Plastic Semiotic & The Night – I segni della modernità a Venezia78

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Plastic Semiotic & The Night – I segni della modernità a Venezia78 ultima modifica: 2021-09-15T14:24:44+02:00 da Emanuel Trotto
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I cortometraggi presentati Fuori Concorso a Venezia78, “Plastic Semiotic” e “The Night” ci portano a una impietosa analisi del contemporaneo.

Che cos’è la semiotica? Si tratta di una disciplina che compie uno studio comparato dei segni, del funzionamento e la struttura nella quale essi sono coinvolti. Il segno è qualcosa che sta per qualcos’altro. Un elemento nel quale possiamo identificare un concetto, attribuirgli un funzionamento e in questo modo anche un significato. La correlazione fra significante e significato è quanto la semiotica va ad indagare. I segni possono essere classificati oppure si indaga sui processi comunicativi.

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È assai evidente che questo concetto si applica perfettamente alla macchina cinema. Essa è costituito da miriadi di segni (inquadrature, battute, musiche) interpretabili. Essi a loro volta creano dei processi comunicativi leggibili. Un qualsiasi film si può prestare a questo tipo di esperimento. Ci vengono forniti gli elementi per indagare che si trovano poi assemblati in modo da creare significato. Un significato che sarà sia oggettivo che soggettivo.

A questa riflessione sul segno, naturalmente, non ne sono esenti i cortometraggi. Al contrario il loro bagaglio di segni e significati è ancora più denso. La materia filmica stessa della quale sono costituiti è più densa. Ed è anche più concentrata. Essi devono esprimere tutto il loro potenziale in un tempo nettamente inferiore rispetto a un lungometraggio. Si tratta di una sfida per nulla scontata. I risultati positivi sono assolutamente sorprendenti.

Plastic Semiotic
Immagine tratta da Plastic Semiotic di Radu Jude.

In particolare due cortometraggi proiettati Fuori Concorso alla 78^ Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia hanno raggiunto questi risultati. Il primo è Plastic Semiotic di Radu Jude e The Night (Liang ye bu neng liu) di Tsai Ming-liang. Due titoli estremamente diversi ma che hanno numerosi punti in comune. Il primo fra tutti è l’utilizzo quasi nullo della parola. Non ci sono dialoghi, solo suoni, immagini e canzonette. Si tratta sostanzialmente di rinunciare a un segno (la parola) e concentrarsi su tutto il resto. Il che risulta ancora più comunicativo e non è fuorviante.

Plastic Semiotic
Immagine tratta da Plastic Semiotic di Radu Jude

Plastic Semiotic prende le mosse dal testo di Charles Baudelaire del 1853 Morale del giocattolo. In questo testo il poeta francese riflette sul nesso tra il gioco e il bambino. Ivi il giocattolo svolge un importante compito pedagogico. Per esteso è un raffronto fra l’infanzia, la maturità fino a un ragionare sull’immaginazione e sulla sensibilità artistica. Perché l’artista nella concezione di Baudealire è un bambino con un cervello analitico e la volontà di un adulto. Il mondo del giocattolo è un mondo a sé in cui l’esistenza è molto più colorata, lucente e pulita. Il gioco e i giocattoli sono però un mondo estremamente fragile. Sono puliti, sono plastica, un materiale che non fa altro che accumularsi senza soluzione di continuità.

Il cortometraggio di Jude parte proprio da queste premesse. E inizia un percorso che va dall’infanzia alla vecchiaia. Il tutto raccontato con dei simili tableaux vivant realizzati tramite giocattoli di diverse epoche e fatture. Un bambolotto tutto spelacchiato e consumato dialoga perfettamente con l’ultimo modello di Barbie. Purché il primo rappresenti il senso di maternità della seconda. In sottofondo sentiamo solo suoni e rumori riconducibili all’ambiente rappresentato. Quello che viene mostrato è il piccolo che cresce, l’eterogeneo che diviene omogeneo. L’irrappresentabile rappresentabile. Il segmento dedicato alla maturità è il sunto di questo concetto. La perversione, la violenza, la distruzione dell’ambiente, la guerra sono rappresentati in maniera del tutto “sicura”.

Perché sono giocattoli sono apparentemente innocui, quindi questa rappresentazione è lecita a livello morale. Perché tutto è un gioco. Alzando ulteriormente l’asticella i segni che ci vengono forniti ci danno un’ulteriore interpretazione. Ovvero che in questo mondo siamo talmente diventati asettici e dipendenti dalla plastica come materiale che oramai possiamo accettare di tutto. Ma come la plastica stessa, una volta che perde la sua funzione, viene gettata via, deteriorata, consumata e accumulata, la nostra stessa esistenza diviene un immondezzaio. Noi stessi, sembra avvertirci Plastic Semiotic (non senza una certa dose di ironia) siamo destinati ad essere cestinati. Da un secondo all’altro.

The Night (Liang ye bu neng liu) di Tsai Ming-liang

La medesima sensazione di inutilità la si percepisce con il cortometraggio di Tsai Ming-liang. Il regista taiwanese ha all’attivo una filmografia nella quale il tema comune è il vuoto e l’incomunicabilità. Questi vengono trasmessi attraverso lunghi silenzi, lunghe inquadrature e una musica di sottofondo che dona il significato a qualcosa di altrimenti asettico. Così fa in The Night. La Hong Kong rappresentata è una città lontana dall’immaginario comune: caotica ed eterogenea. È la quiete dopo la tempesta. La sera lascia fermate d’autobus e sottopassaggi deserti. In sottofondo una canzone d’amore cinese degli anni Quaranta. La città, altrimenti crogiolo di segni e di significanti, diviene una tela vuota desolante. Lo spazio urbano attuale dona significato al neologismo coniato da Marc Augé nel 1992: nonluogo.

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Il mondo fittizio dei giocattoli e quello reale della metropoli divengono l’annullamento dello spazio, della natura e dell’uomo. Plastic Semiotic e The Night racchiudono questo universo di significato nello spazio ridotto di poco più di quaranta minuti complessivi.

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Plastic Semiotic & The Night – I segni della modernità a Venezia78 ultima modifica: 2021-09-15T14:24:44+02:00 da Emanuel Trotto

Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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