La storia dei Lego affondati nel 1997 e ancora oggi spinti sui litorali del Regno Unito ci ricorda la gravità dei rifiuti plastici in mare
Piccole spade, draghi colorati e margherite di plastica: questi sono solo alcuni esemplari dei quasi 5 milioni di pezzi di Lego dispersi in mare al largo della Cornovaglia il 13 febbraio 1997, quando la nave cargo Tokio Express, diretta a New York, fu improvvisamente colpita da un’onda di dimensioni gigantesche e 62 dei container che trasportava finirono fuoribordo, affondando.
Contenuti in uno dei container dispersi, a quasi 20 anni di distanza dall’incidente questi piccoli pezzi di plastica colorata continuano a galleggiare in mare e ad essere ciclicamente spinti a riva dalle correnti, praticamente intatti, lungo le coste di Inghilterra, Galles e Irlanda. E il loro viaggio potrebbe essere destinato a durare ancora a lungo.
Secondo gli esperti, infatti, in questi anni i Lego dispersi potrebbero aver viaggiato per oltre 62.000 km (circa una volta e mezza la circonferenza della Terra), e probabilmente continueranno a galleggiare in mare ancora per secoli, raggiungendo potenzialmente, prima o poi, qualsiasi spiaggia del pianeta.
Sulla pagina Facebook Lego Lost at Sea l’attivista locale Tracey Williams raccoglie fotografie e testimonianze sulla vicenda dei Lego spiaggiati, con l’obiettivo di sensibilizzare le persone sull’importanza del proteggere mari e oceani dall’inquinamento provocato dalla plastica. La quantità di rifiuti plastici che finisce in mare ha infatti da tempo raggiunto alti livelli di criticità. Si prevede che nel 2025 ci saranno in mare 250 tonnellate di plastica: una ogni tre tonnellate di pesce.
La possibilità di galleggiare unita ai lunghissimi tempi di degradazione rendono la plastica persistente e altamente impattante per l’ambiente marino. Si pensi ad esempio che un sacchetto di plastica -utilizzato in media, solitamente, per 10-20 minuti- una volta disperso in mare impiega fino a 1000 anni per degradarsi.
Danzare in un mare di plastica. Quando l’inferno si mischia al paradiso per salvare il mare
E nel frattempo tali rifiuti fluttuanti possono causare gravi danni per gli organismi marini, sia diretti (aggrovigliamento, intrappolamento e ingestione) che indiretti (accumulo di inquinanti; colonizzazione da parte di piccoli crostacei, alghe e batteri che le correnti oceaniche poi trasportano in aree dove questi sono originariamente assenti, facendosi così vettori di specie aliene).
La plastica di origine petrolchimica, inoltre, anziché biodegradarsi si fotodegrada, ovvero viene ridotta dalla luce solare in pezzi sempre più piccoli (microplastiche), che vengono poi ingeriti volontariamente o meno dalla fauna marina, trasferendosi lungo la catena alimentare fino all’uomo.
Secondo l’associazione Ocean Conservancy, la soluzione ai problemi dell’oceano deve iniziare a terra, innanzitutto attraverso la produzione di materiali e imballi plastici più sostenibili (biodegradabili, riutilizzabili, etc.) e migliori sistemi di raccolta, riuso e riciclo. E i cittadini, dal canto loro, cosa possono fare? Innanzitutto fare sempre la raccolta differenziata, a casa come in vacanza, non lasciando alcun rifiuto in loco sulle spiagge. Prossimamente pubblicheremo le regole d’oro che l’eco-bagnante deve seguire per evitare di inquinare le spiagge: stay tuned!
3 for the Sea: l’iniziativa per salvare le spiagge dalla plastica
Vi lasciamo con alcune immagini tratte dalla fanpage Facebook che mostrano alcuni dei Lego rinvenuti lungo le spiagge di Devon e Cornovaglia negli ultimi mesi.
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