The End of the Line, documentario che mette in guardia dal sovrasfruttamento delle risorse ittiche. Il rischio? Un mondo senza pesci entro il 2048.
2048: il capolinea, il punto di non ritorno. E’ questa la data ultima entro la quale, secondo il documentario The End of the Line e alcune stime scientifiche, le risorse ittiche mondiali saranno esaurite. A meno di un cambio di rotta, a meno di modificare abitudini scriteriate in tema di pesca intensiva e consumo insostenibile, tanto in termini quantitativi che qualitativi, di pesce.
The End of the Line, il pluripremiato documentario realizzato nel 2009 dal regista inglese Rupert Murray con il supporto del WWF, tratta appunto del rischio reale di estinzione di molte specie che abitano i nostri mari. “Immaginate un mondo senza pesci”: è l’esortativo espresso dal sottotitolo del film, che ci introduce a un viaggio durato due anni tra le acque di Cina, Regno Unito, Gibilterra, Malta, Senegal e Giappone. In questo percorso, Murray segue i passi del reporter investigativo Charles Clover e svela i paradossi di un sistema che vede la fauna marina brutalmente bistrattata per soddisfare una massiccia domanda basata su preferenze alimentari che nulla hanno a che fare con l’etica.
“Oceani in salute sono uno schema win-win, una vittoria per tutti: per la pesca e le comunità costiere, per il benessere del nostro pianeta, per la nostra dieta, per il nostro futuro” dichiara il regista sul sito dedicato al documentario. A partire da questa convinzione, “The End of the Line” mette sotto gli occhi di politici, ristoratori e consumatori finali la drammatica situazione di un enorme ecosistema dagli equilibri sballati dove, per citare due esempi fra molti, si assiste a un consistente e incipiente sovrappopolamento di meduse mentre grandi esemplari come il tonno rosso sono sull’orlo dell’estinzione a causa dell’esponenziale crescita dell’industria del sushi. I propositi sono chiari: “Prima di tutto vorrei che le persone si facessero delle domande sulle loro abitudini alimentari, interroghino i loro fornitori e cerchino di comprare solo prodotti ottenuti da pesca sostenibile. In secondo luogo vogliamo influenzare le decisioni politiche”.
Sì perché il messaggio diffuso dal film, così come quello del libro “The End of the Line: How Overfishing Is Changing the World and What We Eat” (Il capolinea: come il sovrasfruttamento delle risorse ittiche sta cambiando il mondo e quello che mangiamo, NdR) cui è ispirato, si basa sul fondamento che, per quanto il problema sia serio e universale, il potere di risolverlo è alla portata di tutti noi acquirenti consapevoli. Non è un caso che il lungometraggio sia giunto nelle librerie italiane, con il titolo “Al Capolinea- The end of the line” (libro+dvd), grazie a una collaborazione tra Feltrinelli e Slow Food: da anni, infatti, l’associazione “eco-gastronomica” promuove la necessità per i consumatori di evolversi in co-produttori, ossia in individui capaci di influenzare con le proprie scelte le basi della catena alimentare.
A fronte di questi presupposti, a maggior ragione ogni occasione spesa a informare e dibattere sul tema si trasforma in un’opportunità fondamentale per diventare parte attiva di un cambiamento urgente e necessario. Cinemambiente, che nel 2010 ha premiato il documentario con la menzione speciale “Green Cross”, dedica a “The End of the Line” il secondo incontro del Laboratorio CineAmbiente CineCLEforum, il prossimo 18 marzo presso il Campus Luigi Einaudi dell’Università degli Studi di Torino.
Non dimentichiamo che il 70% del nostro pianeta è ricoperto dal mare: in vista di un 2048 che si avvicina a grandi passi, possiamo davvero permetterci di continuare a trascurarlo? Oppure è giunta l’ora di prendere coscienza del nostro ruolo e, formando noi stessi, contribuire a una nuova etica del mercato ittico mondiale?