Mountain, sinfonia di una leggenda, un amore, un brivido

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Mountain, sinfonia di una leggenda, un amore, un brivido ultima modifica: 2019-03-31T08:00:45+02:00 da Emanuel Trotto
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Il fatto

Una sinfonia visiva, commentata dalle parole di Willem Dafoe e dalla musica di Richard Leo Tognetti. Il racconto del rapporto fra l’uomo e la montagna. Dal terrore dell’ignoto, alla sua colonizzazione. Dai riti atavici ai free climber…

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Il commento

Il genere documentario al cinema è una categorizzazione molto limitativa. Questo perché dentro di esso possono albergare un sacco di prodotti con elementi che li differenziano fra loro. Sono quel genere di differenziazioni che potrebbero creare sottocategorie o sottogeneri a sè stanti. Un panorama estremamente vario e diversificato.

Ci sono i classici documentari “divulgativi” nei quali viene descritta una tesi preesistente che viene, nel corso della narrazione smentita o confermata da vari interventi. Questo è il tipo più classico, con un narratore esterno che espone in maniera oggettiva. Poi il narratore può scendere in campo e mettersi direttamente in gioco (vedi Michael Moore o Morgan Spurlock), facendosi “interprete” oltre che autore della storia e della tesi. Questo sottogenere può essere definito “d’inchiesta”.

E poi, il sottogenere della “sinfonia visiva”. Personalmente è quello più interessante. Perché non pone tesi o preconcetti preesistenti. Ha un tema e lo sviluppa per tutta la durata del film. Si tratta di qualcosa il più vicino possibile a un linguaggio cinematografico autentico. Senza le parole, ma solo con la musica e, soprattutto le immagini. Sono esse che danno significato e la musica sta spesso e volentieri dietro a loro. Le amplifica e dà un’immagine epica. L’epica va oltre le parole, va oltre il racconto. Si ricollega ai film che raccontavano la frenesia urbana (Berlin di Walter Ruttman, o L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov, 1927 e 1929) dell’alba del cinema. Degli antenati storici dai quali sono arrivati Joris Ivens e poi Werner Herzog. Dai narratori della metropoli alla narrazione dello Spirito Naturale.

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Il regista tedesco in questo senso è stato una specie di Mozart o Beethoven, ovvero i portatori di un classicismo che si slancia prepotente nella modernità. Dopo di lui, tutti per fare questo genere di prodotti si sono confrontati con lui.

Per Herzog la Natura è Mater e Matrigna, da onorare, ammirare, temere, un po’ come l’Ozymandias del componimento di Percy Shelley. E quale migliore versione del monolite sperso dalle sabbie del tempo, nella sua versione primitiva, rappresenta la montagna? Proprio da questo tema si sviluppa il film di Jennifer Peedom Mountain. Presentato e a concorso allo scorso Trento Film Festival, continua a vincere numerosi premi.

Il film che cosa porta avanti? Una tormentata storia d’amore e di paura. Quella fra l’uomo e la montagna. Fino a tre secoli fa c’era un misto di paura e di venerazione per questo ambiente. Per via della sua natura inaccessibile, le sue pareti vertiginose, il freddo proibitivo. La montagna nelle antiche culture era la casa degli Dei come l’Olimpo o di mostri come lo Yeti. Qualcosa di sacro ammanta questi ambienti che riteniamo di conoscere bene. Non sappiamo ancora adesso quanto ci sbagliamo, non ce ne rendiamo conto appieno. Perché conosciamo solo le pendici colonizzate dalle stazioni sciistiche, dai percorsi guidati. Ed è soltanto una parte di questo mondo. Ci arroghiamo di conoscere lEverest perché è stato scalato, ma non è mai stato conquistato.

La Peedom ce lo ricorda con le sue grandiose riprese aeree, a volte contemplative, a volte dinamiche. Sono il frutto di 20.000 ore di riprese in ogni parte del mondo, ad ogni latitudine. Dall’Himalaya, fino al Grand Canyon. A mostrare la grandezza delle cime e la nostra piccolezza. Gli alpinisti e chi pratica gli sport estremi sono solo dei puntini colorati, stonati, in mezzo alla neve, in mezzo a livide pareti verticali.

Il vincitore della Coppa Volpi a Venezia 75, Willem Dafoe è la voce narrante di "Mountain"
Il vincitore della Coppa Volpi a Venezia 75, Willem Dafoe è la voce narrante di “Mountain”

Il tutto commentato dalle parole di Willem Dafoe ma, soprattutto, dalla musica di Richard Tognetti. Essa è la vera coprotagonista della pellicola. Mescola in una partitura originale Vivaldi, Grieg e Beethoven. Li sa dosare sapientemente con i picchi  che compaiono antidiluvianamente dalle nebbie. E rende ancora di più la teoria che la paura per la montagna sia anche un canto delle Sirene irresistibile che ci spinge a cercare la rovina. O più semplicemente a sfiorarla.

Il free climber che apre la pellicola sintetizza il tutto in una sequenza. Su una immensa parete verticale con le sole scarpe e il solo talco sulle mani a reggerlo. Una sporgenza nella parete di pochi centimetri lo separano da centinaia di metri di vuoto. L’inquadratura è divisa in due parti. In alto l’oblio, in basso la parete e lui in mezzo. Cerca un appiglio, rischia di scivolare. Da mozzare il fiato. Ma non avviene la tragedia. Tiriamo un sospiro di sollievo. Poi lui, dopo aver guardato in alto, ride fra sé. E prosegue la scalata. Le parole sono diventate superflue.

Così come un movimento indietro della macchina da presa, alla fine, si allontana da una cima. Man mano che ci si allontana dalla montagna, la musica digrada, inesorabilmente. Fino a spegnersi, e con essa una dissolvenza in chiusura. Sul nero. Quella misteriosa creatura di pietra ha mantenuto intatti i suoi segreti.  

Scheda film

  • Regia: Jennifer Peedom;
  • Sceneggiatura: Robert MacFarlane, Jennifer Peedom;
  • Musiche: Richard Leo Tognetti;
  • Interpreti: Willem Dafoe (sè stesso come voce narrante);
  • Origine: Australia, 2017;
  • Durata: 74’
  • Temi: CINEMA, NATURA, ALPINISMO.

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Nato a Biella nel 1989, si è laureato in Storia del Cinema presso il DAMS di Torino nel 2012, ha partecipato alla rassegna stampa per l’Università al 29, 30, 31mo Torino Film Festival e ha collaborato per il Festival CinemAmbiente 2014. Collabora per diversi blog di cinema e free culture (Il superstite) e associazioni artistiche (Metropolis). Ha diretto due cortometraggi: E Dio creò le mutande (2011), All’ombra delle foglie (2012).

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