Blood Quantum & El Hoyo – Il cinema di genere anticonsumista al 37° Torino Film Festival

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Blood Quantum & El Hoyo – Il cinema di genere anticonsumista al 37° Torino Film Festival ultima modifica: 2019-12-08T08:00:26+01:00 da Emanuel Trotto
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Mangiare o essere mangiati. Si tratta di un concetto che il cinema ha provato ad esprimere nel corso degli anni. Sia in maniera più idealizzante che viscerale. A mostrare il vero e proprio orrore della sopraffazione. Non è un caso che il cinema horror e quello fantascientifico (collegati) rispecchiano i loro tempi a livello politico e sociale. Oltre che le nostre più inconsce paure.

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La 37 edizione del Torino Film Festival, nelle varie sezioni, riflette anche su questo. Non soltanto nella retrospettiva dedicata al cinema horror (Si può Fare!). Ma anche nel Concorso Torino37 con El Hoyo di Galder Gaztelu-Urrutia e Afterhours con Blood Quantum di Jeff Barnaby. Entrambi i film sono stati presentati, con successo anche al Toronto International Film Festival 2019 prima di arrivare a Torino.

Blood Quantum può essere interpretato come un qualsiasi zombie movie. Un sottogenere horror che è nato alla fine degli anni ’60 grazie a George A. Romero e a La notte dei morti viventi (1968). Negli ultimi quindici anni i messaggi politici che fungevano da sottotesto a queste pellicole sono venuti a mancare. A favore di una violenza utilizzata come una trovata scatta applausi. E ci si sbizzarrisce in soluzioni sempre più creative e deliranti.

Blood Quantum ha un plot che può essere confuso fra i tanti. Ovvero una grossa fabbrica rilascia i suoi scarichi nel bacino idrico di una comunità. A causa di ciò si manifestano fenomeni inquietanti. Come, ad esempio, salmoni appena eviscerati che continuano a guizzare. Piano piano, questa patologia inizia a diffondersi anche nelle persone, mangiando quel pesce e bevendo l’acqua. E da lì inizia a svilupparsi l’infezione e il contagio. Niente di nuovo sotto il sole.

Quello che rende questo prodotto interessante è la sua ambientazione. Siamo nella riserva canadese di Red Crow negli anni ‘80. E i protagonisti sono Nativi Mi’gmaq. Essi sono gli unici che hanno sviluppato l’immunità al contagio. Nel giro di sei mesi dal primo morso, essi hanno ripreso il controllo delle loro terre. L’America è di nuovo un Far West nella quale, al posto dei carri, ci sono i container. E la distinzione è netta. C’è chi può stare dentro e chi sta fuori dai fortini realizzati con essi.

I protagonisti di "Blood Quantum" di Jeff Barnaby
I protagonisti di “Blood Quantum” di Jeff Barnaby

Il messaggio politico è chiaro. L’uomo bianco, con le sue industrie e la sua naturale determinazione a distruggere l’ambiente che lo circonda, è condannato. La condanna è la distruzione da parte della sua stessa cupidigia. Una cupidigia che diviene isteria sociale, una forma di rabbia infetta. Dalla quale i Nativi, da sempre rispettosi della Madre Terra, hanno cercato di metterlo in guardia, inutilmente. Viene naturale pensare alle numerose manifestazioni che sono state fatte da numerose nazioni indiane contro i governi americani “bianchi” degli ultimi anni. Come la protesta (che abbiamo già raccontato) dei Sioux contro la Dakota Access Pipeline.

Il regista, Jeff Barnaby, di origine è egli stesso un nativo Mi’gmaq. Fra le fonti di ispirazione di Blood Quantum vi è il documentario Incident at Restingouche (1981) di Alain Obomsawin. In esso viene raccontato di un raid della polizia canadese nei confronti dei nativi Restigouche del Quebec per restrizioni della pesca dei salmoni. Barnaby, oltre a essere spettatore del film, ha vissuto i fatti di prima persona. Perciò ha utilizzato Blood Quantum come strumento per contestualizzare il colonialismo e l’orrore del passato per insegnamento nel futuro. Ha dichiarato inoltre: «Quel documentario incapsulava l’idea che i film fossero una forma di protesta sociale. E mi è venuto in mente proprio con quel film».

Per quanto riguarda El Hoyo è l’ennesima prova che, da un soggetto semplicissimo, si possono ottenere dei prodotti cinematografici significativi. Si tratta, inoltre, della prova che autorialità cinematografica e cinema di genere sono due distinzioni assolutamente prive di senso. Fra prodotti “autoriali” questo esordio spicca nel concorso ufficiale del Festival. Il film ha anche vinto quattro premi presso il Sitges Film Festival, fra cui Miglior Film. Si tratta di uno dei principali Festival di cinema fantastico che si svolge nel mese di ottobre nell’omonimo comune catalano. Dalla rassegna sabauda, invece, ha portato a casa il Premio Scuola Holden per Miglior Sceneggiatura.

È la storia di Goreng, un uomo che vuole smettere di fumare. Per farlo si fa rinchiudere nella Fossa, una specie di carcere sviluppato in verticale e disposto su vari livelli. A ogni cella corrisponde un livello. Nel mezzo delle celle, come un tubo infinito, c’è un’enorme buco. Attraverso di esso, a cadenza regolare, scende una piattaforma, che sosta pochi minuti in ogni livello. Su di essa sono poste vettovaglie di varia natura e vari stadi di consumazione. Chi sta più in alto, mangia meglio e di più rispetto a chi sta in basso. Man mano che si scende, la differenza fra cibo e dignità, fra umanità e bestialità, fra vita e morte, si fa più evidente.

Il che viene reso ancora più drammaticamente. Una volta al mese i detenuti vengono narcotizzati e spostati in un livello diverso al loro risveglio. Il nuovo livello può essere, indistintamente, un livello alto o un livello basso. Più si scende in basso più l’uomo si mette di fronte ai suoi limiti. E mostra le sue bestiali debolezze. Viene così mostrato il lato più oscuro della Fossa. Eppure, si ha la sensazione di non muoversi affatto.

"El Hoyo" di Galder Gaztelu-Urrutia
“El Hoyo” di Galder Gaztelu-Urrutia

Si tratta una cura contro le patologie del mondo moderno. Contro i vizi – ad esempio il fumo – come il consumismo sfrenato. Il quale può portare all’omicidio. Un’altra forma di contagio e isteria sociale. In un contesto simile è legittimo perciò anche il cannibalismo. O, letteralmente, defecare in testa al prossimo. Un meccanismo troppo efficace per essere smantellato, paradossalmente.

Una delle frasi che riassumono il film è la seguente. «C’è chi sta sopra, c’è chi sta sotto, e c’è chi cade». Il cibo è solo una metafora della bulimia egoistica dei nostri tempi. Mentre ci si uccide, in alto l’isteria arriva per un capello nella panna cotta. Il messaggio del film è molto semplice. O si riesce a trovare in se stessi quella parte di generosità che di solito teniamo sopita, oppure possiamo considerarci, delle lumache da spurgare pronte per essere risucchiate. Sopravvivere o soccombere. Mangiare o venire mangiati.

Blood Quantum & El Hoyo – Il cinema di genere anticonsumista al 37° Torino Film Festival ultima modifica: 2019-12-08T08:00:26+01:00 da Emanuel Trotto

Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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