Tonnellate di ugly food finiscono nel cestino per motivi estetici. Ma c’è chi non ci sta
Vi è mai capitato di trovare due zucchine siamesi al supermercato? Una mela col bernoccolo, una carota con le gambe o una melanzana col nasone? Madre Natura ne fa davvero di tutti i colori (e forme) ma, chissà perché, degli ugly food nei supermercati non c’è mai traccia.
Unici nel loro genere, quando arriva il loro turno per essere venduti, questi vegetali vengono scartati nel nome di spietati standard estetici; troppo brutti per essere venduti, perfino la minima imperfezione è sufficiente per fare di questo frutto della Terra un rifiuto; come se forma, peso o colore differente ne guastasse il gusto o le proprietà.
Gli enormi sprechi lungo la filiera: a chi la colpa?
Lo stesso rapporto annuale di Waste Watcher, il primo Osservatorio nazionale sugli Sprechi in Italia, ha denunciato come oggi, tra il campo e lo scaffale, si registrino sprechi per un valore di oltre 3 miliardi di euro.
Una perdita enorme, il cui costo è sì economico, ma anche sociale ed ambientale.
Mentre tonnellate di frutta e verdura vengono scartate perché “chi di noi comprerebbe mai quella mela dal colore meno acceso?”, sono quasi 3 milioni le persone che, ancora oggi, in Italia vivono in stato di grave insicurezza alimentare. Pensionati, disoccupati, famiglie con bambini: persone come noi, che per un motivo o per un altro versano in stato di indigenza, senza sufficiente reddito per poter nutrire se stessi e i propri familiari.
Senza parlare degli enormi costi per l’ambiente: un’incredibile quantità di risorse preziose impiegate per la produzione di cibo che non verrà mai neanche venduto. Recenti dati mostrano come tutto ciò comporti ogni anno l’emissione nell’atmosfera di oltre 24,5 milioni di tonnellate di CO2, oltre che la perdita di 1.226 milioni di metri cubi di acqua. Uno spreco idrico incredibile se si pensa che la stessa quantità di acqua potrebbe soddisfare il fabbisogno annuo di 19 milioni di italiani.
Se ve lo steste chiedendo, i responsabili di tutto questo siamo noi con le nostre stesse scelte di acquisto. Se non c’è posto per gli ugly food sugli scaffali dei supermercati è infatti solo per colpa di un nostro capriccio estetico. A sua volta, per l’agricoltore non converrà nemmeno investire risorse per raccogliere un prodotto che non potrà mai vendere all’anello successivo della filiera. Tanto vale lasciarli lì dove sono, giusto?
Ecco dunque uno dei maggiori paradossi della società moderna. Uno sperpero unico che si realizza sotto i nostri occhi ogni anno, da troppi anni.
Last Minute Market e la guerra agli sprechi
Oggi, però, esistono per fortuna decine di realtà impegnate nel recupero di questi scarti, come Last Minute Market.
Da un’idea concepita dal professore Andrea Segrè dell’Università di Bologna, l’organizzazione è oggi attiva su tutto il territorio nazionale, impegnata nello sviluppo di progetti e servizi per la prevenzione e riduzione degli sprechi.
Tra le diverse attività, appunto, vi è il recupero delle eccedenze da supermercati e mercati centrali, e dei prodotti ortofrutticoli non raccolti e rimasti in campo. Questi vengono così destinati ad associazioni del terzo settore che danno aiuto a persone in condizioni di disagio sociale ed economico.
L’obiettivo cardine, tuttavia, come confermato dallo stesso Segrè, resta la prevenzione. Con oltre 220.000 tonnellate di cibo sprecato in Italia ogni anno, la lotta a tutto questo non può che passare dalla sensibilizzazione dell’opinione pubblica alle problematiche dello spreco in tutte le sue forme, per un consumo più consapevole.
Questi «sono dati che testimoniano l’importanza di buone pratiche da individuare, adottare e veicolare sul piano degli enti pubblici, delle imprese, delle scuole, così come sul piano personale, nel quotidiano delle nostre case», ha affermato lo stesso Segrè.
In conclusione, noi consumatori con le nostre scelte di acquisto abbiamo un enorme potere di vita o di morte su questi ugly food; dei veri esemplari, icone di una diversità che si sta cercando di cancellare.
