Il futuro del pianeta è in pericolo. Ormai molte specie animali e vegetali sono in via di estinzione, la qualità di acqua e aria peggiora progressivamente, la biodiversità sta scomparendo e, cosa a cui spesso non pensiamo, anche il suolo presenta segni di sfinimento.
Con le proprie attività – pratiche agricole sbagliate e cementificazione selvaggia – l’uomo ha compromesso la salute dello strato più superficiale della Terra, provocandone l’erosione, la salinizzazione, la desertificazione. Oggi, il 13% delle terre del mondo è a rischio di degrado – in alcuni Paesi, come l’Italia, si arriva addirittura al 30% – e ogni anno milioni di ettari si aggiungono al conto. Studi scientifici hanno provato che per creare 3 centimetri di suolo “sano” sono necessari 1000 anni e che, cosa ancor più allarmante, ai ritmi odierni basteranno 60 anni per esaurire le risorse del suolo.
Le iniziative non mancano, non ultima la petizione People4Soil che chiede che il suolo venga riconosciuto come un bene comune che necessita di protezione a livello europeo e sia quindi definito un quadro legislativo che tuteli i suoli europei dall’eccessiva cementificazione, dalla contaminazione, dall’erosione, dalla perdita di materia organica e dalla perdita di biodiversità. Ma ovviamente non basta. E, sebbene sia un paradosso, è fondamentale capire che possiamo salvare le risorse anche usandole, in modo sostenibile.
Come la tutela della biodiversità alimentare passa attraverso il consumo della stessa – ovviamente monitorato e sostenibile – così la salvaguardia del suolo e delle risorse passa anche attraverso coloro che lavorano e si prendono cura del suolo. Tra questi, sono sempre più numerosi i giovani che progressivamente “tornano alla terra” e fanno crescere il loro interesse verso un tipo di agricoltura sano e rispettoso dell’ambiente.

Ad aiutarli, finalmente, si mette anche la politica. È notizia di qualche settimana fa l’approvazione di un disegno di legge di bilancio per l’anno finanziario 2017 e per il triennio 2017-2019 che prevede la decontribuzione totale per gli agricoltori under 40 e lo stanziamento di 7 miliardi di euro, in tre anni, per contrastare il dissesto idrogeologico.
Il disegno di legge sembra promettere bene per i giovani che vogliono avventurarsi nell’impresa: esonero dei contributi previdenziali al 100% per i primi tre anni e poi del 66% e 50% per il quarto e quinto anno, azzeramento dei costi della garanzia bancaria, concessa da Ismea, per le imprese agricole, accesso delle imprese agricole, alimentari e contoterzisti ad ammortamento e superammortamento per gli investimenti in macchine innovative, compensazione confermata dell’IVA sulle carni bovine e suine per circa 20 milioni di euro. Il Consiglio dei Ministri intende inoltre puntare sul settore cerealicolo, per cui sarà previsto il rifinanziamento del fondo Mipaaf per il triennio 2017/2019, che servirà a stabilizzare gli investimenti per la filiera del grano.
Viene da chiedersi perché le nuove generazioni stiano, in un certo senso, tornando indietro rispetto alle precedenti, fuggite dalle campagne verso le città. È in atto un vero e proprio cambiamento culturale, che predilige sempre più la concretezza dell’agricoltura alle bolle finanziarie delle speculazioni economiche tanto in voga negli ultimi decenni, ma soprattutto che sembra guardare in modo più responsabile alla salute, non solo umana, ma dell’intero pianeta. Speriamo dunque che questo incentivo alle piccole e giovani imprese agricole sia anche un incentivo allo sviluppo di realtà biologiche in grado di contrapporsi al dilagante sistema industriale distruttivo e all’esagerato uso di pesticidi.
L’agricoltura biologica ovviamente non è la sola soluzione, ma sicuramente una delle strade da percorrere per salvare la nostra biodiversità e, quindi, il pianeta.
