plastica a tavola

Un mare di plastica a tavola

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Un mare di plastica a tavola ultima modifica: 2014-08-08T08:00:12+02:00 da Annalisa Audino
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Un mare di plastica a tavola, secondo l’ONU, gli oceani contengono oltre 100 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, con una media di 46.000 frammenti per km2, che finiscono nei nostri piatti

Un mare di plastica a tavola, dove vanno a finire i rifiuti che invadono gli oceani?

Anche la scienza a volte si sbaglia! È successo ai ricercatori dell’Universidad de Cádiz che durante la Spedizione Malaspina 2010 non hanno trovato ciò che erano sicuri di trovare: un’intera isola nel bel mezzo dell’oceano Pacifico fatta di rifiuti di plastica riversati nel mare nel corso degli anni.

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Dopo nove mesi di ricerche, destinate a mettere in evidenza gli impatti dei cambiamenti climatici sugli oceani, gli scienziati hanno dovuto dichiarare ufficialmente che l’isola di plastica non c’è.

La rappresentazione più eclatante della folle corsa umana verso l’autodistruzione si è dissolta improvvisamente: delle milioni di tonnellate di plastica che dovevano essere presenti nell’Oceano, solo quarantamila sono stati rilevate, pari all’1% della quantità stimata.

Inutile illudersi, c’è sicuramente una soluzione alternativa e altrettanto sicuramente non sarà positiva. Secondo le stime dell’ONU, le acque dei mari e degli oceani contengono infatti oltre 100 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica di dimensioni più o meno grandi, con una media di 46.000 frammenti per ogni chilometro quadrato. Gli scienziati hanno quindi aperto nuove inquietanti ipotesi in merito alla salute della fauna marina, come dimostrato dagli stessi autori della Malaspina Expedition: questi hanno analizzato 3.070 campioni in 141 siti in tutto il mondo e hanno riscontrato che l’88% di essi conteneva detriti di plastica di dimensioni minuscole, a volte invisibili, che tuttavia inquinano i mari e mettono a rischio la biologia marina.

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I rifiuti quindi potrebbero esser stati ridotti in pezzi piccolissimi dalle radiazioni del sole e dalle correnti marine, fino a raggiungere la dimensione del plancton, alimento base della vita marina. Sarebbero così mangiati dai pesci, anche quelli piccolissimi, a loro volta utilizzati come mangime per specie più grandi o all’interno degli allevamenti. Risultato: la plastica finirebbe nei nostri piatti.

Un’altra ipotesi invece sostiene che i pesci stiano trascinando i rifiuti sotto la superficie dell’oceano, dando il compito ai microbi di distruggerli. La percentuale però che resta in superficie verrebbe mangiata da uccelli e pesci più grandi che restano spesso vittima di queste indigestioni.

Nulla di cui essere veramente felici, quindi: il ciclo della natura che da secoli trasforma e si rigenera ha ora inglobato anche i nostri rifiuti, facendoli tornare, sotto altre spoglie, direttamente nel piatto dei legittimi padroni.

Fortunatamente iniziano a partire le prime iniziative per riciclare la plastica dispersa in mare: tra questa, l’azienda svedese Electrolux ha lanciato una campagna per la promozione di un aspirapolvere realizzato esclusivamente con bottiglie di plastica recuperate dalle acque marine. Mentre il team inglese Swine, con la collaborazione di Kieren Jones, realizza sgabelli interamente fatti con plastica raccolta in mare e addirittura modellata con appositi stampi nel luogo in cui essa viene pescata. Al surfer americano Kevin Cunningham, infine, è venuta l’idea di produrre tavole da surf di plastica rivestita in vetro.

Un mare di plastica a tavola ultima modifica: 2014-08-08T08:00:12+02:00 da Annalisa Audino
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Un mare di plastica a tavola ultima modifica: 2014-08-08T08:00:12+02:00 da Annalisa Audino

Laureata in Culture Moderne Comparate e giornalista pubblicista, legge, scrive, ama le passeggiate in montagna, ma anche andare in moto. Visita mostre, ascolta musica e non ne ha mai abbastanza di imparare. Adora le cose fatte in casa e cerca di vivere in modo sostenibile. Attualmente è impiegata presso l'Ufficio Comunicazione di Slow Food.

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