Gli squali sono predatori, animali temuti dagli altri pesci, ma soprattutto dagli esseri umani. Tanti film hanno ritratto questo animale come un assassino irrazionale e instancabile, che attacca l’uomo appena questo entra in mare. Eppure i dati mostrano un’altra verità: la popolazione degli squali sta scomparendo e i responsabili, ancora una volta, siamo noi.
Lo shark finning è una pratica che consiste nel tagliare le pinne e la coda dello squalo e rigettare il corpo in mare. Spesso tutto questo accade mentre l’animale è ancora vivo, ma incapace di nuotare affonda e muore dopo una lenta agonia o predato da un altro animale.
Ma perché fare una cosa tanto crudele? E perché buttare via il resto del corpo dell’animale? Le pinne sono l’ingrediente essenziale della zuppa di pinne di squalo, un piatto tradizionale cinese che viene molto usato durante i matrimoni o le feste celebrative.
È un piatto molto costoso, ma se un tempo era appannaggio di pochi oggi, visto lo sviluppo economico che sta vivendo la Cina, questo sta diventando accessibile a un numero crescente di persone.
Dagli anni ’80 infatti c’è stato un crescente consumo di questo piatto, con conseguente aumento del valore delle pinne sul mercato, nonostante la Cina abbia recentemente vietato il consumo di questa zuppa durante i banchetti istituzionali.
Le pinne di squalo, quindi, sono oggi uno dei prodotti ittici più costosi. Secondo l’organizzazione ambientalista Greenpeace, un chilo di pinne di squalo può costare fino a 700 dollari; al contrario nei mercati europei la vendita al dettaglio di carne di squalo raramente supera i 7 euro al chilo. Inoltre le pinne occupano meno spazio sui pescherecci, sono facili da congelare e stoccare e se ne possono trasportare enormi quantità. Al contrario, la carne, oltre ad avere un valore economico nettamente inferiore, occupa molto spazio ed è più complicato stoccarla e mantenerla in buone condizioni.
A livello globale, si stima che il valore commerciale delle pinne di squalo sia tra i 540 milioni e 1,2 miliardi di dollari, che si traducono in una vera carneficina. Secondo stime di Greenpeace del 2012, per le pinne ogni anno vengono uccisi dai 26 a 73 milioni di squali: 8mila esemplari in una sola ora.
La Cina è il maggiore importatore al modo di pinne di squalo, seguita da Singapore, Taiwan e Giappone. L’Europa invece è tra i maggiori esportatori; in particolare, la Spagna è il principale esportatore verso la Cina.
Questo fenomeno, unito alla pesca allo squalo, ancora consentita dalla maggior parte degli Stati, ha ridotto in modo critico la popolazione mondiale degli squali.
Secondo Alessandro De Maddalena, curatore della Banca Dati Italiana Squalo Bianco, membro fondatore del Gruppo Mediterraneo di Ricerca sugli Squali, collaboratore del Global Shark Attack File e Ambasciatore di Undersea Soft Encounter Alliance “Negli ultimi 40 anni la popolazione degli squali medio-grandi è scesa del 90%. Le cause principali sono la pesca non selettiva, le cosiddette “catture accessorie”, il mercato di pinne e carne e l’inquinamento. Con il palangaro i pescatori di tonni e pesce spada tirano su anche un sacco di squali. È demenziale. In Asia finiscono le pinne, da noi la carne“.
Secondo la FAO, infatti, l’Italia è il terzo paese al mondo per importazione e consumo di carne di squalo.
Nel 2003 l’Unione Europea ha vietato ai pescatori di rimuovere le pinne degli squali a bordo dei pescherecci, ma includeva una deroga attraverso la quale gli Stati membri potevano rilasciare dei permessi speciali di pesca per la rimozione delle pinne a bordo del peschereccio se in grado di dimostrare di utilizzare comunque tutte le parti dello squalo. Numerose erano le problematiche che ne derivavano.
Dal 2011 quindi è entrato in vigore il divieto assoluto di praticare il finning; significa che tutte le imbarcazioni europee hanno l’obbligo di sbarcare in porto gli squali con le pinne ancora attaccate al corpo senza alcuna possibilità di deroghe per gli Stati membri.
Questo è senza dubbio un passo in avanti per fermare una pratica disumana, ma non toglie il fatto che la popolazione degli squali è fortemente minacciata e che, ancora una volta, il predatore di cui bisogna avere paura è l’uomo.