Tutto inizia con un pallino colorato, il centro di una girandola di colori e forme floreali che ruotano in maniera simmetrica a suon di musica, fino a formare una pietra striata. Un bambino posa l’orecchio su di essa e pare sentire la meraviglia nascosta al suo interno, nota solo a lui.
Parte così il lungometraggio animato Il bambino che scoprì il mondo (O menino e o mundo, Brasile, 2013, 80′) di Alê Abreu, pluripremiato dalla critica internazionale e presentato nella categoria EcoKids al prossimo CinemAmbiente 2017.
La trama è semplice: il piccolo protagonista vive serenamente, sebbene in povertà, con la madre e il padre nella campagna brasiliana. L’idillio inizia a rompersi quando il padre lascia il nucleo familiare per andare a raccogliere cotone lontano da casa, lasciando al figlio un ricordo uditivo, il suono del suo flauto. Ogni nota musicale forma pallini colorati che il bimbo racchiude in una latta e sotterra in un luogo segreto.
Egli cresce, si allontana dalla madre e vive in favela vicino ad una grande e affollata città. Il mondo è ora tutt’altro che accogliente, un caotico insieme di capitalismo, sfruttamento e industrializzazione che rende ancora più grande il distacco tra i ricchi e i poveri.
Chi si ribella canta, e quel canto corale e magnifico (ampliamento delle poche note suonate dal padre anni prima) forma una fenice arcobaleno che combatte contro un nero ed enorme rapace, frutto dei suoni artificiali e meccanici prodotti delle industrie e della polizia. Purtroppo, la forza bruta del secondo vince sull’eleganza naturale della prima.
I suoni e i colori vanno di pari passo, l’animazione è semplice, ma estremamente ricca, un patchwork di tecniche diverse dove la metafora, il ricordo e la realtà s’intersecano alla perfezione creando dei quadri magnifici.
La speranza di un ritorno al rispetto della natura non cessa mai, anche se continuamente ostacolata dai poteri forti.
Quella piccola pietra iniziale, simbolo dell’infanzia del protagonista, della semplicità, ma anche della complessità dell’immaginazione fanciullesca, è il punto di chiusura del film, che ha una struttura estremamente circolare.
Il bambino “scopre il mondo” durante l’ora e mezza di proiezione, ma forse, il mondo parallelo più poetico, incredibile e sicuramente più genuino del reale, è proprio quello racchiuso nella pietra, un mondo che ha sempre avuto dentro di sé.
