Per Dino Buzzatti “la muraglia di roccia più bella delle Alpi” è la Civetta, una montagna di Zoldo che con il suo dislivello di più di 1000 metri ed una lunghezza di circa 4 km, tra la “cima Su Alto” e la “Torre Coldai”, è considerata dagli alpinisti di tutti i tempi la parete delle pareti, il Regno del sesto grado. E’ qui infatti che scorrono alcune famosissime vie, tra le quali la Solleder-Lettembauer, la Philip-Flamm, la via dei 5 di Valmadrera, la ferrata degli Alleghesi e altri itinerari di elevata difficoltà alpinistica.
La Civetta è un monte la cui origine del nome è stata a lungo discussa. C’è chi lo vuole far risalire al latino civitas, visto che il versante che dà su Alleghe somiglierebbe ad una città turrita; mentre altri lo rimandano alla Zuita perché nello Zoldano, dove la caratteristica parete non è visibile, lo rimandano al rapace notturno, forse perché in passato questa montagna era ritenuta portatrice di disgrazie o maledetta.
La leggenda racconta che in questi luoghi, Dio, stanco di modellare quelle meraviglie che un giorno sarebbero state definite “Dolomiti” e finalmente anche “patrimonio Unesco dell’umanità“, alla fine di una faticosa giornata di lavoro volle sedersi per ammirare la vasta opera appena creata: Marmolada, Tofane, Tre Cime di Lavaredo, Antelao, Civetta. E, con questo placido gesto contemplativo, diede vita a un monte diverso dagli altri, speciale. Una cima tonda, isolata che comunque si distingue fra le altre così ricche di cime frastagliate, di picchi e guglie appuntite. E’ il Pelmo (in dialetto Pelf) che per gli zoldani è “El Caregon del Padretereno“, la poltrona di Dio.
È quindi lo Zoldano a catturare la nostra attenzione. Siamo in provincia di Belluno, poco distanti da Longarone, tristemente nota perché venne completamente distrutta dal disastro del Vajont del 9 ottobre 1963.
La valle si allunga fino ai piedi del Civetta e del Pelmo, mentre la statale prosegue oltre al Passo Staulanza e alla Val Fiorentina. Anche la Valle del Boite e l’Agordino sono in comunicazione con lo Zoldano, rispettivamente tramite il Passo Cibiana e il Passo Duran.
La montagna più autentica racchiude questi territori che si fanno amare pur non offrendo luoghi ridenti o ameni dai paesaggi come quelli dell’Alto Adige o del Cadore. Qui la percezione è subito quella di una natura incontaminata, selvaggia e a volte aspra ma che sa entra nello spirito e a volte lo sa pure scuotere. Tutto è intriso di storia di fatiche, di lavoro, di esodi alla ricerca di un vita migliore altrove, ma anche di passione, di grande ingegno. In questa zona, nota anche come La valle del ferro, si sono susseguite generazioni di uomini e donne, che con la loro determinazione e abilità hanno saputo vivere in questi territori difficili, ma anche bellissimi.
Appena la si raggiunge da Longarone, subito se ne colgono le peculiarità. Zoldo, per le sue fitte foreste, per la profondità degli orridi scavati dal torrente e la ripidità dei pendii, è stata da sempre poco adatta all’insediamento umano. Per Sebastiano Vassalli, “Zoldo non è un paese nè una valle che prende il nome dal suo fiume ma è –o, per meglio dire, era- una dimensione dello spirito” (dal romanzo Marco e Mattio che è ambientato proprio in questi luoghi).
Il territorio di Zoldo Alto, che dal 2015 si riunisce nel comune unico della Val di Zoldo , dato il contesto ambientale e paesaggistico, vede al suo interno aree di pregio naturalistico cosiccome classificate dalla rete Natura 2000.
I mesi di settembre, ottobre e novembre regalano colori e prospettive uniche per cogliere la vera essenza di questi luoghi. La stagione autunnale che sta iniziando, predilige infatti le diverse tonalità del rosso e del giallo. Per questo le fughe in montagna attirano la curiosità su paesaggi spettacolari che si trasformano. Tutto cambia nei boschi per prepararsi al riposo invernale. Ed è proprio in questi luoghi che la particolarità nel cambio di colori autunnali è da vivere. Nel giro di alcuni giorni il fenomeno si fa intenso. Una vera e propria danza cromatica di colori che affascina. E per godere di questa bellezza, non serve avventurarsi in difficili itinerari ma basta passeggiare a fondovalle oppure visitare i suoi paesi.
Come Fornesighe (Fornegise in dialetto zoldano). E’ un posto fuori dal tempo, indimenticabile e che ha conservato un profilo singolare e straordinario perché nel corso degli anni ha mantenuto l’impianto architettonico originario. Appena prima di Forno e prima del Passo Cibiana, Fornesighe è un piccolo borgo che non è stato distrutto dagli incendi che scoppiavano con frequenza da queste parti e che, di fatto, hanno portato a sostituire gradualmente le case di legno con quelle di mattoni e cemento. Adagiato su un dolce pendio esposto a sud, Fornesighe (a 1000 mt di altitudine) gode di un panorama dolomitico sul gruppo del Tamer San Sebastiano e sugli Spiz di Mezzodì, propaggini nord del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Camminando tra i vicoli che si snodano fra un rustico e l’altro, si respira un’aria che sa di passato.
Qui il silenzio che tutto avvolge appena il sole tramonta e la notte cala veloce, è interrotto dal bramito dei cervi. E’ una esperienza unica ascoltare i cervi in amore che emettono il loro canto vibrante, cupo, rauco. Una emozione che fa assaporare maggiormente il profilo intimo di questi luoghi, il loro aspetto a volte anche selvatico ma che sa estraniarti e ricondurti a un fascino insolito. Anche qui si impara ad ascoltare un certo silenzio: una magia della natura che sa ricondurti a te, che sa darti forza e riattivarti nello spirito.
E per coloro che vogliono farsi affascinare dai tabià (particolari costruzioni che un tempo erano utilizzate per gli animali ma la cui storia racconta molto di più), può salire (magari a piedi) fino al paesino di Coi da Mareson. Lungo la strada, i mulini testimoniano le antiche fatiche di genti dai cognomi diventati frequenti anche nella vicina Venezia e Treviso dove giunsero in tempi lontani a cercar fortuna. Ma è arrivando in quello che era un paese, che si gode di un panorama dal carattere armonico e di rara bellezza.
E capisci che qui, oltre ai boschi e alle radure profumate dove poco oltre si stagliano le signore Cime, sono i tabià a far da sentinelle. Situate in contesti unici, i tabià più vecchi e abbandonati da anni sembrano resistere quasi a voler rimanere a guardia di un paesaggio che va rispettato.
Quanta nostalgia ho di questo paese, tutto il paese e oltre ,passo Cibiana con le sue baite,Cornigian e la Lavina e Villanova e Dozza Bragarezza, ma ci spero ancora di visitarvi.ciao