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Un Santuario da salvare… con il whale watching

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Un Santuario da salvare… con il whale watching ultima modifica: 2015-07-22T09:00:42+02:00 da Claudia Gaggiottino
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Il Santuario dei Cetacei è in pericolo perché non ci sono norme che lo tutelano. Il whale watching, se fatto in modo corretto, può aiutare a salvarlo

Santuario dei cetacei, c’era una volta un triangolo di mare abitato da un’incredibile varietà di animali: delfini, balenottere, capodogli, stenelle, grampi, ma anche pesci luna, tartarughe e tanti altri.

Con una superficie di c.a. 90.000 km², quest’area si estende tra la Costa Azzurra, la Costa Ligure, la Corsica, la Sardegna e la Toscana.

Oggi questo luogo rischia di scomparire, nonostante nel 1999 Francia, Italia e Principato di Monaco abbiano stipulato un accordo per tutelarlo trasformandolo in un’area marina protetta chiamata Santuario dei Cetacei o Santuario Pelagos.

santuario cetacei
Il Santuario dei cetacei ha una superficie di c.a. 90.000 km² e si estende tra la Costa Azzurra, la Costa Ligure, la Corsica, la Sardegna e la Toscana

L’Italia ha però ratificato l’accordo solo nel 2001 con la Legge n. 391, quando il Santuario è entrato nell’elenco delle Aree a Protezione Speciale di Interesse Mediterraneo del Protocollo sulle Aree Protette (ASPIM) della Convenzione di Barcellona. Questo rende il tratto di mare un’area protetta a livello internazionale e costituisce un interessante precedente giuridico per la tutela di ampie aree del Mediterraneo.

Il piano di gestione commissionato dalle Parti, sviluppato nel 2004 e approvato alla Conferenza delle Parti Contraenti, tuttavia, non è mai stato applicato e il numero di cetacei che lo abitano diminuisce di giorno in giorno.

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All’interno del piano veniva fatta presente la necessità di sviluppare attività di monitoraggio per raccogliere informazioni precise sulle popolazioni di cetacei e sviluppare adeguate misure di gestione, in particolar modo del traffico navale. Si dichiarava la necessità di raccogliere più informazioni possibili sul traffico e le problematiche a esso collegate per sviluppare una serie di raccomandazioni.

Purtroppo però, secondo l’associazione ambientalista Greenpeace, nessuno di questi processi è mai stato applicato. A confermarlo è la chiusura, nel gennaio 2009, del Segretariato, l’organo preposto ad amministrare l’area marina in questione, che risiedeva a Genova.

Il Mediterraneo, inoltre, è una zona a intenso traffico marittimo e il Santuario non è escluso dalle rotte navali. Si stima, infatti, che all’interno dell’area protetta transitino anche 200 navi passeggeri al giorno, specie navi che collegano la Corsica con la Sardegna.

Nel 2009 Greenpeace ha analizzato le acque superficiali e ha riscontrato una pesante contaminazione da coliformi e streptococchi fecali, batteri tipici degli scarichi fognari, con un aumento del 10% rispetto ai risultati ottenuti dalle analisi svolte l’anno precedente. Le cause vanno ricercate negli scarichi di grandi navi traghetto e da crociera.

Santuario dei cetacei la protesta di Greenpeace
Santuario dei cetacei la protesta di Greenpeace

Fortunatamente ad oggi qualcosa si è mosso e sono stati varati dal Consiglio dei Ministri due provvedimenti a tutela del Santuario dei Cetacei. Il primo provvedimento istituisce zone di protezione ecologica oltre il limite del mare territoriale. L’obiettivo è prevenire scarichi di sostanze inquinanti in acque internazionali, ma contigue alle coste italiane e disporre l’istituzione di zone di protezione ecologica a partire dal limite esterno del mare territoriale italiano entro le quali saranno applicate tutte le misure di prevenzione e repressione dell’inquinamento marino.

Il secondo provvedimento invece impone agli Stati membri di mettere in atto una strategia che permetta di raggiungere entro il 2020, sulla base di un approccio eco-sistemico, il buono stato ambientale per le proprie acque marine.

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Rendere il Santuario Pelagos un’area realmente protetta non gioverebbe solo alle specie animali e vegetali che lo abitano, ma anche alle Regioni e alle comunità che si affacciano su questo tratto di mare.

Il whale watching, infatti, se fatto rispettando il delicato equilibrio naturale e le abitudini degli animali, può essere un’attività molto redditizia per le comunità locali, più delle attività di pesca pirata che contribuiscono all’allontanamento di molte specie ittiche.

Si stima infatti che ogni anno, in 87 paesi, 9 milioni di persone praticano il whale watching e il numero sembra destinato a salire. Questa divertente esperienza, che permette di incontrare gli animali nel loro ambiente naturale, può contribuire in modo significativo alla sensibilizzazione sulle problematiche inerenti la conservazione dell’habitat in cui questi animali vivono, si nutrono e si riproducono.

grampo
Un esemplare di grampo

Nonostante nel Santuario dei Cetacei non esistano normative precise è bene che chi intende praticare il whale watching scelga solo associazioni che adottino un codice di condotta adeguato e nel rispetto degli animali: evitare le manovre che possono intralciare gli spostamenti dei cetacei o portare a una collisione; non inseguire gli animali o dirigere la barca direttamente su di loro. I whale watcher non devono fare rumori che possano infastidire o spaventare gli animali (gridare, fischiare, correre, battere le mani, etc.) e non dare cibo ai cetacei: il mare non è uno zoo.

In Liguria è presente l’associazione WWF, che mette a disposizione un biologo incaricato di fornire utili informazioni illustrando le peculiarità e le caratteristiche delle specie avvistate.

Se fatto in modo responsabile, quindi, il whale watching può essere una grande risorsa per il territorio, ma non solo. Vedere da vicino i magnifici cetacei che popolano il Santuario è un’esperienza indimenticabile, capace di dare un senso di pace profonda e amore per il mare.

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Un Santuario da salvare… con il whale watching ultima modifica: 2015-07-22T09:00:42+02:00 da Claudia Gaggiottino

Laureata in Comunicazione per le Istituzioni e le Imprese, vive a Torino ma si sente cittadina del mondo e, per questo,è sempre con lo zaino pronto e il passaporto in mano. Ambientalista convinta agisce nel locale per diffondere un’educazione ambientale globale. Consapevole del grande potere dei mezzi di comunicazione, è diventata giornalista per avere la possibilità di trasmettere i valori legati al rispetto dell’ambiente e condividere buone pratiche quotidiane, che possano aiutare ad alleggerire lo zaino ecologico di ognuno.

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