L’esposizione al calore, in tempi di riscaldamento globale, minaccerà sempre di più le popolazioni anziane; uno studio fornisce le proiezioni globali
Il riscaldamento globale cozza irrimediabilmente con la salute delle popolazioni in età avanzata. In tutto il mondo, entro il 2050, oltre 200 milioni di anziani in più rispetto ad oggi subiranno un’esposizione a livelli pericolosi di calore, con gli effetti più gravi che si verificheranno in Asia ed Africa.
Clima in crisi, il record inarrestabile del riscaldamento globale
A dimostrarlo è lo studio “Proiezioni globali dell’esposizione al calore degli anziani”, pubblicato su Nature Communications da un team internazionale di scienziati coordinato dal Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC), dall’Università Ca’ Foscari Venezia e da quella di Boston, sotto la guida di Giacomo Falchetta.
Si tratta di un interessante lavoro di ricerca ricco di informazioni molto approfondite, corredato da una piattaforma interattiva che permette di visualizzare i dati sulle tendenze demografiche e sui rischi associati all’aumento delle temperature in vari Paesi del mondo.
Il cambiamento climatico per gli anziani
La salute degli anziani è messa severamente a rischio dagli effetti del cambiamento climatico. “L’aumento dell’intensità, della durata e della frequenza dei periodi di calore rappresenta una minaccia diretta per la salute fisica e il rischio di mortalità, con conseguenze particolarmente gravi per gli anziani, data la loro maggiore suscettibilità all’ipertermia e alle comuni condizioni di salute peggiorate dall’esposizione al calore come le malattie cardiovascolari”, si legge nello studio.
Bastano pochi esempi per aiutarci a capire la gravità di questa situazione: l’uragano Irma del 2017 causò numerosissime vittime tra i residenti delle case di cura della Florida in seguito alle frequenti interruzioni della corrente elettrica; in Europa, l’ondata di calore dell’agosto 2022 fu all’origine del decesso di migliaia di anziani in 21 Stati del Vecchio Continente.
Nonostante gli esiti delle ricerche, l’accentuazione del riscaldamento globale e l’invecchiamento ad un ritmo senza precedenti della popolazione mondiale, il tema dell’esposizione al calore degli anziani non ha ancora ricevuto la giusta attenzione. Secondo le previsioni, entro il 2050 gli over 60 rappresenteranno il 21% della popolazione mondiale (circa 2,1 miliardi di individui). Due terzi degli anziani risiedono inoltre in Paesi a basso e medio reddito dove sono particolarmente probabili gli eventi estremi dovuti al cambiamento climatico. Le maggiori criticità si verificheranno dunque in quegli Stati e in quelle aree dove la crescente concentrazione di anziani coinciderà con l’intensificazione delle temperature estreme.
In merito ai trend che si stanno registrando, lo studio sottolinea che “l’invecchiamento della popolazione e il riscaldamento variano ampiamente in tutto il mondo. Tassi di fertilità storicamente elevati nei paesi in via di sviluppo, soprattutto nel Sud del mondo, hanno contribuito a creare popolazioni numerose, in rapida crescita e relativamente più giovani, mentre tassi di fertilità inferiori al livello di sostituzione e i progressi nella nutrizione, nei servizi igienico-sanitari e nelle innovazioni biomediche hanno contribuito al rapido invecchiamento della popolazione nei paesi più sviluppati nel Nord del mondo”.
Questo importante lavoro di ricerca ha quantificato sia l’esposizione cronica a temperature medie elevate, sia la frequenza e l’intensità dell’esposizione acuta a temperature estremamente elevate per diverse fasce d’età in tutto il mondo. Gli obiettivi sono quelli di identificare le aree a rischio estremo di esposizione al calore della popolazione anziana e quelle dove le esposizioni coincidono con minori capacità di adattamento, essendo quest’ultime strettamente correlate al reddito.
Gli esiti
“Entro il 2050, più del 23% della popolazione mondiale di età superiore ai 69 anni vivrà in climi con esposizione acuta al calore superiore alla soglia critica di 37,5°C, rispetto al 14% nel 2020”, ha commentato Giacomo Falchetta, ricercatore presso il CMCC e l’Università Ca’ Foscari Venezia. In termini assoluti si tratta di un aumento di circa 177-246 milioni di individui.
Gli effetti più gravi sono previsti in Asia ed Africa, “continenti che potrebbero avere anche le capacità di adattamento più basse”, ribatte Deborah Carr, professoressa di sociologia presso l’Università di Boston e direttrice del Centro per l’innovazione nelle Scienze sociali, co-autrice dello studio insieme a Enrica De Cian e Ian Sue Ala.
Le mappe presenti nello studio rivelano: in rosso, le aree di crescente stress per l’esposizione al calore e per l’invecchiamento della popolazione (parti delle Americhe, Europa meridionale, Cina costiera e diversi paesi del Sud-est asiatico, Australia); in giallo e sfumature di arancione, le aree con condizioni climatiche calde in forte aumento ma con pressione demografica relativamente minore in virtù di una popolazione più giovane; in tonalità di azzurro, le aree in cui l’esposizione al calore è e rimarrà più limitata ma la popolazione sta invecchiando rapidamente (ad esempio Asia settentrionale e Nord Europa).
Entro il 2050 aumenterà considerevolmente la popolazione mondiale esposta al calore di età superiore ai 69 anni, così come in generale la quota della popolazione over 69, soprattutto in Europa. I numeri assoluti più elevati sono previsti per l’Asia, dove gli individui in questa fascia di età triplicheranno, per attestarsi tra i 588 e i 748 milioni. A livello globale crescerà anche la frequenza dei giorni caldi.
Analizzando più nello specifico i dati forniti da Falchetta, vediamo che gli incrementi nelle popolazioni di età superiore ai 69 anni – osservati in tutte le regioni – sono concentrati in livelli elevati di Cooling Degree Days (CDD, indice tecnico che descrive il fabbisogno energetico degli edifici in termini di raffreddamento), principalmente negli Stati a basso reddito del Sud del mondo (Africa, Asia e Sud America). Al contrario, l’aumento degli individui più anziani nei Paesi a reddito più elevato del Nord del mondo, tra cui il Nord America e l’Europa, è più concentrato nei livelli di esposizione CDD da bassi a intermedi.
Indipendentemente dallo scenario considerato, entro il 2050 l’esposizione cumulativa al calore degli individui più anziani (PDD) triplicherà in tutti i continenti. “Se l’esposizione assoluta viene misurata in termini di persone, l’Asia sperimenterà livelli di esposizione al calore degli anziani quasi quattro volte superiori rispetto alle altre regioni messe insieme, sia a causa della sua popolazione numerosa e invecchiata che del clima caldo”, si legge nello studio.
Conclusioni
Le aree interessate all’invecchiamento della popolazione ed alla crescente esposizione al calore richiederanno servizi sociali e sanitari ed in generale nuovi interventi politici.
Nel prossimo decennio, di importanza cruciale, l’agenda del cambiamento climatico e quella dell’invecchiamento in salute dovrebbero quindi convergere ed integrarsi nella pianificazione dell’adattamento climatico e nelle direttive sanitarie, al fine di ridurre gli impatti del riscaldamento globale.
“I potenziali interventi abbondano, tra cui l’aumento della penetrazione delle tecnologie di raffreddamento attivo (ad esempio, condizionamento dell’aria) e passivo negli edifici, l’aumento dell’albedo degli edifici e/o l’ampliamento degli spazi verdi e della copertura arborea per contrastare l’aumento dell’effetto isola di calore urbano determinato dai cambiamenti climatici, espandendo i sistemi di allarme rapido per il calore e fornendo un raffreddamento pubblico accessibile”, scrivono gli autori dello studio.
Crisi climatica: Europa in allerta rossa, il report annuale Copernicus
Si rende dunque necessaria la quantificazione dei costi e dell’efficacia di queste misure in termini di moderazione del rischio di morbilità e mortalità. Tuttavia, “molte persone con più di 69 anni sono sproporzionatamente vulnerabili agli effetti del caldo estremo a causa di condizioni di salute e malattie croniche, disabilità fisiche, sensoriali o cognitive, isolamento sociale, emarginazione e mancanza di accesso all’assistenza sanitaria o alle risorse per l’adattamento privato. Incorporare queste ulteriori preoccupazioni nella progettazione e nell’implementazione delle soluzioni di adattamento porrà probabilmente sfide significative”, si legge nello studio.
I dati di questa analisi sono resi pubblici in un archivio e possono essere utilizzati per valutazione relative alla salute ed alla pianificazione dell’adattamento. “La ricerca futura può sfruttare questi dati per informare il processo decisionale e utilizzarli negli studi sul rischio e sulla mortalità, nonché per supportare futuri studi di proiezione della popolazione subnazionale e stratificata per età”, concludono gli autori dello studio.
[Credits foto Pixabay]
