Ghiacci artici

Filosofia tra i ghiacci, il viaggio alla fine di un mondo di Matteo Oreggioni

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Filosofia tra i ghiacci, il viaggio alla fine di un mondo di Matteo Oreggioni ultima modifica: 2022-01-20T06:50:40+01:00 da Davide Mazzocco
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In Filosofia tra i ghiacci, saggio pubblicato da Meltemi Editore, l’autore si fa promotore di una criosofia capace di generare consapevolezza di fronte alla crisi climatica e alle sue conseguenze

Fra i numerosi saggi sulla crisi climatica usciti nel corso del 2021, Filosofia tra i ghiacci di Matteo Oreggioni, pubblicato da Meltemi Editore, è sicuramente uno dei più interessanti e anticonvenzionali. Partendo da una suggestione nietzschiana (“La filosofia, come l’ho compresa e vissuta fino a oggi, è la vita volontaria tra i ghiacci e le cime – la ricerca di tutto ciò che di estraneo e di problematico vi è nell’esistenza”) il filosofo e glaciologo si fa promotore di una criosofia capace di riflettere sui ghiacciai come fenomeno metafisico e non solo naturale.

Uno degli aspetti maggiormente critici del modo in cui l’opinione pubblica e la politica affrontano la crisi climatica è l’incapacità di rendere visibile quello che è invisibile. La grandezza disorientante della crisi climatica e della riduzione della biodiversità è stata sintetizzata dal filosofo Timothy Morton, con il concetto di iperoggetto. Solo se riusciamo a inserire dentro una cornice concettuale ecologica e de-antropizzata le idee di riscaldamento globale o di Sesta Estinzione possiamo riuscire ad affrontare le dinamiche di adattamento e mitigazione con le quali dovremo affrontare la moltiplicazione degli eventi climatici estremi e i flussi migratori che giungeranno da terre rese inabitabili dalla pressione antropica sugli ecosistemi.

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Con la competenza di chi il ghiacciaio lo vive e studia, Oreggioni chiarisce come esso sia l’iperoggetto che concretizza e rende tangibile la crisi climatica. Questo accade perché “il mondo che abiti per chi fa filosofia è come il tavolo da lavoro per l’artigiano. È quella superficie ove poggiare e far scivolare i propri attrezzi concettuali”.

Ciò che diventa fondamentale non è tanto entrare nel particolare del singolo evento (lo scioglimento di un ghiacciaio, la scomparsa di una specie animale, la deforestazione di un territorio, l’innesco di una pandemia), quanto saperne cogliere le ricadute esistenziali, le interrogazioni che esso ci pone.

Quando si parla di crisi climatica, le prime immagini che vengono in mente sono quelle dell’arretramento dei ghiacciai alpini o dello scioglimento dei ghiacciai marini di Artico e Antartico. Anche incendi e siccità raggiungono l’immaginario collettivo, ma non sono in alcun modo misurabili quanto lo è, per esempio, vedere che laddove cent’anni fa vi era un ghiacciaio oggi troviamo un bosco di larici.

Quando avanziamo lungo una morena o percorriamo un sentiero glaciologico “possiamo figurarci la tridimensionalità del fantasma del ghiacciaio di un tempo, e dei tempi profondissimi, seguendo le linee del paesaggio tracciato dalle morene. Siamo di fronte a un duplice elemento, da una parte lo spazio dell’assenza, ma pieno di tracce, che rimanda alla presenza di un fantasma materico; e in secondo luogo il movimento, che possiamo immaginarci sulla scala del tempo”.

Il ghiacciaio, insomma, ci connette al tempo profondo e ci consente di misurare gli eventi con metriche temporali non umane. Secondo Oreggioni “la filosofia tra i ghiacci sta al nostro essere gettati nell’esistenza e nella crisi ecologica del clima come ramponi, picca, corda e imbrago stanno all’avanzare incerto tra i crepacci di un ghiacciaio. Contestualizzare vuol dire mettersi in sicurezza, seppur sempre precaria, nel nostro avanzare tra gli eventi che ci sovrastano e ci minacciano”.

Dal “dialogo” con i ghiacciai possiamo trarre conclusioni utili per la nostra permanenza su un Pianeta destinato a diventare sempre più inospitale per la nostra e per altre specie: l’arretramento dei ghiacciai ci suggerisce che non esiste nulla di eterno, vita dei sapiens compresa; la relazione con il tempo profondo ci consente di percepire come l’accelerazione della nostra capacità distruttiva sia ormai fuori scala; non esiste più un altrove, tutto è strettamente interconnesso e questo dato deve divenire centrale nella progettazione sociale, economica e politica.

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L’approdo del libro di Oreggioni è un “esistenzialismo crepuscolare” consapevole del contesto ambientale da cui prende le mosse e capace di tenere conto dei limiti fisici ecologici, un atteggiamento divenuto ormai imprescindibile per affrontare un presente sempre più complesso.

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Giornalista e saggista, ha scritto di ecologia, ambiente e mobilità sostenibile per numerose testate fra cui Gazzetta, La Stampa Tuttogreen, Ecoblog, La Nuova Ecologia, Terra, Narcomafie, Slow News, Slow Food, Ciclismo, Alp ed ExtraTorino. Ha pubblicato numerosi saggi fra cui “Giornalismo online”, “Propaganda Pop”, "Cronofagia" e "Geomanzia".

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