In anteprima alla rassegna Movie Tellers, l’omaggio che il 37° Torino Film Festival dedicherà a Mario Soldati. Un viaggio nella memoria e nei sapori
Il cinema è immagine e memoria che si sedimenta. Diviene parte del nostro immaginario e del nostro bagaglio culturale. Il cinema, ci è stato insegnato, è anche un modo per recuperare la memoria perduta. Di saggi al riguardo ne sono stati scritti un’infinità. Indipendentemente da come recepiamo un film, questi ci rimane, nel bene o nel male.
Il cinema è ricordo anche di qualcosa che non c’è più e che si cerca di ricostruire il più meticolosamente possibile. La memoria di un mondo perduto. O di un Piccolo mondo antico. Come il film che Mario Soldati trasse, nel 1941, dall’omonimo romanzo di Antonio Fogazzaro. Sullo sfondo della travagliata storia d’amore fra Luisa e Franco nel Nord Italia risorgimentale, il paesaggio riveste un ruolo fondamentale. Diviene qualcosa che può essere esaminato nel profondo. Come lo zoom di una macchina da presa. Indagatore, in cerca dei dettagli più minuti.

È questo che fa nel suo film Mario Soldati. Il bel paesaggio del comasco dove ha ambientato la vicenda diviene la fase embrionale della sua personale ricerca. Quella di una piccola Italia, più provinciale e intima. E che, a tratti, conserva sempre il suo fascino. Lui si dedicherà sempre a questa sua ricerca. Questa piccola Italia emerge non solo nei paesaggi, ma anche nelle voci delle persone. Come quella della caratterista Elvira Bonecchi, proveniente dal teatro dialettale meneghino. Soldati nel suo film la fa recitare in dialetto, andando contro al “purismo linguistico” che era imposto dal cinema del Ventennio.
Prima ancora che con la macchina da presa, Soldati portava avanti questa sua poetica della semplicità nella scrittura. Secondo le parole di Natalia Ginzburg «Soldati è l’unico che abbia mai amato, costantemente e sempre, la gioia di vivere. Non il piacere di vivere, ma la gioia; il piacere di vivere è quello del turista che visita i luoghi del mondo assaporandone le piacevolezze e le offerte, ma trascurandone o rifuggendone gli aspetti vili, malati o crudeli; la gioia di vivere non rifugge nulla e nessuno: contempla l’universo e lo esplora in ogni sua miseria e lo assolve». E questa gioia la si può trovare nelle cose più semplici.
Proprio in questo periodo bisognerebbe riscoprire la gioia di Soldati. Non è soltanto perché lo si ricorda a vent’anni dalla sua scomparsa. Non deve essere una celebrazione fine a se stessa. Fatta di belle parole e pochi fatti. Perché, da quel poco che conosco Soldati, intellettualmente sapeva essere molto concreto. Concreto e pragmatico. Due anni dopo la nascita della televisione, nel 1957 decide di intraprendere un viaggio lungo la Valle del Po in cerca dei cibi genuini. Macchina da presa e gambe in spalla. Per far conoscere un pezzetto d’Italia agli italiani. Allora egli non era ancora a conoscenza del fatto che avrà tanti ammiratori e imitatori nel corso degli anni. I programmi di enogastronomia di oggi sono figli de Viaggio nella valle del Po alla ricerca dei cibi genuini.

È seguendo questo format che si baserà la rassegna che il 37 Torino Film Festival (22-30 novembre 2019) dedicherà al regista, scrittore e conduttore torinese. Questa iniziativa è stata patrocinata dalla Rai, Rai Teche e in collaborazione con Slow Food. Questo appuntamento è stato anticipato, fra l’1 e il 31 ottobre, nel corso della rassegna Movie Tellers – Narrazioni Cinematografiche. Ovvero il miglior cinema piemontese in un viaggio che parte da Torino per toccare otto province, 35 appuntamenti su 28 sale. Nello specifico dell’evento dedicato a Soldati i vari episodi del suo viaggio (dodici puntate) sono stati proiettati singolarmente dopo la degustazione di prodotti locali nelle condotte Slow Food.

Ma veniamo a una delle puntate in questione. La prima cosa che salta all’occhio è, inutile dirlo, la semplicità. La semplicità del racconto e dell’esposizione delle nozioni. Dapprima nello studio Rai e poi sul campo. Soldati inizia leggendo le lettere degli ascoltatori, che gli pongono domande o esprimono dissenso. Uno su tutti, una lettera critica il nome del programma stesso. Secondo la lettera dovrebbe essere Viaggio lungo la valle del Tanaro piuttosto che del Po. Soldati risponde in maniera diligente ed educata. Il Tanaro è sì il più grande affluente del Po. Ma per definirsi fiume vero e proprio deve avere un bacino d’acqua di una certa importanza. Che il Po possiede, il Tanaro no. Per fare un esempio.
Dopo di che ci sono le ricerche su campo. Parte da Cherasco, un paese nebbioso in cui tutto è rimasto piacevolmente come una volta. Come poteva esserlo, senza timore, agli albori del boom economico. Soldati entra in una locanda del paese. Intervista alcuni avventori. Sembra quasi la scena di un film. Gli avventori gli parlano dei prodotti tipici della zona. Fra essi vi è un macellaio che lo indirizza verso il mercato bovino di Fossano per la miglior carne. E Soldati va a Fossano e segue le contrattazioni, coi loro riti e le loro tecniche.

Poi ritorna a Torino, al ristorante del Cambio, e ricorda le storie di suo padre sui tartufi. Nuova tappa del viaggio è quindi Alba, durante la stagione della raccolta del pregiato prodotto. E poi si torna in studio, e una contessa torinese ingioiellata spiega la più esauriente ricetta possibile della fondua con i tartufi grattati sopra.
Non si tratta, da come ammette lo stesso conduttore, di un viaggio sistematico ed esauriente. Non verranno trattati i dolci, perché a lui non piacciono. Non verranno trattati alcuni prodotti perché al momento delle riprese non era la loro stagione. Ma non si tratta soltanto di questo. Si tratta, di un reportage soggettivo. Una ricerca dei sapori che ha un sapore quasi Proustiano. E qua si ritorna a Piccolo mondo antico. In un servizio Soldati ferma il furgone della produzione in prossimità di una cascina. Di fronte a essa ricorda che, ai tempi delle riprese del film, ci era andato a mangiare con la troupe. Venti anni dopo ritorna con un’altra troupe, ritrova i vecchi proprietari. Che non hanno dimenticato. E ritornano a mangiare il pollo alla brace, tutti assieme, esattamente come vent’anni prima. Nulla era cambiato, la memoria è salva.
