Di uccelli neri, come gli incubi, e di un genio del cinema a muovere le fila di racconto mozzafiato, che scuote ogni nostra residua certezza: “Gli uccelli ci vogliono ammazzare, mamma?” (un bambino nel film).
Agosto 1961, Santa Cruz, costa assolata della California. Hitch, “The Master of Suspense”, è nella sua bella villa e si gode finalmente il meritato riposo, fatto soprattutto di assoluta pigrizia. Nel mentre, “Psycho” continua ad essere un successo al botteghino e la celebre serie dei suoi telefilm è altrettanto fortunata.
Una strana notizia spicca sul giornale locale che ha sotto gli occhi: gli abitanti della vicina città marina di Capitola si sono svegliati di soprassalto, spaventati a morte perché delle berte fuligginose, un uccello affatto aggressivo, assieme ad altre innocue specie, hanno attaccato con furia le loro case, finendo con lo sbattere violentemente sui tetti e così cadere esanimi nelle strade.
Il fatto è davvero singolare, colpisce l’opinione pubblica. Anche perché nessuno sa darne spiegazione. Per qualche giorno non si parla d’altro nei dintorni.
Alfred Hitchcock capisce in fretta come da lì al terrore il passo sia davvero breve. Si frega così le mani: ha infatti già acquistato i diritti di una certa novella di Daphne du Maurier. Una novella del 1953, il cui titolo è “Gli Uccelli“.
In breve si scopre che la follia degli uccelli di Capitola è stata causata dall’avvelenamento di una tossina prodotta dalle alghe rosse; la cosa va nel dimenticatoio collettivo, non per tutti però.
Con alle spalle questo premonitore aneddoto, le riprese de “Gli Uccelli” iniziarono infatti il 5 marzo 1962 per concludersi il 10 luglio dello stesso anno.
Subito dopo (ottobre 1962) fece la sua comparsa sulla scena politica internazionale la “Crisi cubana” : climax in un paio di giorni di vera angoscia nei quali si temette una terza Guerra Mondiale, fatta stavolta con l’uso delle armi nucleari. Parallelamente si sviluppò nell’opinione pubblica mondiale un’ondata di protesta per mettere al bando proprio il nucleare, sia quello per uso militare sia quello per uso civile: i governi facevano test nucleari, minacciavano con armi nucleari, le popolazioni terrorizzate, sempre più spesso, facevano invece affollatissime marce anti-atomo.
“Gli Uccelli” uscì in America il 28 marzo del 1963.
Per questa collocazione “storica”, in tanti si sono spinti a parlare de “Gli Uccelli” come di una metafora sulle radiazioni nucleari. Non mancano certo elementi per convenirne; lo stesso Hitchcock aveva già realizzato “Notorius” (1946), primo film ad occuparsi di nucleare dopo Hiroshima e Nagasaki, senza contare le apocalittiche scene di alcuni passaggi de “Gli Uccelli”, che rimandano a bombardamenti, ad attacchi aerei, o i dialoghi piuttosto espliciti a riguardo: il predicatore che declama brani di Ezechiele sulla punizione divina dei peccati dell’uomo. Tutto collimerebbe, tranne il fatto -davvero non indifferente- che Hitch si sottrae decisamente, e sempre, rispetto a schemi interpretativi “politico-sociali”. E questo anche quando vi sia più di un indizio a favore della tesi.
Ecco allora il nuovo indizio da vagliare: Hitch sceglie di ambientare il film a Bodega Bay, un paesino di poche anime, pescatori perlopiù, 150 miglia a nord di Capitola, la cittadina degli uccelli “impazziti”. Una scelta che può a ben ragione apparire tutt’altro che “casuale”.
Già dal 1958 Bodega Bay è infatti il palcoscenico “nazionale” del forte attivismo dei suoi abitanti contro il tentativo della potente Pacific Gas & Electric di edificare lì una centrale atomica, capostipite del nucleare civile negli Stati Uniti.
La radicale lotta di Bodega Bay, passata alla storia come “The Battle of Bodega Bay” (raccontata in Thomas R. Wellock: “The Battle for Bodega Bay, 1958–1964”. Critical Masses: Opposition to Nuclear Power in California, 1958–1978. University of Wisconsin Press, 1998), ebbe addosso gli occhi di tutto il paese e rappresentò la vera e propria nascita del movimento anti-nucleare americano. Si concluse nel 1964, con l’abbandono del progetto da parte dell’impresa: il tentativo di costruire una centrale atomica in una zona incontaminata, ed oltretutto altamente sismica, fu bloccato e abbandonato.
Contò qualcosa per Hitch, nella scelta delle sue locations, il fatto che Bodega Bay fosse il luogo dove stava nascendo il movimento anti-nucleare americano? Era quella la “sottolineatura” che cercava per il suo racconto? Erano quelle le sue intenzioni? Pista falsa!
Hithcock sceglie Bodega Bay, e non un luogo immaginario, non il paesino della Cornovaglia in cui la Du Maurier colloca la storia, ma sembra davvero piuttosto indifferente in primis al luogo; è molto più interessato a mantenere il suo “brand” che al resto: il re del brivido, dissemina qua e là -come fa coi suoi “cammei”- indizi, tracce, vere e false, affastella paure di diverso tipo, citazioni, rimandi, cose che magari per lui sono accessorie, ma che danno un surplus di significato; per questo Hitch nel film non spiega il motivo dell’impazzimento degli uccelli, lasciando volutamente aperta ogni ipotesi, anche quella nucleare, con la quale gli piace perfino stuzzicare: in questo, ad esempio, come ignorare (terzo indizio) che la casa della famiglia di Mitch, il protagonista del film, sia situata proprio a Bodega Head, esattamente il promontorio della baia dove la Pacific Gas & Electric ha già scavato una buca profonda come un palazzo di dieci piani, una buca che avrebbe dovuto ospitare il reattore della centrale nucleare?
Ma nonostante tutte queste (fuorvianti) evidenze, queste (inutili) “prove”, “Gli uccelli” non è affatto un film metaforico sull’atomica e sulle sue inevitabili conseguenze, piuttosto un film che contiene “solo” alcune disarmanti, non “politiche” constatazioni sulla fragilità dell’essere, sulla paura dell’esistere, sulla minaccia continua all’integrità della persona, alla sicurezza di avere un domani. In ogni tempo ed in ogni luogo.
Con esso Hitchcock -geniale depistatore, convinto, come rivelerà più volte, che al pubblico piaccia molto “essere preso in giro”- prosegue soltanto il suo “ragionamento” sull’angoscia e la sua opprimente pervasività: parla dell’imprevedibilità degli eventi e delle cose, di quello che ci illudiamo di controllare, di quello che ci può sfuggire di mano, di come l’essere più innocuo e familiare -un uccello- possa trasformarsi in un flagello biblico: le cose non sono mai come appaiono; ognuna di esse può essere fatale. Per certo il “nucleare”, ma anche i “teneri” animali, gli animali di cui ci fidiamo, che vivono con noi, nelle città dove noi viviamo.
Nel finale del film Mitch (Rod Taylor) -corteggiatore di Melanie (Tippi Hedren), ora ricambiato- decide che devono andarsene da quel posto. La radio dice che Bodega Bay è al centro di questo misterioso impazzimento degli uccelli. Fuori, mentre la macchina si allontana, con a bordo i personaggi centrali del film, appare un mondo del tutto inospitale, presidiato e dominato dagli uccelli, di tutte le specie, stranamente insieme: sembrano momentaneamente sazi. Ora sono un popolo, unito da un disegno collettivo; da un progetto che non può essere che nefasto: spargere terrore.
Per poter tornare a vivere, pensa Mitch, bisogna tentare di uscire da quella zona, infestata come dal fallout della bomba, dalle radiazioni che la bomba ha provocato. Si deve rigenerarsi.
Mitch allora guida lentamente attraverso il cortile e prosegue sulla strada.
Gli uccelli non attaccano. Oppure, non attaccano ancora.
L’auto prende lungo la strada costiera in direzione San Francisco, a passo d’uomo. Che succederà?
In molti hanno fatto notare che alla fine del film non appare la fatidica scritta “The End”: la minaccia non è svanita affatto, anzi può tornare.
O non se ne è mai andata… una minaccia cui siamo sempre esposti. La minaccia della paura che ci portiamo dentro…