Dove ti porta il vento, il corto sulla migrazione delle gru

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Dove ti porta il vento, il corto sulla migrazione delle gru ultima modifica: 2022-11-19T07:37:38+01:00 da Marco Grilli
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Dove ti porta il vento, il corto di Alessandro Ghiggi documenta lo straordinario lavoro dell’Associazione “Le Gru” in Piemonte

Un ottimo corto dal forte impatto visivo, in soli 20 minuti ci lascia meravigliati di fronte all’eleganza del volo di migrazione delle gru e allo straordinario lavoro di un’associazione in Piemonte, teso a far sì che quella lunga rotta migratoria per lo svernamento, sempre più sottoposta a pericoli, possa compiersi senza intoppi. Stiamo parlando di Dove ti porta il vento (…è tempo di gru), il documentario realizzato da Alessandro Ghiggi e presentato di recente al Museo di Storia naturale della Maremma a Grosseto, in occasione del Clorofilla Film Festival. Un omaggio, sentito e dovuto, all’impegno dell’Associazione naturalistica “Le Gru” lago di Borgarino laghi di Caselette, diretta da Daniele Reteuna.

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Un’immagine tratta da Dove ti porta il vento

Il regista Alessandro Ghiggi e l’associazione “Le Gru”

Genovese di nascita, Alessandro Ghiggi è un giovane ornitologo e videomaker specializzato nel documentario naturalistico. Nella sua carriera ha realizzato documentari per il programma Rai “Geo” e collaborato a quattro docufilm dei registi Paolo Rossi e Nicola Rebora:  Vacche ribelli (2017), La vendetta del lupo monco (2018), Felis gatto sarvaego (2020) e Sopravvissuti all’Homo sapiens (2021).

Dopo i suoi lunghi viaggi per l’Europa volti a studiare il fenomeno della migrazione delle gru, il prolifico incontro con Daniele Reteuna nel 2018 lo ha spinto ad approfondire il lavoro dell’Associazione “Le Gru”, fino alla decisione di dedicarle un corto che potesse porre sotto i riflettori l’impegno di questi appassionati esperti e volontari.

Una curiosità: Ghiggi è anche un chitarrista e tende realizzare la colonna sonora dei suoi documentari. Una musica dolce accompagna con le sue note anche “Dove ti porta il vento”.

L’associazione “Le Gru” è nata nel 1997 nelle valli di Lanzo, dopo la scoperta di una rotta migratoria di gru altamente minacciata dal consumo di suolo con conseguente riduzione degli habitat. “Il 29 ottobre 1997 con il freddo vento dell’est, quindici gru stremate dalla fatica accumulata in giorni di volo migrato con il loro trombettìo scendono verso il suolo. Lo scrutano attentamente, vogliono riposarsi ma non ce la fanno. I loro campi, i loro prati e i loro acquitrini in pochi decenni sono stati trasformati in case, strade e fabbriche. Volteggiano a lungo, riprendono quota e se ne vanno, il cielo ritorna vuoto e muto come prima. Ma hanno lasciato un segno. Un’idea che come un seme vuole germogliare ed esplodere con tutta la sua carica che ha dentro”, si legge sul sito dell’associazione.

L’idea è effettivamente germogliata, e quella rotta migratoria che sorvola la provincia di Torino attraversando le Alpi italiane e francesi per arrivare fino alla Spagna, è oggi oggetto di protezione grazie alla cura e all’impegno dell’associazione “Le Gru” e di altre organizzazioni. L’area del lago Borgarino, dei laghi di Caselette e dei loro dintorni è stata infatti resa una zona umida vitale per oltre 170 specie di uccelli, con un lavoro meticoloso che ha portato l’associazione a prendere in affitto diversi ettari di terreno al fine di mantenerli incolti e quindi adatti ai voli dei migratori. Al di là di quest’azione di salvaguardia di una vera e propria “stazione di servizio e rifornimento” per uccelli, “Le Gru” svolge attività di studio delle rotte e di monitoraggio e realizza censimenti ornitologici, campi di inanellamento, visite didattiche e uscite sul campo con birdwatching.

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Dove ti porta il vento (…è tempo di gru)”: il cortometraggio

In questi tempi così difficili, la visione del documentario pare suggerire un parallelo tra le meraviglie della natura e le bassezze di cui è troppo spesso capace l’umanità.

Dalle terre dell’Europa dell’est comprese le steppe ucraine, aree di nidificazione delle gru, nel corto assistiamo allo spettacolo del maestoso volo migratorio nelle tipiche formazioni a V, con questi sinuosi trampolieri dalla notevole apertura alare (ben oltre i due metri) che si librano in cielo con il collo e le zampe distesi per raggiungere dopo un lungo viaggio i luoghi di svernamento, Francia, Spagna e Africa settentrionale.

Da quelle stesse terre, nei mesi scorsi, abbiamo invece assistito a un’altra migrazione, disperata e sconvolgente, quella di persone in fuga dalla follia di una guerra insensata.

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Il racconto  parte  dal parco nazionale di Hortobagy, nell’Ungheria orientale, tra i più importanti siti di sosta migratoria post-riproduttiva europei. È proprio qui nella grande Puzta che le gru, provenienti perlopiù dalle aree di nidificazione del nord-est europeo, trascorrono alcune settimane prima di riprendere la migrazione verso le zone di svernamento. Nel corso di questo lungo tragitto parte di questa popolazione transita sull’Italia settentrionale e tocca pure il lago Borgarino di San Gillio (TO), a pochi chilometri dalla porta delle Alpi. Ad aspettare qui le gru ci sono Daniele Reteuna e la sua associazione, che con pazienza e meticolosità studiano questo affascinante fenomeno da più di 20 anni.

Ogni anno il trombettìo delle gru avvisa la fine dell’autunno aprendo le porte all’inverno. Negli ultimi decenni il continuo consumo di suolo stava riducendo drasticamente il numero delle gru. Grazie anche all’associazione naturalistica “Le Gru” – lago Borgarino, laghi di Caselette, insieme ad altre centinaia di associazioni ambientaliste europee, si è riusciti ad invertire tale tendenza e ad oggi questa specie è tornata a riempire i nostri cieli durante le migrazioni. “Dove ti porta il vento” vuole fare alzare lo sguardo allo spettatore, per portarlo a riflettere sullo stretto legame fra l’uomo e un animale come la gru. Per entrambi esiste un “io” che ogni giorno insegue la propria strada, ma che senza un “noi” a guidarlo sarebbe sempre perso nel proprio viaggio”, così Alessandro Ghiggi e Daniele Reteuna spiegano il senso del loro lavoro.

Ciò che colpisce nel corto è proprio il lavoro intenso, faticoso e appassionato svolto da Reteuna e dalla sua associazione, fatto non solo di burocrazia per l’affitto dei terreni ma di cura scrupolosa, di continuo studio e monitoraggio, di accesso a luoghi remoti e di accampamenti notturni per poter godere della meraviglia di questo volo e del breve transito in zona delle gru, uccelli mitici già per i celti. Una frase pronunciata proprio da Reteuna rende bene il valore di questo impegno: “Più persone con lo stesso obiettivo, con poche energie fanno grandi energie”.

Un lavoro tanto importante perché la rotta migratoria incontra pericoli e minacce. Ormai da quasi un secolo la gru non nidifica più in Italia e in generale nell’Europa centro-meridionale. Il consumo di suolo e la cementificazione, la progressiva riduzione dell’habitat costituito dalle zone umide, la caccia di frodo e in tempi più recenti il cambiamento climatico, sono le minacce che impediscono da tempo la nidificazione e che mettono ancora oggi in discussione il buon esito della migrazione verso i luoghi di svernamento.

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L’Italia ha sottoscritto sia la Convenzione di Bonn per la conservazione delle specie migratrici, che quella di Ramsar per la tutela delle zone umide di importanza internazionale. I problemi però restano. Il recente Living Planet Report del WWF ha evidenziato che, negli ultimi 50 anni, le popolazioni di fauna selvatica sono calate in media del 69%. Se poi pensiamo al nostro modello di sviluppo fa impressione il fatto che solo il 29% della biomassa degli uccelli della terra sia costituito da specie selvatiche.

A fronte di questi dati, chi anche nel proprio piccolo fa di tutto per cambiare lo stato delle cose merita elogi e rispetto. Ogni anno, dalla metà di luglio a quella di novembre, Reteuna e i membri della sua associazione si appostano per il monitoraggio e il controllo dei migratori. Con l’affitto di cinque-sei ettari di terreni, in poco più di 20 anni son riusciti a ricreare un ambiente naturale per far crescere le piante di palude, così che specie altrove ormai estinte, in quest’area umida oggi sono comuni.

Nella rotta migratoria di oltre 1.800 chilometri da Hortobagy (Ungheria) a Gallocanta (Spagna), il lago Borgarino si trova all’incirca a metà strada. Dal punto di partenza le gru s’involano con specifiche condizioni di pressione e venti da nord-est, per innalzarsi a una quota da 3 a 5mila metri. Quando poi s’imbattono nelle correnti della val di Susa, si alzano sopra le montagne, toccano i 3-4mila metri e puntano a sud-ovest. Finite le Alpi, col maestrale dalla Francia vertono di nuovo a sud-ovest verso la Spagna, attraversando i Pirenei. A Gallocanta le gru si fermano un mese e mettono su circa un chilogrammo di grasso per poi dirigersi verso l’Estremadura, una delle più grandi zone di svernamento in Europa. Grandi gruppi attraversano poi lo stretto di Gibilterra e arrivano nel nord del Marocco.

La splendida fotografia del corto accompagna la descrizione della rotta migratoria e altre interessanti nozioni, che paiono semplici ma sono in realtà frutto di anni di studi, controlli e ricerche sul campo. In fondo, come spiega Reteuna, “le gru partono con certe condizioni, non sanno cosa incontrano e a seconda del tipo di vento si regolano di conseguenza, sempre cercando di risparmiare il massimo delle energie”. Un volo intelligente e imprevedibile, che cattura l’attenzione di chi vuole assistere allo spettacolo della natura.

Nel corso della presentazione di “Dove ti porta il vento migrazione delle gru”, Ghiggi ha cercato di spiegare la passione di Reteuna, definito “una persona incredibile, un naturalista senza laurea che ha battuto campagne e pianure con un occhio unico, capace di cogliere qualsiasi movimento. Ha una conoscenza incredibile del sistema natura che neanche un docente può trasmetterti. In più scrive, a casa ha tonnellate di materiale cartaceo, una banca dati mostruosa che andrebbe trasferita digitalmente”.

Un senso di bellezza prorompe dal corto, così come la necessità di prendersi cura del pianeta e delle sue meravigliose creature, non scalfita dalla nota dolente e di precarietà racchiusa nella citazione finale di Reteuna “migrare…rischiare di morire per non morire”.

Dove ti porta il vento, il corto sulla migrazione delle gru ultima modifica: 2022-11-19T07:37:38+01:00 da Marco Grilli

Laureato in Lettere moderne, giornalista pubblicista e ricercatore in storia contemporanea, è consigliere dell’Istituto storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea. Nei suoi studi si è occupato di Resistenza, stragi nazifasciste e fascismi locali, tra le sue pubblicazioni il volume “Per noi il tempo s’è fermato all’alba. Storia dei martiri d’Istia”. Da sempre appassionato di tematiche ambientali, ha collaborato con varie testate online che trattano tali aspetti. Vegetariano, ama gli animali e la natura, si sposta rigorosamente in mountain bike, tra i suoi hobby la corsa (e lo sport in generale), il cinema, la lettura, andar per mostre e la musica rock.

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