Nel film La barca è piena (Das Boot ist vol), candidato all’Oscar quale Miglior Film Internazionale nel 1981, l’immagine del suo Paese è lontana dai luoghi comuni. Parla di un popolo che, pur neutrale, assorbe comunque gli umori di quello che sta succedendo fuori dai suoi confini. Lo fa raccontando la storia di una piccola Comunità alle prese con un gruppo di profughi ebrei che varcano clandestinamente il confine per sfuggire all’Olocausto.

Il racconto fa trasparire una grande sensibilità umana, storica e sociale che permea tutta la sua opera. Per questo Markus Imhoof ha ricevuto il Premio Maria Adriana Prolo 2022 in occasione della Giornata mondiale dei Diritti umani. La premiazione è avvenuta il 12 dicembre al cinema Massimo di Torino. Presenti all’incontro -insieme al presidente dell’Associazione Museo nazionale del Cinema Vittorio Sclaverani, la vicepresidente Valentina Noya– anche la console generale della Svizzera a Milano, Sabrina Dallafior e il presidente di Amnesty International Italia, Emanuele Russo. È stato proprio quest’ultimo che ha conferito il premio a Imhoof.

Markus Imhoof riceve il Premio Maria Adriana Prolo 2022
Il momento della premiazione: Markus Imhoof (a destra) riceve il Premio Maria Adriana Prolo dalle mani di Emanuele Russo, presidente di Amnesty International Italia.

«La sua poetica è quanto mai attuale perché squarcia il velo della nostra autoassoluzione. Ci mostra quello che rischiamo di diventare ma, per contro, ci svela anche quello che possiamo scegliere di essere». Così scrive Russo introducendo la prima monografia dedicata al regista sulla rivista Mondo Niovo, diretta da Davide Mazzocco e presentata anch’essa nel corso della serata.

La sensibilità che caratterizza il lavoro Markus Imhoof traspare anche nel documentario Un mondo in pericolo – More than Honey (2014) che esplora il mondo delle api e dell’apicoltura. Un film che parte dalla sua memoria personale: suo nonno era produttore di confetture che, al fallimento dell’attività, si reinventò come apicoltore. Partendo da qui, Imhoof analizza il deterioramento del rapporto fra uomo e animale con l’avvento della produzione consumistica di massa. Ciò ha portato questi animali a una sorta di perdita della loro identità.

Questa perdita l’ha raccontata anche nel suo ultimo lavoro, del 2018, Eldorado, in cui racconta l’odissea dei migranti che giungono in Italia con l’operazione Mare Nostrum. Un viaggio che li porta a rimanere intrappolati nelle reti del caporalato agricolo nel Sud Italia.

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Grazie a Davide Mazzocco, dopo la premiazione, abbiamo avuto modo di rivolgere qualche domanda a Markus Imhoof.

Partiamo dalla sua terra, la Svizzera, che a livello di turismo e salvaguardia dell’ambiente è considerata fra i migliori Stati al mondo. Può confermare?

«Ci scontriamo spesso con i nostri contadini, che si considerano esseri sacri, affinché non inquinino, distruggendo l’acqua e tutto il resto. È una lotta molto difficile, perché molti di loro usano come forza politica l’essere i custodi del Paradiso. Bisogna convincerli a partecipare e, in parallelo, occorre convincere i consumatori a pagare un po’ di più, in modo da poter lavorare senza sfruttare le risorse».

Passiamo ora al cinema. Vedendo More than Honey abbiamo apprezzato molto l’aver rappresentato le api come se fossero un popolo, non degli animali in qualche modo distanti dai noi. Vedendo successivamente Eldorado abbiamo notato che la differenza fra l’ape e il profugo umano non c’è. Era questa la sua idea?

«L’idea era quella del rispetto per la vita. Siccome le api si muovono molto velocemente abbiamo fatto un piccolo trucco con le api per farle sembrare simili a noi. Le abbiamo infatti filmate con camere speciali a 70 fotogrammi al secondo, invece che a 24, per farle muovere un po’ più lentamente. Il concetto di fondo è quello di rispettare la vita in qualsiasi forma essa sia, che è un po’ la religiosità di Einstein quando dice che la somma di tutte le leggi di natura è Dio».

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Nei suoi film c’è sempre una grande attenzione per i bambini come metafora del futuro. Un concetto che si potrebbe avvicinare ai Fridays for Future, ovvero a questi giovani che chiedono un mondo migliore rispetto a quello presente. L’infanzia e la gioventù possono migliorare il futuro sia in senso umano che globale?

«Come si vede in Eldorado in cui parlo delle mie memorie d’infanzia -con la mia famiglia ho vissuto con una bambina italiana, Giovanna- la visione del mondo del bambino non è ancora corrotta dalla possibilità di perdere qualcosa se si ha un’opinione. Viene chiamato innocuo, ma è molto puro, ed è anche violento nel capire quando succedono delle ingiustizie. È questo che dobbiamo conservare dentro di noi. Da adulti non dobbiamo fare cose che abbiamo condannato da bambini. Perché c’è una verità che dobbiamo preservare e custodire: ciascuno in se stesso deve riscoprire questo bambino nascosto».

Un mondo in pericolo - More than Honey
Una delle spettacolari immagini di apertura di Un mondo in pericolo – More than Honey (2014).

Questo fa pensare al poeta italiano Giovanni Pascoli che parlava del fanciullino interiore…

«Esatto, è quello il messaggio da trasmettere».

Guardando Eldorado, ci ha colpito il segmento sul caporalato. È stata rappresentata in diversi film (tra cui Spaccapietre, 2020, di Gianluca e Massimiliano De Serio) e l’abbiamo trovata una sequenza molto potente, perché si vedono le condizioni di lavoro e lo sfruttamento nel settore agricolo.  

«È stata la scena più pericolosa del film, perché abbiamo potuto girare nel ghetto solo di nascosto. C’è stato l’aiuto prezioso di Raffaele Falcone, rappresentante sindacale della CGIL di Foggia, che ci ha protetto e salvato, perché lui conosce bene come muoversi nel ghetto. L’importanza di far vedere queste cose è data dal fatto che tutti mangiano pomodori ogni giorno, non sapendo che la raccolta si basa su di un lavoro di schiavitù. Per questo è fondamentale la funzione della moviola nel cinema. Essa ci permette di vedere, un fotogramma per volta, la verità vera. Questo serve a far cambiare i nostri atteggiamenti di consumo».

I migranti sono sfruttati, come le api in More than Honey. Ci può essere un collegamento?

«Certo. Per questo dobbiamo capire che possiamo sopravvivere solo insieme, come ci fanno vedere le api in cui ognuna ha il suo ruolo non scritto, ma che tutte assieme permettono la vita».

Infatti, intervistando gli entomologi, Lei si pone la domanda se l’ape non è un singolo ma è parte di un più grande organismo che è l’alveare fa riflettere sul senso di appartenenza di comunità. Anche noi siamo parte di un alveare che ci imprigiona e allo stesso tempo ci libera. Una riflessione interessante…

«Non possiamo sopravvivere soli, si sopravvive solo insieme».

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Markus Imhoof, il cinema della speranza umana e ambientale ultima modifica: 2022-12-18T06:28:42+01:00 da Emanuel Trotto

Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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