Climate action tracker avverte Cop 27, la corsa al gas naturale e l’espansione della sua produzione impediranno di mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5°C
La guerra e la crisi energetica e la relativa corsa al gas naturale rischiano di avere gravi ripercussioni per il raggiungimento degli obiettivi prefissati sul riscaldamento globale. Potremmo non aver imparato molto da un anno che sta per chiudersi, segnato nel mondo da pandemia, guerre, incendi, siccità, alluvioni e disastri naturali sempre più gravi. Nei giorni in cui i grandi della Terra si ritrovano alla Cop 27 in Egitto, tra assenze importanti, basse aspettative e annunci destinati nella maggior parte dei casi a restar tali, il gruppo indipendente di ricerca scientifica Climate action tracker (Cat) ha presentato gli allarmanti risultati di un suo studio in occasione della giornata del meeting dedicata alla Scienza.
La crisi energetica pare aver preso il sopravvento su quella climatica e la scelta generale di aumentare la dipendenza dal gas naturale fossile rischia di diventare una follia, se il mondo ha ancora a cuore l’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature globali entro 1,5 gradi, al fine di evitare conseguenze anche peggiori.
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Lo studio del Climate action tracker presentato a Cop 27
Climate action tracker nasce dalla collaborazione di due organizzazioni scientifiche, Climate Analytics e NewClimate Institute, che dal 2009 valutano le politiche governative globali sul clima per rispettare l’Accordo di Parigi, fornendo analisi indipendenti agli attori coinvolti.
Lo studio presentato alla Cop 27 mette in guardia gli Stati sull’eccessivo ricorso al gas naturale fossile per rispondere alla crisi energetica connessa alla guerra in Ucraina, manifestatasi con la riduzione degli approvvigionamenti e l’aumento dei prezzi. Il ricorso alle rinnovabili e l’efficienza energetica si dimostrano le opzioni più economiche, veloci e sicure per il superamento della crisi climatica, ma i governi di molti Paesi stanno aumentando la dipendenza dai combustibili fossili, dietro impulso dell’industria del petrolio e del gas.
“Stiamo assistendo a una forte spinta per una maggiore capacità di produzione e importazione di gas naturale fossile in tutto il mondo – in Europa, Africa, Nord America, Asia e Australia – che potrebbe far sì che le emissioni globali superino livelli pericolosi. Aumentare la nostra dipendenza dal gas fossile non può essere la soluzione alle odierne crisi climatiche ed energetiche”, si legge nel report.
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Stando ai dati forniti dall’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), l’obiettivo zero emissioni nel 2050 può esser raggiunto limitando del 30% il consumo totale di gas a livello globale entro il 2030 (rispetto ai livelli del 2021). L’analisi del Cat, riferita all’azione di 41 Paesi che coprono l’80% circa delle emissioni globali, rileva che gli impianti di Gas naturale liquefatto (Gnl) in costruzione, insieme ai piani di espansione, potrebbero portare le emissioni a 3,1 miliardi di tonnellate di Co2 all’anno nel 2030, un dato superiore di ben 1,9 miliardi a quello fissato dall’Iea per l’obiettivo zero emissioni. Per il Gnl, il dossier del Cat rivela un aumento di produzione che potrebbe toccare i 500 milioni di tonnellate, una cifra pari al quintuplo delle importazioni di gas dell’Unione europea dalla Russia nel 2021 e ad oltre il doppio delle esportazioni russe. Una reazione alla crisi energetica del tutto sproporzionata per il Cat, che deve esser assolutamente ridimensionata.
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Nel resto dell’analisi, dalla scorsa Cop 26 l’organizzazione indipendente non ha riscontrato miglioramenti sostanziali negli impegni già esistenti per l’obiettivo zero emissioni, mentre l’implementazione delle politiche per il clima è progredita ma troppo lentamente, tanto che a questo ritmo l’aumento delle temperature previsto è di 2,7 gradi. Gli stessi finanziamenti internazionali per il clima sono stati giudicati del tutto insufficienti, perché cresciuti solo del 4% rispetto al 2020.
Non va meglio per le iniziative settoriali come quelle riguardanti la riduzione delle emissioni di metano, dove i maggiori Paesi inquinanti latitano e il report si limita a sottolineare l’ottimo risultato della Colombia, con il neo-presidente Petro che ha rispettato gli impegni elettorali presi abolendo il fracking nel Paese. Stesso discorso per l’impegno di graduale uscita dal carbone sottoscritto a Glasgow, rimasto largamente disatteso. Infine si registrano progressi lenti anche per il passaggio all’elettrico nel mercato automobilistico. In sintesi, se la Cop27 è stata annunciata come la “Cop d’implementazione”, nel 2022 l’analisi del Cat evidenzia alcuni punti salienti degni di nota, ma in generale non crede che la portata dei provvedimenti e la loro velocità di attuazione siano in grado di rispettare l’obiettivo dell’aumento delle temperature entro 1,5 gradi nel 2030.
L’Italia e la politica sul Gnl
Nel frattempo, in tema di Gnl, l’Italia ha già dato il via libera al rigassificatore di Ravenna, un investimento di circa un miliardo di euro per una nave di ultima generazione attraccata a otto chilometri dalla spiaggia di Punta Marina, che tra due anni garantirà circa due miliardi di metri cubi in più di gas, ossia l’8% del fabbisogno. È invece ancora in standby il rigassificatore di Piombino, perché il sindaco della città toscana ha annunciato il ricorso al Tar contro il progetto. Intanto, il nuovo governo ha aperto a nuove concessioni con il prossimo emendamento al Decreto legge Aiuti ter. Sarà autorizzata l’estrazione da giacimenti nazionali di gas con capacità superiori ai 500 metri cubi in zone comprese tra le nove e le dodici miglia, per una stima potenziale di 15 miliardi di metri cubi sfruttabili nell’arco di dieci anni. Lo sblocco delle trivelle servirà per fornire subito fino a due miliardi di metri cubi di gas a prezzo calmierato alle aziende gasivore. Nonostante gli allarmi provenienti dagli esiti delle ricerche scientifiche, la corsa al gas in Italia è appena al suo inizio.