Può sembrare un paradosso, ma in alcune aree del nostro Pianeta l’innalzamento medio delle temperature dell’aria sta provocando un abbassamento delle temperature del suolo, con conseguenze negative per l’ambiente montano e la biodiversità.
Stiamo parlando nello specifico dei suoli di montagna, considerati le fragili fondamenta di ecosistemi complessi che forniscono acqua a più della metà della popolazione mondiale. Le montagne occupano il 25% circa della superficie del nostro Pianeta e ospitano un terzo della diversità delle specie vegetali terrestri (dati FAO, 2015 – Understanding Mountain Soils). Negli obiettivi di sviluppo sostenibile per il 2030 delle Nazioni Unite, le montagne vengono esplicitamente menzionate tra gli ecosistemi da conservare, ripristinare e utilizzare in modo sostenibile in linea con gli accordi internazionali.
Nonostante sia piuttosto complesso studiarli a causa della loro localizzazione, i suoli di montagna destano da sempre l’interesse dei ricercatori di tutto il mondo proprio per la loro fragilità e perché particolarmente sensibili ai cambiamenti climatici. Essi costituiscono infatti un eccezionale laboratorio naturale a cielo aperto, che si presta a interessanti esperimenti biologici, chimici e fisici.

Alcune tra le più interessanti ricerche svolte negli ultimi anni in queste aree remote d’alta quota riguardano la relazione fra copertura nevosa e funzionalità del suolo. È stato infatti dimostrato come un manto nevoso sufficientemente spesso (30-40 cm) possa agire da strato isolante mantenendo la temperatura del suolo vicina allo zero durante l’inverno, indipendentemente dalla temperatura dell’aria esterna, dalla quota, e dalle caratteristiche del suolo. L’elevato potere isolante della neve è infatti in grado di rallentare il flusso di calore proveniente dal suolo.
«Essendo disponibile nel suolo acqua libera, l’attività dei microorganismi non viene interrotta, con conseguenze positive per tutto l’ecosistema» ci racconta Andrea Magnani, dottore agronomo che ha studiato la biogeochimica dei suoli di tundra alpina in diverse aree del mondo durante le sue ricerche presso l’Università degli Studi di Torino e la University of Colorado (USA) (in questo articolo scientifico open access è possibile approfondire alcuni dei risultati ottenuti dagli studi condotti in Italia sul massiccio del Monte Rosa).

«È importante che in autunno l’accumulo del manto nevoso avvenga al sopraggiungere dei primi freddi, mentre in primavera la fusione della neve si verifichi quando le temperature sono già in rialzo, poiché il suolo privo di neve può andare incontro a congelamento in caso di temperature rigide, compromettendo non solo la sopravvivenza dei microorganismi, ma anche quella delle radici delle piante».
Che impatto hanno i cambiamenti climatici sui suoli di montagna? «Come previsto dai modelli climatici dell’IPCC il cambiamento climatico sta causando una diminuzione delle precipitazioni nevose durante l’inverno, con conseguente diminuzione dello spessore del manto nevoso e della sua durata temporale» continua Magnani.
«Ne consegue che tali cambiamenti favoriranno l’abbassamento delle temperature del suolo ben sotto lo zero, alterando in maniera significativa i cicli di carbonio e azoto nel suolo con molteplici conseguenze per l’ecosistema: minore conservazione dei nitrati, rallentamento della decomposizione microbica invernale della sostanza organica, decremento della mineralizzazione dell’azoto, alterazione dello sviluppo delle specie vegetali nella seguente stagione di crescita vegetativa».

Quello che accade in montagna ci riguarda tutti, per i suoi effetti pervasivi sulla vita vegetale e animale, e quindi anche su quella degli esseri umani che dipendono in larga parte dalle montagne per la produzione di acqua, cibo ed energia. E ciò è vero anche se viviamo lontano, in città, e pensiamo che tali fenomeni e le loro conseguenze non possano toccarci direttamente.
«Questo significa che dobbiamo intervenire immediatamente per sostenere lo sviluppo sostenibile, contrastare il cambiamento climatico e contribuire a creare le condizioni necessarie a preservare le aree montane del mondo» conclude Magnani. Diversamente, le minacce che queste aree stanno affrontando oggi, un domani nemmeno troppo distante potrebbero raggiungere tutti noi.
